Il problema del doping nello sport è qualcosa di troppo articolato, grave, attuale e progressivo nella sua virulenza, e non può essere degradato a becera disputa tra ‘contrade’ rivali. Col “dagli all’untore”, senza approfondimento alcuno, senza riflessione e confronto sereno, si finisce addirittura con alimentarne il mito. Di doping si muore. Questo quindi non è solo un problema che investe il piano dell’etica, sportiva e non (il rispetto delle regole, dell’avversario, ecc.). Vi è pure una dimensione sociale e politica; una dimensione psicologica. Il doping nello sport è un fenomeno Culturale complesso che esige un approccio etico, senz’altro, che è anche educativo, razionale, scientifico.
Il comunicato stampa (clicca qui) del Prof. Enzo Imbastaro (Presidente del C.P. Coni di Pescara) ha suscitato reazioni diverse, dentro e fuori l’ambiente dello Sport più in generale, e del podismo abruzzese in particolare. Una di queste, nella forma di una lettera aperta, porta la firma dell’amico Valerio Di Vincenzo. La pubblico così come mi è arrivata. Merita di essere letta con molta attenzione. Mi piacerebbe desse luogo ad una riflessione ‘altra’.
Buona lettura.
Il comunicato stampa (clicca qui) del Prof. Enzo Imbastaro (Presidente del C.P. Coni di Pescara) ha suscitato reazioni diverse, dentro e fuori l’ambiente dello Sport più in generale, e del podismo abruzzese in particolare. Una di queste, nella forma di una lettera aperta, porta la firma dell’amico Valerio Di Vincenzo. La pubblico così come mi è arrivata. Merita di essere letta con molta attenzione. Mi piacerebbe desse luogo ad una riflessione ‘altra’.
Buona lettura.
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Scrivo questo post perché concordo nello spirito della dichiarazione del Prof. Enzo Imbastaro, ma non nel metodo. Premetto che ho un occhio attento, da medico cultore della materia, alle pratiche - legali e non legali - che migliorano la prestazione atletica, da oltre vent’anni e cerco sempre di sostanziare quello che è, o può sembrare, discutibile nel mio punto di vista.
Come ho ripetuto in altre occasioni, partecipo volentieri ad alcune discussioni che compaiono su questo blog ed altre ho anche cercato di suscitarle, con l’aiuto e la complicità di Mario che mi ha pubblicato e che ringrazio , ancora una volta, per la sua forza interiore.
Non appartengo al mondo dello sport per lavoro, per un ideale, perché gareggio, o per dei valori retoricamente affermati, ma come essere umano. Mi dedico costantemente e con piacere –con i miei limiti - al rispetto ed alla cura della mia salute e la pratico educando il mio corpo ad esprimere il meglio che sa dare per sostenere la mia mente e mantenerla giovane e sana, nonostante gli anni che passano.
Odio assumere medicine e , quantomeno per questo, non penserei mai di assumere sostanze dopanti per primeggiare in uno sport.
Pubblicando il mio pensiero cerco di contribuire al dibattito ed alla disseminazione di una cultura proattiva del corpo in movimento. Le gare ne sono un completamento. Inoltre sono animato e soprattutto capisco cosa comporti il desiderio di “vincere” in un contesto altamente competitivo. Con l’esperienza del “Progetto 92” già citato in questo blog, condotto in equipe, posso dire di essere stato testimone oculare della strenua battaglia condotta da un atleta pulito il quale, nonostante fosse circondato da colleghi più spregiudicati, ha calcato il podio olimpico. Erano altri tempi!
Comunque , parafrasando Obama, anche in questo caso c’è l’orgoglio e la possibilità di affermare che “Yes, we can”.
In altri termini , diciamo che sostengo con convinzione la legge per cui: “nel confronto leale, vinca il migliore”. L’affermazione di questo principio – antico quanto inapplicato - mi sembra che rappresenti la vera contraddizione, rispetto al mondo reale. Contraddizione che produce una marea di danni, in tutti i campi.
Indagando negli ultimi tempi sugli “stili di vita in movimento” , per capire quante persone sia possibile coinvolgere in una Comunità virtuale sull’argomento, ho sentito voci attendibili che confermerebbero che il “fenomeno del doping” è diffuso, anche in terra d’Abruzzo, a tutti i livelli ed in molte discipline sportive.
Se applicassimo il celebre esperimento che spiega il fenomeno dei “piccoli mondi” verificando l’universalità dei “sei gradi di separazione” (vedi wikipedia) ognuno dei lettori di questo blog potrebbe essere associato ad un trafficante di sostanze dopanti, in pochi semplici passi.
Ora, come si fa a non condividere un richiamo alla correttezza proveniente dalle Istituzioni? Non dimentichiamo che il CONI, ha adottato il Codice della World Anti-Doping Agency (WADA) ed è, in Italia l’Organizzazione antidoping nazionale (NADO) riconosciuta dalla WADA. La NADO è l’ente nazionale al quale compete la massima autorità e responsabilità in materia di adozione e attuazione delle Norme Sportive Antidoping.
Se qualcuno volesse polemicamente sottintendere che era ora di svegliarsi, che si potrebbe fare di più, questo non mi sembra sufficiente a sminuire la coerenza del messaggio del Prof. Imbastaro. Certo è che la responsabilità in materia di adozione e attuazione delle Norme Sportive Antidoping non si può e non si deve limitare a stigmatizzare un episodio discutibile.
Ho alcune perplessità che espongo qui ed eventuali proposte da fare, in caso di reazione a quanto scrivo.
Una rivista Americana di psichiatria (World Psychiatry. 2007 June; 6(2): 118–123_Doping in sports and its spread to at-risk populations: an international review) ha recentemente sottolineato che” Gli atleti professionisti rappresentano spesso un modello per la popolazione adolescente e di giovani adulti , i quali, riproducono i loro comportamenti , incluso l’abuso di droghe.
Impressionano di più i dati citati nell’articolo e derivanti da interviste che la rivista Americana " Sports Illustrated” ha effettuato ad un campione di atleti olimpici di eccellenza. Una delle domande era: “Se le fosse fornita una sostanza dopante e lei non fosse scoperto/a e vincesse , accetterebbe la vittoria? Il 98 % degli atleti ha risposto “SI”.
La domanda più raggelante è stata: Se le fosse fornita una sostanza dopante e Lei, senza essere scoperto/a, sapesse di poter vincere tutte le competizioni per 5 anni e quindi morire, assumerebbe la sostanza? Più del 50% ha risposto “SI”. (Bamberger M. Yaeger D. Over the edge. Sports Illustrated. 1997;14:62–70.).
Persone più competenti di me potrebbero commentare che questo riscontro plebiscitario di ’’assenza di etica sportiva” sia stato supportato dalla lassità dei controlli che vigeva nel 1997, rispetto all’attualità (il 1997 è l’anno dell’indagine riportata, ben precedente l’ottobre 2005 , anno di ratifica dell’ UNESCO International Convention against Doping in Sport ed il Gennaio 2009, data in cui, il World Anti-Doping Code è stato reso esecutivo).
Comunque è bene continuare a stupirsi riguardo alla lentezza dei tempi “istituzionali” e “civili” su problemi non di secondo piano, a livello internazionale ci si chiede cosa risponderebbero gli intervistati - attuali - alle stesse domande del 1997 e a livello nazionale quanto sia attivo sull’argomento anche il Sistema Sanitario Nazionale.
Il problema irrisolto è dato dalla difficoltà - per ciascun atleta che mira all’ eccellenza - di riferirsi a persone corrette e competenti e/o di autoregolamentarsi sul tema doping. Ciò, in ragione del fatto che , per esempio, un/una professionista serio/a e che si allena migliaia di ore l’anno, che ha aspirazione di vincere una gara o, addirittura, un campionato – diciamo nell’ambito delle discipline più chiacchierate - volente o nolente sa:
Di dover fare i conti con le sostanze dopanti, per lo meno pensando di contrastare il vantaggio che gli altri concorrenti ai Titoli possano aver acquisito usando sostanze proibite;
Che , da un momento all’altro, qualche contrattempo potrebbe rendere positivi i controlli o renderlo/a vittima di altri “incidenti” da sovradosaggio delle sostanze dopanti di cui fa uso e – attenzione – ma di cui non abusa a norma di Codice.
Aumentare le pene e introdurre controlli stringenti è un modo di affrontare il problema, con risultati ancora deludenti.
Considerata la complessità dell’argomento oggi, sempre per esempio, a supporto di una/un atleta che vince le discipline “ricche” delle Olimpiadi, c’è una squadra come quella della Ferrari in Formula 1; a supporto di una/un ciclista dilettante, chi c’è?
Purtroppo, dato che sembrerebbe - con amarezza - che l’imbroglio - come la guerra - fa parte della natura umana a tal punto da sembrare irrinunciabile, spesso qualcuno del team sportivo – o delle cattive amicizie - è anche deputato a dare contenuto all’ adagio globalizzato: Fatta la legge, trovato l’inganno.
Per di più siamo circondati da esempi luminosi di personaggi pubblici che primeggiano anche perché totalmente privi del sentimento della vergogna – sentimento di autocontrollo individuale e “sociale” dominante nella cultura ellenistica che ha inventato le Olimpiadi - e che sono capaci - con tecniche giuridiche, di comunicazione e di vendita - di ribaltare il significato dei fatti. Oggi con il denaro ed il potere è possibile fissare le regole, costruire la “verità” di cui nutrire l’opinione pubblica e, magari, sgattaiolare nei meandri delle “leggi uguali per tutti”.
Ciononostante lancio una pietra nello stagno , appena increspato da una meritoria presa di posizione del Dirigente provinciale del CONI:
Considerati i messaggi che complessivamente emergono nelle società moderne , come si fa a spiegare, senza ricorrere a stratagemmi retorici o al nostro Signore – il “mistero”contenuto nello “spirito Olimpico” che afferma :
" L’importante è partecipare alle gare e non vincere. La cosa essenziale è gareggiare bene, non conquistare il podio”.
Tutti noi siamo consapevoli - non volendo fingere - che , per quanto nobile sia questo traguardo, esso ha ben poco a che fare con la realtà del mondo sportivo moderno. Eppure lo “spirito olimpico” è un traguardo perseguibile come ideale , un’aspirazione da condividere socialmente con vantaggio collettivo e che farà storia nel momento in cui avrà contribuito alla costruzione delle pratiche e delle norme adatte ai tempi ed alle condizioni realmente vissute dalle popolazioni a cui si rivolge.
Eppure, chi può scagliare la prima pietra in un mondo che monetizza in maniera sproporzionata il solo risultato vincente? Intendiamoci, parto da presupposto che:
Forme di doping esistevano già nei tempi delle olimpiadi antiche.
Forme di doping sono ammesse nelle more delle Norme Sportive Antidoping.
La mia opinione è che la lotta tra guardie e ladri , in un sistema fondato sul denaro, volge sempre a favore del malaffare.
Allora, in breve, la domanda che pongo, sapendo che potrebbe far esplodere un vespaio, ma alla quale non rispondo , anche se ho maturato un mio punto di vista è:
Ma è proprio sicuro che la soluzione sia nel proibizionismo?
Quale responsabilità ha, in questo scenario, la scienza ufficiale ? Dobbiamo constatare che, spesso, anch’essa si mostra asservita al potere ed al profitto e rimane assente quando si tratta di trovare ed esprimere pubblicamente soluzioni sostenibili ed applicabili ai problemi , nel rispetto della integrità psicofisica delle persone, più che della morale. Quello che fior di laboratori scientifici – talvolta pagati dai Governi - garantiscono, per certo in questo caso, sono scorciatoie chimiche e, in un prossimissimo futuro, addirittura di ingegneria genetica per sviluppare nuove, esoteriche ed irrintracciabili tecnologie di performance enhancement.
Secondo me: è fuori discussione che le questioni di soldi e di potere rendano detto spirito olimpico al momento impraticabile.
C’è ancora dell’altro da rilevare perché, a mio avviso, è difficile essere campioni privi di macchie.
Al proposito mi viene in mente il Presidente del CONI Petrucci, intervistato alla conclusione delle Olimpiadi di Vancouver. Sono stato colpito dalla sua reazione stizzita. Se la prendeva in particolare, contro gli errori di esecuzione che hanno portato la campionessa europea Carolina Kostner fuori dalla zona medaglie. Sono rimasto allibito quando ho sentito la povera e da me ammiratissima Carolina giustificarsi umilmente alla radio, dicendo che non sempre si può vincere e che aveva sudato molte camicie comunque, per arrivare tra le prime dieci nel mondo…
La dichiarazione della Kostner e la sensibilità “olimpica” del Presidente hanno suscitato in me una domanda impertinente e retorica, simile a quella del questionario del 1997 “Se alla Carolina fosse fornita una sostanza dopante che assicura l’equilibrio sui pattini anche nei momenti di panico e l’atleta non fosse scoperta e vincesse , il Presidente accetterebbe la vittoria?”
Continuano ad ammonire gli psichiatri americani: “Oggi nessuno sport è risparmiato dalla commistione di malaffare che conduce all’uso illegale di sostanze dopanti (infatti, per chi non lo sapesse ce n’è anche un uso legale, ma questa è un’altra storia. N.d.r.).
Oltre alle preoccupazioni, gli psichiatri, esprimono anche un messaggio di speranza , che rilancio:
“Gli atleti professionisti devono servire come modello e portavoce per stili di vita e di sport privi di sostanze dopanti. Questa posizione dovrebbe essere supportata dai media , proprietari di squadre, federazioni sportive internazionali fornendo leadership e patrocinio di programmi di educazione antidoping nello sport, senza riguardo per i costi e le conseguenze.”
Il mio punto di vista è che, impedendo le apparizioni pubbliche di Alberico Di Cecco si fa una bella figura dignitosa e, insieme, un cattivo affare. Non è vietando la vista di qualcuno, occultando il misfatto, che si esercita un insegnamento; casomai, ricevendo una testimonianza di vita da chi ammette di aver sbagliato si impara a vivere senza ipocrisia.
Saluti.
Valerio Di Vincenzo
Come ho ripetuto in altre occasioni, partecipo volentieri ad alcune discussioni che compaiono su questo blog ed altre ho anche cercato di suscitarle, con l’aiuto e la complicità di Mario che mi ha pubblicato e che ringrazio , ancora una volta, per la sua forza interiore.
Non appartengo al mondo dello sport per lavoro, per un ideale, perché gareggio, o per dei valori retoricamente affermati, ma come essere umano. Mi dedico costantemente e con piacere –con i miei limiti - al rispetto ed alla cura della mia salute e la pratico educando il mio corpo ad esprimere il meglio che sa dare per sostenere la mia mente e mantenerla giovane e sana, nonostante gli anni che passano.
Odio assumere medicine e , quantomeno per questo, non penserei mai di assumere sostanze dopanti per primeggiare in uno sport.
Pubblicando il mio pensiero cerco di contribuire al dibattito ed alla disseminazione di una cultura proattiva del corpo in movimento. Le gare ne sono un completamento. Inoltre sono animato e soprattutto capisco cosa comporti il desiderio di “vincere” in un contesto altamente competitivo. Con l’esperienza del “Progetto 92” già citato in questo blog, condotto in equipe, posso dire di essere stato testimone oculare della strenua battaglia condotta da un atleta pulito il quale, nonostante fosse circondato da colleghi più spregiudicati, ha calcato il podio olimpico. Erano altri tempi!
Comunque , parafrasando Obama, anche in questo caso c’è l’orgoglio e la possibilità di affermare che “Yes, we can”.
In altri termini , diciamo che sostengo con convinzione la legge per cui: “nel confronto leale, vinca il migliore”. L’affermazione di questo principio – antico quanto inapplicato - mi sembra che rappresenti la vera contraddizione, rispetto al mondo reale. Contraddizione che produce una marea di danni, in tutti i campi.
Indagando negli ultimi tempi sugli “stili di vita in movimento” , per capire quante persone sia possibile coinvolgere in una Comunità virtuale sull’argomento, ho sentito voci attendibili che confermerebbero che il “fenomeno del doping” è diffuso, anche in terra d’Abruzzo, a tutti i livelli ed in molte discipline sportive.
Se applicassimo il celebre esperimento che spiega il fenomeno dei “piccoli mondi” verificando l’universalità dei “sei gradi di separazione” (vedi wikipedia) ognuno dei lettori di questo blog potrebbe essere associato ad un trafficante di sostanze dopanti, in pochi semplici passi.
Ora, come si fa a non condividere un richiamo alla correttezza proveniente dalle Istituzioni? Non dimentichiamo che il CONI, ha adottato il Codice della World Anti-Doping Agency (WADA) ed è, in Italia l’Organizzazione antidoping nazionale (NADO) riconosciuta dalla WADA. La NADO è l’ente nazionale al quale compete la massima autorità e responsabilità in materia di adozione e attuazione delle Norme Sportive Antidoping.
Se qualcuno volesse polemicamente sottintendere che era ora di svegliarsi, che si potrebbe fare di più, questo non mi sembra sufficiente a sminuire la coerenza del messaggio del Prof. Imbastaro. Certo è che la responsabilità in materia di adozione e attuazione delle Norme Sportive Antidoping non si può e non si deve limitare a stigmatizzare un episodio discutibile.
Ho alcune perplessità che espongo qui ed eventuali proposte da fare, in caso di reazione a quanto scrivo.
Una rivista Americana di psichiatria (World Psychiatry. 2007 June; 6(2): 118–123_Doping in sports and its spread to at-risk populations: an international review) ha recentemente sottolineato che” Gli atleti professionisti rappresentano spesso un modello per la popolazione adolescente e di giovani adulti , i quali, riproducono i loro comportamenti , incluso l’abuso di droghe.
Impressionano di più i dati citati nell’articolo e derivanti da interviste che la rivista Americana " Sports Illustrated” ha effettuato ad un campione di atleti olimpici di eccellenza. Una delle domande era: “Se le fosse fornita una sostanza dopante e lei non fosse scoperto/a e vincesse , accetterebbe la vittoria? Il 98 % degli atleti ha risposto “SI”.
La domanda più raggelante è stata: Se le fosse fornita una sostanza dopante e Lei, senza essere scoperto/a, sapesse di poter vincere tutte le competizioni per 5 anni e quindi morire, assumerebbe la sostanza? Più del 50% ha risposto “SI”. (Bamberger M. Yaeger D. Over the edge. Sports Illustrated. 1997;14:62–70.).
Persone più competenti di me potrebbero commentare che questo riscontro plebiscitario di ’’assenza di etica sportiva” sia stato supportato dalla lassità dei controlli che vigeva nel 1997, rispetto all’attualità (il 1997 è l’anno dell’indagine riportata, ben precedente l’ottobre 2005 , anno di ratifica dell’ UNESCO International Convention against Doping in Sport ed il Gennaio 2009, data in cui, il World Anti-Doping Code è stato reso esecutivo).
Comunque è bene continuare a stupirsi riguardo alla lentezza dei tempi “istituzionali” e “civili” su problemi non di secondo piano, a livello internazionale ci si chiede cosa risponderebbero gli intervistati - attuali - alle stesse domande del 1997 e a livello nazionale quanto sia attivo sull’argomento anche il Sistema Sanitario Nazionale.
Il problema irrisolto è dato dalla difficoltà - per ciascun atleta che mira all’ eccellenza - di riferirsi a persone corrette e competenti e/o di autoregolamentarsi sul tema doping. Ciò, in ragione del fatto che , per esempio, un/una professionista serio/a e che si allena migliaia di ore l’anno, che ha aspirazione di vincere una gara o, addirittura, un campionato – diciamo nell’ambito delle discipline più chiacchierate - volente o nolente sa:
Di dover fare i conti con le sostanze dopanti, per lo meno pensando di contrastare il vantaggio che gli altri concorrenti ai Titoli possano aver acquisito usando sostanze proibite;
Che , da un momento all’altro, qualche contrattempo potrebbe rendere positivi i controlli o renderlo/a vittima di altri “incidenti” da sovradosaggio delle sostanze dopanti di cui fa uso e – attenzione – ma di cui non abusa a norma di Codice.
Aumentare le pene e introdurre controlli stringenti è un modo di affrontare il problema, con risultati ancora deludenti.
Considerata la complessità dell’argomento oggi, sempre per esempio, a supporto di una/un atleta che vince le discipline “ricche” delle Olimpiadi, c’è una squadra come quella della Ferrari in Formula 1; a supporto di una/un ciclista dilettante, chi c’è?
Purtroppo, dato che sembrerebbe - con amarezza - che l’imbroglio - come la guerra - fa parte della natura umana a tal punto da sembrare irrinunciabile, spesso qualcuno del team sportivo – o delle cattive amicizie - è anche deputato a dare contenuto all’ adagio globalizzato: Fatta la legge, trovato l’inganno.
Per di più siamo circondati da esempi luminosi di personaggi pubblici che primeggiano anche perché totalmente privi del sentimento della vergogna – sentimento di autocontrollo individuale e “sociale” dominante nella cultura ellenistica che ha inventato le Olimpiadi - e che sono capaci - con tecniche giuridiche, di comunicazione e di vendita - di ribaltare il significato dei fatti. Oggi con il denaro ed il potere è possibile fissare le regole, costruire la “verità” di cui nutrire l’opinione pubblica e, magari, sgattaiolare nei meandri delle “leggi uguali per tutti”.
Ciononostante lancio una pietra nello stagno , appena increspato da una meritoria presa di posizione del Dirigente provinciale del CONI:
Considerati i messaggi che complessivamente emergono nelle società moderne , come si fa a spiegare, senza ricorrere a stratagemmi retorici o al nostro Signore – il “mistero”contenuto nello “spirito Olimpico” che afferma :
" L’importante è partecipare alle gare e non vincere. La cosa essenziale è gareggiare bene, non conquistare il podio”.
Tutti noi siamo consapevoli - non volendo fingere - che , per quanto nobile sia questo traguardo, esso ha ben poco a che fare con la realtà del mondo sportivo moderno. Eppure lo “spirito olimpico” è un traguardo perseguibile come ideale , un’aspirazione da condividere socialmente con vantaggio collettivo e che farà storia nel momento in cui avrà contribuito alla costruzione delle pratiche e delle norme adatte ai tempi ed alle condizioni realmente vissute dalle popolazioni a cui si rivolge.
Eppure, chi può scagliare la prima pietra in un mondo che monetizza in maniera sproporzionata il solo risultato vincente? Intendiamoci, parto da presupposto che:
Forme di doping esistevano già nei tempi delle olimpiadi antiche.
Forme di doping sono ammesse nelle more delle Norme Sportive Antidoping.
La mia opinione è che la lotta tra guardie e ladri , in un sistema fondato sul denaro, volge sempre a favore del malaffare.
Allora, in breve, la domanda che pongo, sapendo che potrebbe far esplodere un vespaio, ma alla quale non rispondo , anche se ho maturato un mio punto di vista è:
Ma è proprio sicuro che la soluzione sia nel proibizionismo?
Quale responsabilità ha, in questo scenario, la scienza ufficiale ? Dobbiamo constatare che, spesso, anch’essa si mostra asservita al potere ed al profitto e rimane assente quando si tratta di trovare ed esprimere pubblicamente soluzioni sostenibili ed applicabili ai problemi , nel rispetto della integrità psicofisica delle persone, più che della morale. Quello che fior di laboratori scientifici – talvolta pagati dai Governi - garantiscono, per certo in questo caso, sono scorciatoie chimiche e, in un prossimissimo futuro, addirittura di ingegneria genetica per sviluppare nuove, esoteriche ed irrintracciabili tecnologie di performance enhancement.
Secondo me: è fuori discussione che le questioni di soldi e di potere rendano detto spirito olimpico al momento impraticabile.
C’è ancora dell’altro da rilevare perché, a mio avviso, è difficile essere campioni privi di macchie.
Al proposito mi viene in mente il Presidente del CONI Petrucci, intervistato alla conclusione delle Olimpiadi di Vancouver. Sono stato colpito dalla sua reazione stizzita. Se la prendeva in particolare, contro gli errori di esecuzione che hanno portato la campionessa europea Carolina Kostner fuori dalla zona medaglie. Sono rimasto allibito quando ho sentito la povera e da me ammiratissima Carolina giustificarsi umilmente alla radio, dicendo che non sempre si può vincere e che aveva sudato molte camicie comunque, per arrivare tra le prime dieci nel mondo…
La dichiarazione della Kostner e la sensibilità “olimpica” del Presidente hanno suscitato in me una domanda impertinente e retorica, simile a quella del questionario del 1997 “Se alla Carolina fosse fornita una sostanza dopante che assicura l’equilibrio sui pattini anche nei momenti di panico e l’atleta non fosse scoperta e vincesse , il Presidente accetterebbe la vittoria?”
Continuano ad ammonire gli psichiatri americani: “Oggi nessuno sport è risparmiato dalla commistione di malaffare che conduce all’uso illegale di sostanze dopanti (infatti, per chi non lo sapesse ce n’è anche un uso legale, ma questa è un’altra storia. N.d.r.).
Oltre alle preoccupazioni, gli psichiatri, esprimono anche un messaggio di speranza , che rilancio:
“Gli atleti professionisti devono servire come modello e portavoce per stili di vita e di sport privi di sostanze dopanti. Questa posizione dovrebbe essere supportata dai media , proprietari di squadre, federazioni sportive internazionali fornendo leadership e patrocinio di programmi di educazione antidoping nello sport, senza riguardo per i costi e le conseguenze.”
Il mio punto di vista è che, impedendo le apparizioni pubbliche di Alberico Di Cecco si fa una bella figura dignitosa e, insieme, un cattivo affare. Non è vietando la vista di qualcuno, occultando il misfatto, che si esercita un insegnamento; casomai, ricevendo una testimonianza di vita da chi ammette di aver sbagliato si impara a vivere senza ipocrisia.
Saluti.
Valerio Di Vincenzo