lunedì 30 marzo 2020

DIDATTICA E DISTANZE



La 'quarantena nazionale' durerà più di quaranta giorni. E così pure il 'digiuno' da certe consuetudini  messe alla frusta da una necessità oggi sconosciuta a molti di noi, quella di apprendere, velocemente, ciò che intendeva Henry David Thoreau nel suo "Walden ovvero Vita nei boschi":

«Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Il fatto è che non volevo vivere quella che non era una vita a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa, volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici».

Già, "falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici".

Già, la semplicità.

Perciò penso al mio impegno nella scuola, alle mille e una difficoltà che bimbi e ragazzi (ma anche docenti e genitori) si trovano  a vivere oggi in un'esperienza scolastica che certuni, sbrigativamente, ritengono essere "diversa e piena di opportunità".

Sappiamo bene che empatia e simpatia non si ottengono facendo download o 'materializzandosi', più o meno virtualmente, attraverso display e monitor dei diversi device utilizzati. Ricordo pure a me stesso che le piattaforme digitali per le classi virtuali sono ancora una chimera per molti studenti ed insegnanti. Il digital divide è una realtà che credo confligga con le convinzioni della ministra dell'Istruzione, forse improntate ad un eccessivo ottimismo: "Il 67% delle scuole con didattica a distanza" (in Senato il 26 marzo u.s.).

Non tutti i bimbi e i ragazzi possono disporre a casa di un computer e/o un tablet, spesso usati dai loro genitori per lo smart working; stampare i materiali didattici inviati sta diventando una missione impossibile. La maggior parte dei genitori ha difficoltà nell'uso del software in uso negli istituti dei loro figlioli. Molti docenti sono 'semi-analfabeti' in ordine alla didattica digitale.

E comunque, anche se il 67% delle scuole italiane è capace di realizzare la didattica a distanza, il 33% di quelli che non possono realizzarla è un dato davvero inquietante.

"Falciare ampio e raso terra", scriveva Henry David Thoreau. È tempo che si torni tutti a scuola, per recuperare davvero l'essenza di una relazione fin troppo 'edulcorata' da certi 'pifferai magici' delle nuove tecnologie e dal loro bisogno di fare cassa sulla pelle dei nostri figli, soffiando su risibili narcisismi digitali di molti - troppi? - zelanti 'professori'.

Soluzioni a buon mercato per risolvere le mille e più difficoltà dell'essere comunità educante, in questo momento, non esistono. Non ci sono bacchette di Harry Potter capaci di rendere 'piano' e senza inciampi un percorso che era difficile e pieno di ostacoli ben prima dello tsunami del Covid-19.

Esiste però il buon senso, l'impegno continuo e appassionato di Tutti, la capacità di ascoltare, di esprimersi senza il timore di venir giudicati, una volta per tutte, in ogni occasione di confronto dialogico; bisogna lavorare sulla capacità di rimettersi in gioco e costruire con rinnovata sensibilità umana, insieme agli altri, strumenti e metodi utili per crescere.

Noi, Tutti Noi, nonostante gli inevitabili momenti di stanchezza e sconforto, stiamo lavorando a questo. E sapere di essere tutt'altro che soli, nonostante tutto, ci dà una forza immensa.

martedì 17 marzo 2020

RESALIO


Lo Sport può essere una palestra esistenziale perfetta, dove nell’esasperazione delle difficoltà, vissute nel corpo e nella mente, è possibile migliorare quella capacità psicologica preziosissima che è la resilienza. 

“Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per 
risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni 
rovesciate con il verbo «resalio». Forse il nome della qualità di chi non perde mai la 
speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui”. 
(Trabucchi, 2007). 

Lo Sport contemporaneo, ossessionato dalla ricerca del risultato, del primato agonistico ad ogni costo, ha perso di vista uno degli oggetti originari e principali del suo esistere: la formazione di individui capaci di fronteggiare stress e difficoltà, non solo in ambito sportivo. 

Se non si riparte dall’Educazione temo che non solo non avremo più Campioni veri, ma perderemo, definitivamente, il senso, e così i vantaggi, di una meravigliosa, necessaria opportunità.

giovedì 12 marzo 2020

PICCOLE PAURE DEVASTANTI


- Signore, si allontani!

Sono al supermercato di fronte casa. È il mio quartiere. Gente che conosco e che mi riconosce. Ma la signora che mi intima di stare distante, in prossimità del banco salumi, non so chi sia - ha la mascherina - e mi fa paura, oltre a generare in me un sentimento di imbarazzo misto a puerile vergogna.
Faccio due passi indietro e mi scuso con lei, arrossendo.

Il direttore del supermercato vede la scena e mi sorride, imbarazzato pure lui. È il figlio di un mio carissimo amico. Gli sorrido pure io, ma faccio fatica. Anche lui fa fatica (è dalle cinque del mattino che è in piedi).

Un uomo avanti con l'età cerca di infilarsi i guanti che danno all'ingresso. Ce l'ho di fianco, a circa un metro. Stavolta dovrei essere tranquillo. Ma quello non riesce a scollare i lembi dei guanti del reparto ortofrutta, e quindi trova sensato sputarsi sulle dita per 'scollarli'.
Questa volta alla paura che mi corre per la schiena segue uno stentoreo 'NGULAMMAMMETE - tutto interiore, per carità.

Ci si odia e si trema, tra angusti scaffali semivuoti. Un odio ridiretto e antico, per molti quasi necessario.

Bramo l'uscita. Fuori ci si odia di meno, mi pare.
Ma la via che porta alla cassa è una tonnara, coi clienti che hanno la testa minacciosa e piena di punte - lo so, sto delirando - come il Coronavirus...

Infilo barattoli, pacchi e pacchetti nelle buste, muovendomi come un capitone il mattino del 31 dicembre. Digitare il pagamento mi dà quasi piacere.
Ce l'ho fatta, sono fuori!

Purtroppo ho dimenticato le uova e il napisan. Voglio morire.

mercoledì 4 marzo 2020

QUALI TALENTI?


Lancio la trita provocazione, fidando nella benevolenza di chi legge e nel risibile alibi del panico da virus pandemico, qualora sparassi solenni baggianate.

“Nello sport di vertice attuale si definisce talento un soggetto che, tenuto conto dell’allenamento già realizzato, è capace di prestazioni sportive superiori alla media rispetto a gruppi di riferimento di soggetti dello stesso livello di sviluppo biologico e con abitudini di vita simili. Per cui, tenendo conto delle disposizioni personali interne (endogene) alla prestazione e di condizioni esterne (esogene), si può ragionevolmente supporre e, in particolare, si può determinare attraverso modelli matematici, che nella successiva fase di sviluppo potrà ottenere prestazioni sportive di alto livello” (Hohmann, Carl, 2001).

Bene, attraverso la citazione di Hohmann, si può provare a riflettere sul concetto spinoso di talento sportivo. Sembra chiaro – purtroppo non a tutti – che per avere dei campioni nello sport (ma campioni veri, mica chiacchiere!) occorre lavorare su talenti veri. È altrettanto evidente che dalle nostre parti – così come altrove – un bambino che sgambetta decentemente, e che magari vince qualche competizione stradale nelle infinite sagre paesane estive, spesso finisce con l'alimentare i sogni di gloria dei propri familiari, così come il chiassoso fanatismo di amici e conoscenti. Un ‘onesto’ allenatore, dal talento non necessariamente eccelso, sa come evitare le trappole dei “tutori dei talenti per forza”, quei genitori, parenti e ‘affini’ convinti fino allo spasimo della straordinaria bravura e del conseguente futuro luminoso dei loro ‘protetti’.

Un buon allenatore, quindi, cercherà, quanto più potrà, di tenersi a distanza dall’esercito di campioni mancati e mancanti, col loro coro di supporters, consanguinei e non, capaci di alitare sul collo del malcapitato di turno la propria livorosa apprensione, anche a parecchi chilometri di distanza. Pia è l’illusione di convincere costoro della pericolosità del loro agire nevrotico.

All’uopo, come spesso accade in questi miei post, ci viene in soccorso il grande Flaiano: “Il peggio che può capitare ad un genio (così come ad un talento sportivo, nds) è di essere compreso”.