- Signore, si allontani!
Sono al supermercato di fronte casa. È il mio quartiere. Gente che conosco e che mi riconosce. Ma la signora che mi intima di stare distante, in prossimità del banco salumi, non so chi sia - ha la mascherina - e mi fa paura, oltre a generare in me un sentimento di imbarazzo misto a puerile vergogna.
Faccio due passi indietro e mi scuso con lei, arrossendo.
Il direttore del supermercato vede la scena e mi sorride, imbarazzato pure lui. È il figlio di un mio carissimo amico. Gli sorrido pure io, ma faccio fatica. Anche lui fa fatica (è dalle cinque del mattino che è in piedi).
Un uomo avanti con l'età cerca di infilarsi i guanti che danno all'ingresso. Ce l'ho di fianco, a circa un metro. Stavolta dovrei essere tranquillo. Ma quello non riesce a scollare i lembi dei guanti del reparto ortofrutta, e quindi trova sensato sputarsi sulle dita per 'scollarli'.
Questa volta alla paura che mi corre per la schiena segue uno stentoreo 'NGULAMMAMMETE - tutto interiore, per carità.
Ci si odia e si trema, tra angusti scaffali semivuoti. Un odio ridiretto e antico, per molti quasi necessario.
Bramo l'uscita. Fuori ci si odia di meno, mi pare.
Ma la via che porta alla cassa è una tonnara, coi clienti che hanno la testa minacciosa e piena di punte - lo so, sto delirando - come il Coronavirus...
Infilo barattoli, pacchi e pacchetti nelle buste, muovendomi come un capitone il mattino del 31 dicembre. Digitare il pagamento mi dà quasi piacere.
Ce l'ho fatta, sono fuori!
Purtroppo ho dimenticato le uova e il napisan. Voglio morire.
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