sabato 29 agosto 2015

Mediocritas sine auro


"Fuggo" ormai sistematicamente da certi thread o gruppi tematici sulla marcia atletica, dove alla riflessione tecnica costruttiva, al confronto civile ed equilibrato si preferisce la rissa da (bar dello) stadio. 
Quando le migliori energie intellettuali di certuni, esperti o semplici appassionati del tacco-punta, vengono indirizzate verso il loop ossessivo del dissenso sul rientro alle competizioni di Alex Schwazer, non dobbiamo meravigliarci se l'analisi oggettiva, lucida, dei risultati di questi mondiali pechinesi fa emergere, nella sua raggelante crudezza, l'evidenza apparentemente dispregiativa di un sostantivo. Dire "mediocrità" non è dire una 'parolaccia'. È prendere oggettivamente, matematicamente, coscienza di essere 'piantati' lì, nel mezzo tra due estremi.

mercoledì 26 agosto 2015

Ripensando alla corsa verso il mare


Riprendo un post di cinque anni fa, ancora drammaticamente attuale.
Quando penso ai nostri "mini-mezzofondisti" (o "mini-marciatori") corro con l'immaginazione ad una metafora, quella delle tartarughine Caretta Caretta che, appena dopo la schiusa, cercano disperatamente la via del mare, il loro naturale, innato bisogno di futuro, di crescita; di continuità. Anche i mini-mezzofondisti (i mini-atleti, tout court) cercano per istinto qualcosa del genere. Pochissimi raggiungeranno il mare. Sembra crudele, ma deve andare così...
(Troppi "gabbiani" col cronometro ad attenderle, sui campi di atletica e tra le mura domestiche, ahimè).

lunedì 10 agosto 2015

Vividi ricordi sbiaditi

(ph Antonio Ibba)

Agosto 1986. Foto di gruppo a conclusione di una faticosissima Amatrice-Configno. Renato D'Amario, il primo da destra, in piedi, sembra nascondere coi baffetti affilati un sorriso ironico e compiaciuto; sotto il braccio sinistro stringe una sorta di scartafaccio di nomi e numeri: la classifica di quella formidabile edizione della classica "stradale amatriciana". Nei giorni a seguire Renato la esibirà con malcelata vanità nelle principali redazioni giornalistiche locali.

Gioventù multiforme dentro quella foto. Ragazzini vivaci assai e campioni mondiali; tapascioni, atleti di buon livello e semplici appassionati, tutti insieme ché quella era l'atletica di Renato: un grumo compatto di umanità uguale e diversa; uguale nella capacità di condividere il dolore soave della fatica e diversa nelle possibilità individuali di esprimerla.

Renato D'Amario ci voleva bene. Senza troppi giri di parole ci indicava la via da seguire, attraverso la rustica allegoria del correre a piedi.

E allora eccoli lì i suoi ragazzi: Antonio Ibba (la foto è sua), secondo da sinistra, in piedi e con l'asciugamano; dietro di lui, terzo da sinistra, in piedi, il keniano John Ngugi, 5 volte campione mondiale di cross country e campione olimpico dei 5000m nel 1988. Quel giorno finì sulle ginocchia a qualche metro da me; io col primato personale e lui, perso dentro chissà quali pensieri.

E poi Paul Kipkoech, keniano di Eldoret, il sesto da sinistra, in piedi e con una fascetta bianca sul collo. Un'ora prima aveva sbriciolato il record della gara, salendo sui tornanti che portano alla frazione di Configno con l'irreale eleganza di un keniano atipico. Paul era etereo come un sogno al mattino e come i sogni che si fanno poco prima di svegliarsi ci lasciò, nel 1995, stroncato dalla malaria; non prima di aver vinto un mondiale sui 10.000m a Roma nel 1987 e 3 campionati mondiali di cross country.

E infine Marco Barbone, allora sedicenne, accosciato al centro della foto. Capelli ricci e talento da vendere (nel 1989 mancò d'un soffio l'oro sui 1500m ai Campionati Europei Junior) era il 'gioiellino' di Renato D'Amario.

Sì, c'ero pure io. Con gli occhi chiusi, terzo da sinistra, in piedi. Quanto mi manca la leggerezza di quei giorni là.

martedì 4 agosto 2015

Terremoto antidoping e logiche inquisitorie unidirezionali



Sventagliata di valori ematici "sospetti" oppure "anomali". È l'atletica che va dal 2001 al 2012 secondo il Sunday Times e l'emittente tedesca ARD TV
L'ennesimo terremoto mediatico in chiave doping sembra però destinato a sortire effetti significativi e duraturi nell'ipnagogico mondo di certo sport, sempre meno credibile sul piano dei risultati agonistici, e 'benedetto' dalla cieca ottusità di chi è uso a mitizzare il fenomeno di turno, senza "se" e senza "ma", magari da un pulpito televisivo, microfono in resta.
12.000 test ematici effettuati su 5.000 atleti, dal 2001 al 2012, dunque. L’Italia è al 28° posto con 6 casi con valori degni di attenzione. E mi sorprende la (mancanza di) logica di chi continua ad accanirsi su Alex Schwazer, il solo tra i summenzionati 6 i cui dati ematici sono noti e valutati dal Panel internazionale. Evidentemente all'inquisitore unidirezionale di turno gli altri 5 non interessano.