Roba vera. Memoria fresca, di qualche giorno fa. Un raccontino veloce veloce per stemperare i rigori dell’inverno e dell’atletica nostrana. Buona lettura.
Non tutti i keniani corrono veloci e a lungo come gazzelle. Non tutti i cinesi sono saggi e si muovono come Bruce Lee. Quant’è facile diventare italiani…
Sono stato a pranzo dai miei genitori. Riprendo la via di casa, a piedi, concedendomi un’andatura lenta su un marciapiede interminabile che invita al passo spedito. Due ragazzini sui quattordici anni, i jeans dal cavallo basso fino al cavo popliteo, giubbini superfirmati e nike air dai lacci lentissimi, camminano pogando e ciondolando dinanzi a me. Quello a sinistra, cappellino con visiera sul naso, impugna un nunchaku, un’arma tradizionale cinese costituita da due corti bastoni uniti da una breve catena. I nunchaku vissero in Italia nella seconda metà degli anni ’70 un momento di particolare notorietà e diffusione, portati dai film di Bruce Lee. Era pure il tempo in cui fiorivano copiose le palestre di kung fu, dai nomi marziali e spesso improbabili.
Il ragazzino a mancina comincia a far ruotare pericolosamente e senza maestria alcuna i nunchaku, mentre quello di destra è tutto preso da un’inutile telefonata senza scatti alla risposta. Parla, sorride; ogni tanto si scansa per evitare i colpi dell’amico. Il cellulare sembra essere il suo unico interesse, tanto che, messa giù la telefonata, attacca subito a lavorare di sms. Lui è cinese, ma non ha i nunchaku.
Quello col nunchaku, biondino e brufoloso, ad un certo punto gli fa: «To’ Wang, fammi vede’ come si fa…». Allora Wang, riposto per un momento il cellulare, prende bastoncini e catenella e, scimmiottando un Chen surreale e spaesato, vorrebbe farli girare attorno alle scapole, ma si mena un colpo terribile dietro la nuca.
«Ma vaffangul’ Vince’, tu e ‘ste cazz’ di mazzette!», urla all’amico brufoloso.
Vincenzo recupera il nunchaku e lo fa sparire nello zaino. Wang, ancora dolorante, riprende il lavoro al cellulare. Io, dribblati i due ragazzini, ringrazio Cristo di aver evitato i segni di un immemore e maldestro furore cinese, sugli incisivi.