mercoledì 16 dicembre 2015

La medaglia, la medaglia, la medaglia...


Qual è il valore autentico di una medaglia olimpica? Difficile rispondere, oggi, ché parlare di autenticità dinanzi agli ori, agli argenti e ai bronzi riassegnati per effetto di squalifiche per doping, ‘a orologeria’ e sempre troppo tardive, è cosa grottesca assai.
Quattro anni passano presto, ed eccoci di nuovo a discutere di olimpiadi, a fare voti affinché vi sia per l’atletica la possibilità di ottenere qualche sparuta medaglia - in verità nessuno credo sia più disposto ad illudersi -, o almeno un tenue segnale di ripresa che apra alla sobria concretezza di un’inversione di tendenza.

Dunque, riformulo la domanda iniziale e ne faccio subito un’altra: qual è il valore autentico di una medaglia olimpica vera? (L’aggettivo, ahimè, si pone come drammaticamente necessario). Possono ancora bastare talento e metodo per raggiungere il podio di Rio 2016?

Non ho risposte a buon mercato, ma voglio ripartire da un sogno che, circa 24 anni fa, prese la forma di una magnifica e tangibile realtà. Un bronzo olimpico, unica medaglia per l’atletica italiana a Barcellona, nel 1992. La sintesi del comunicato stampa di presentazione del Progetto 92 (progetto ferocemente voluto da me e dall’amico Valerio Di Vincenzo) recitava così:
 
Il progetto 92 si pone l'obiettivo di applicare una metodologia scientifica a tutti gli aspetti che riguardano la prestazione di un'atleta di eccellenza. Esso parte dall'osservazione dei molteplici fattori che in forma non strutturata rappresentano l'attività che viene svolta dall'atleta Giovanni de Benedictis e dall'entourage che lo sostiene a livello tecnico, organizzativo e medico-scientifico. Da questo punto viene avviata una analisi che pone al centro dell'attenzione i fattori che determinano l'ottimizzazione del rendimento di una prestazione e in tal modo è possibile descrivere le linee guida da seguire allo scopo di costituire una procedura razionale, riproducibile e verificabile che va seguita allo scopo di ottimizzare la preparazione dell'atleta.

Il Progetto 92 fu il prodotto di un intuito plurale, competente e appassionato. Un’iniziativa “fuori dal coro” che non temeva il confronto intellettuale, vivace, serrato, ad ogni livello e contesto. 
Sono passati quasi 24 anni da quella meravigliosa esperienza in terra catalana. Ed io torno a dar forma ad un sogno...

domenica 22 novembre 2015

Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus


Benedetta gioventù, siamo soliti ripetere. Ora io non so se sia davvero benedetta la gioventù che mi gira intorno, certo è che qualche conto non mi torna. È da un po' che, da allenatore, vado facendo riflessioni 'metasportive'. La più frequente suona così: in atletica leggera i ragazzini italiani sono tra i più performanti al mondo. Anche nelle discipline dell'endurance (udite udite!), i nostri sedici-diciassettenni sono tra i più bravi del pianeta. Poi però, intorno ai diciotto anni, qualcosa si interrompe. I risultati cominciano a stagnare, i passi si fanno vieppiù pesanti, gli sguardi diventano opachi e... puf! Arriva il drop-out.

Ok, la sto buttando giù semplice; banale, quasi. Ma nella mia piccola, personale, statistica sportiva ci sono troppi esempi che vanno in quella direzione. È come se la 'magia' di una vita scandita da ritmi regolari (studio, gioco-allenamento, riposo) sia possibile, quando tutto va bene, fino ai quattordici anni (forse anche tredici o dodici); dopo di che i genitori sembrano, progressivamente, abdicare a talune responsabilità genitoriali: il dialogo sfuma, le parole perdono consistenza, le regole che governavano la sana 'normalita' della vita familiare sciolte, come neve al sole."La vita di un atleta vero può essere teribilmente monotona", mi diceva l'altro giorno un medico sportivo. "È nella regolarità di certe sane abitudini che maturano i risultati di eccellenza (le nove-dieci ore di sonno, sempre nella stessa fascia oraria, la corretta alimentazione, i giusti carichi di allenamento)...".

E già. E allora sorrido, pensando alle spie verdi su facebook, quei pallini luminosi che segnalano la presenza in chat degli utenti. All'una di notte, ed oltre, è pieno di adolescenti 'accesi', da gennaio a dicembre, sedentari e non. Leptina e somatotropina fanno loro "ciao ciao". Lo Sport sarà per un'altra volta, magari intorno ai quarant'anni. Ma questa è un'altra storia.

martedì 17 novembre 2015

Dell'autonomia e d'altre necessità





Puoi insegnare loro a filar via veloci come spade, a rimbalzare come palline di caucciù, a scivolare 'liquidi' sull'asfalto come gocce di pioggia sul parabrezza. Puoi insegnare loro questo e mille altri artifizi tecnici. Ma se nessun passo sarà stato mosso verso l'autonomia, se dinanzi ad una domanda che esige una scelta netta, personale, campeggia l'espressione vacua e sorridente di un ragazzino smarrito, allora tutto il lavoro svolto sarà stato inutile, ed il futuro - non solo quello sportivo - si presenterà assai incerto.

Nihil sine magno labore vita dedit mortalibus, ci ammonisce Orazio. La vita non è una maratona, né una 100 km; è cosa più dura e 'seria', e il giovane atleta che si appresta a diventare 'professionista' dell'endurance podistico - non necessariamente estremo - va innanzitutto educato alla realtà, alla consapevolezza; all'autostima e, soprattutto, al rispetto di sé e dell'altro da sé. Lavoro duro per chi educa, oggi. Lavoro improbabile per chi allena giovani atleti, se le famiglie di questi non garantiscono una presenza educativa qualitativamente sufficiente.

"La potenza è nulla senza il controllo", recitava il jingle...

venerdì 6 novembre 2015

Cementum


Spesso - molto spesso - è la convivialità buona che conchiude sentimenti e finalità alti. Lo Sport che amo vivere è fatto di volti diversi, di storie singolari e di energie collettive; di gente che rema nella stessa direzione e che è capace di condividere la limpida e struggente complessità di ricordi che pensavo sbiaditi. 

Ieri sera da Lello Fioccola siamo stati bene. Perché si era davvero fuori da ogni nevrosi agonistica; da ogni esasperazione podistica; da ogni tentativo di usare lo sport per essere altro da ciò che in realtà siamo. Ieri un passo è stato mosso. Un “passologico”.

sabato 29 agosto 2015

Mediocritas sine auro


"Fuggo" ormai sistematicamente da certi thread o gruppi tematici sulla marcia atletica, dove alla riflessione tecnica costruttiva, al confronto civile ed equilibrato si preferisce la rissa da (bar dello) stadio. 
Quando le migliori energie intellettuali di certuni, esperti o semplici appassionati del tacco-punta, vengono indirizzate verso il loop ossessivo del dissenso sul rientro alle competizioni di Alex Schwazer, non dobbiamo meravigliarci se l'analisi oggettiva, lucida, dei risultati di questi mondiali pechinesi fa emergere, nella sua raggelante crudezza, l'evidenza apparentemente dispregiativa di un sostantivo. Dire "mediocrità" non è dire una 'parolaccia'. È prendere oggettivamente, matematicamente, coscienza di essere 'piantati' lì, nel mezzo tra due estremi.

mercoledì 26 agosto 2015

Ripensando alla corsa verso il mare


Riprendo un post di cinque anni fa, ancora drammaticamente attuale.
Quando penso ai nostri "mini-mezzofondisti" (o "mini-marciatori") corro con l'immaginazione ad una metafora, quella delle tartarughine Caretta Caretta che, appena dopo la schiusa, cercano disperatamente la via del mare, il loro naturale, innato bisogno di futuro, di crescita; di continuità. Anche i mini-mezzofondisti (i mini-atleti, tout court) cercano per istinto qualcosa del genere. Pochissimi raggiungeranno il mare. Sembra crudele, ma deve andare così...
(Troppi "gabbiani" col cronometro ad attenderle, sui campi di atletica e tra le mura domestiche, ahimè).

lunedì 10 agosto 2015

Vividi ricordi sbiaditi

(ph Antonio Ibba)

Agosto 1986. Foto di gruppo a conclusione di una faticosissima Amatrice-Configno. Renato D'Amario, il primo da destra, in piedi, sembra nascondere coi baffetti affilati un sorriso ironico e compiaciuto; sotto il braccio sinistro stringe una sorta di scartafaccio di nomi e numeri: la classifica di quella formidabile edizione della classica "stradale amatriciana". Nei giorni a seguire Renato la esibirà con malcelata vanità nelle principali redazioni giornalistiche locali.

Gioventù multiforme dentro quella foto. Ragazzini vivaci assai e campioni mondiali; tapascioni, atleti di buon livello e semplici appassionati, tutti insieme ché quella era l'atletica di Renato: un grumo compatto di umanità uguale e diversa; uguale nella capacità di condividere il dolore soave della fatica e diversa nelle possibilità individuali di esprimerla.

Renato D'Amario ci voleva bene. Senza troppi giri di parole ci indicava la via da seguire, attraverso la rustica allegoria del correre a piedi.

E allora eccoli lì i suoi ragazzi: Antonio Ibba (la foto è sua), secondo da sinistra, in piedi e con l'asciugamano; dietro di lui, terzo da sinistra, in piedi, il keniano John Ngugi, 5 volte campione mondiale di cross country e campione olimpico dei 5000m nel 1988. Quel giorno finì sulle ginocchia a qualche metro da me; io col primato personale e lui, perso dentro chissà quali pensieri.

E poi Paul Kipkoech, keniano di Eldoret, il sesto da sinistra, in piedi e con una fascetta bianca sul collo. Un'ora prima aveva sbriciolato il record della gara, salendo sui tornanti che portano alla frazione di Configno con l'irreale eleganza di un keniano atipico. Paul era etereo come un sogno al mattino e come i sogni che si fanno poco prima di svegliarsi ci lasciò, nel 1995, stroncato dalla malaria; non prima di aver vinto un mondiale sui 10.000m a Roma nel 1987 e 3 campionati mondiali di cross country.

E infine Marco Barbone, allora sedicenne, accosciato al centro della foto. Capelli ricci e talento da vendere (nel 1989 mancò d'un soffio l'oro sui 1500m ai Campionati Europei Junior) era il 'gioiellino' di Renato D'Amario.

Sì, c'ero pure io. Con gli occhi chiusi, terzo da sinistra, in piedi. Quanto mi manca la leggerezza di quei giorni là.

martedì 4 agosto 2015

Terremoto antidoping e logiche inquisitorie unidirezionali



Sventagliata di valori ematici "sospetti" oppure "anomali". È l'atletica che va dal 2001 al 2012 secondo il Sunday Times e l'emittente tedesca ARD TV
L'ennesimo terremoto mediatico in chiave doping sembra però destinato a sortire effetti significativi e duraturi nell'ipnagogico mondo di certo sport, sempre meno credibile sul piano dei risultati agonistici, e 'benedetto' dalla cieca ottusità di chi è uso a mitizzare il fenomeno di turno, senza "se" e senza "ma", magari da un pulpito televisivo, microfono in resta.
12.000 test ematici effettuati su 5.000 atleti, dal 2001 al 2012, dunque. L’Italia è al 28° posto con 6 casi con valori degni di attenzione. E mi sorprende la (mancanza di) logica di chi continua ad accanirsi su Alex Schwazer, il solo tra i summenzionati 6 i cui dati ematici sono noti e valutati dal Panel internazionale. Evidentemente all'inquisitore unidirezionale di turno gli altri 5 non interessano.

sabato 25 luglio 2015

Fisiologia altra


Esperto, ex atleta - Sestriere ha un tipo di altura che rende molto. Sono 2000 m che hanno una qualità molto elevata...

Giornalista - Cosa vuol dire “che hanno una qualità elevata”? Perché c'è la vegetazione?

Esperto, ex atleta - Perché probabilmente ci sono delle condizioni...

Giornalista - Perché c'è la vegetazione?

Esperto, ex atleta - Credo che ci sia un fattore fisiologico che rende meno pesante l'allenamento al Sestriere, ma nello stesso tempo offre delle caratteristiche sulla qualità di ritorno a livello metabolico, molto, molto buone...

mercoledì 15 luglio 2015

Microfoni, trombette e vecchi tromboni


Riflessione 'a freddo'. Domenica pomeriggio ero al Meeting "G. Cornacchia" a Pescara. Guardavo le gare dal rettangolo di gioco; con me altri amici (tutti tecnici e in qualche modo impegnati a dare una mano). Come spesso accade, quando l'ingresso al campo non è rigidamente regolato da accrediti "et similia", nel momento clou della manifestazione si è creata un po' di caciara (era tutto un vociare di ragazzini e curiosi d'ogni sorta). Invitati dai giudici ad uscire e sistemarci sugli spalti, per non intralciare il loro lavoro, mi dirigevo con l'amico Augusto Vancini verso l'ingresso di maratona. Mai avrei pensato di dovermi imbattere nella puerile arroganza dello speaker (peraltro uno stimato professionista che conosco da circa trent'anni) che,“microfono in resta”, provetto buttafuori, ci 'invitava' ad accomodarci in tribuna, apostrofandoci con un sarcastico: “Dove andate? Non fate gli americani!”.

Uno speaker, ridotto al ruolo di tristo buttafuori dal sarcasmo greve e umiliante, è la cifra perfetta di uno sport vecchio, autoreferenziale e involontariamente comico. Le tribune sono vuote - forse l'invito, strillato a mezzo microfono, era un maldestro tentativo per riempirle - e l'Atletica, per chi la guarda dall'esterno, può apparire come una malinconica combriccola di antichi conoscenti, inclini ora all'amarcord ora alla cagnara per quattro stracci.

Peccato, ché di forze vive, fresche, ce ne sono e si danno un gran da fare (coi ragazzini che tornano a correre, saltare, lanciare e finanche marciare). Siamo un Paese vecchio e lo sport, oggi, ne è grottesca rappresentazione allegorica; e, forse, ha ragione lo speaker: a Pescara sono proprio un americano o, meglio, un marziano. Un marziano a Pescara.

lunedì 22 giugno 2015

Eppur si cresce...


Quando le cose vanno bene, quando butti 2 euro per terra e saltano su fior di zecchini tutto sembra facile, ed è facile sentirsi buoni allenatori. Poi però si cresce, qualcosa cambia, i conti sembrano non tornare più e si può andare nel pallone. Allenare i giovanissimi è mestiere difficile, ma avvincente. I valori cambiano di giorno in giorno, così come gli sguardi, i sorrisi, le aspettative. I sogni.
Vanessa è tornata, non ne avevo alcun dubbio. Il progetto è solido. I passi che si muovono insistono su un sentiero sicuro. Scientifico; umano.
Giacomo sorride. È già in piedi e corre, corre sicuro. E con lui Armando, Alessio, Veronica, Ornella. E poi Genny, che marcia pure lei.
Si cresce, dicevamo. Ed io con loro.

lunedì 15 giugno 2015

Famolo estremo

Chi mi conosce sa qual è il mio pensiero sull'"estremo", podistico e non. L'Ironman 70.3 svoltosi ieri nella 'mia' Pescara è stato un bel momento di festa e di sana aggregazione, 'punteggiato', ahimè, da troppi episodi ascrivibili alla dilagante subcultura sportiva dei "supermen per un giorno". 

A volte, dentro talune manifestazioni sportive, farsa e tragedia girano a braccetto. Ci sono quelli che, senza ironia alcuna, si sentono davvero "campioni" per aver concluso la propria fatica 'strisciando' fino al traguardo; ed altri che prendono un "coccolone" perché non correttamente allenati o incapaci di stare entro i limiti reali dei propri mezzi fisici.

Fare Cultura è un'impresa più dura di 1000 Ironman, nevvèro?

domenica 14 giugno 2015

Naturali metamorfosi


Quando arrivò al campo aveva 12 anni. Magro magro e dinoccolato. Giacomino non aveva mai visto gli skip manco col binocolo e quando provava ad eseguirli faceva salire insieme ginocchio e braccio dello stesso lato. Qualche 'illuminato' mi sfotteva pure quando lo facevo correre con le marciatrici, per costruire quel minimo di resistenza aerobica che allora non aveva.
Giacomo oggi ha 17 anni e corre gli 800 in 1:56.46. Quasi 5 anni di lavoro paziente; costante. Era un cigno, anche se non lo sapeva (quasi) nessuno.

venerdì 1 maggio 2015

Altri podi


Chi non ha elaborato il lutto della perdita del proprio ruolo professionale (questa può essere la condizione degli atleti di livello medio-alto, chiusa la carriera agonistica), spesso ha dinanzi a sé due vie: quella del moto perpetuo alla ricerca di una patetica visibilità ad ogni costo (teatrini pseudo-politici inclusi), oppure il mesto sentiero dell'oblio, cercato con pervicace volontà, non senza maledire gli uomini e talvolta anche il Cielo.

Questa mattina, a ventun'anni esatti dalla scomparsa di Ayrton Senna, ho condiviso volentieri con Evelina la visione del documentario "Senna", diretto nel 2010 da Asif Kapadia. Bello. Appassionante. Struggente.
Senna, uno che il lutto lo elaborò in silenzio durante gli anni migliori della sua carriera, fino a qualche mese prima di morire, a Imola, in quel tragico primo maggio del 1994: l'istituto che porta il suo nome (Instituto Ayrton Senna), fondato dal pilota nell’inverno del 1993, fino ad oggi ha realizzato programmi di scolarizzazione e assistenza medica per oltre 16 milioni di bambini. (“L’istituto incassa 2 milioni e mezzo l’anno dalle royalties sui prodotti a marchio Senna – spiega Claudio Giovannone, padrino per l’Europa dell’Istituto Ayrton Senna – e li spende tutti in programmi di assistenza all’infanzia: dallo studio al gioco, alle cure mediche, per cercare di dare al maggior numero possibile di bambini brasiliani la possibilità di avere un futuro”).

"I ricchi non possono vivere su un'isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità". (Ayrton Senna)

giovedì 16 aprile 2015

Citando Cioran e Pasolini, scomodando Merckx


In questi giorni sto scrivendo poco. In compenso leggo molto; forse troppo. E leggendo leggendo mi sorprendo, una volta di più, nel trovare dalla stessa parte della barricata personalità diversissime e apparentemente inconciliabili. Che strano. Che bello. Un'occasione in più per dire: “Sto marciando bene”. 
Si può essere pro o contro qualcosa, o qualcuno; ci mancherebbe. Opinioni. Mi diverto però a rilevare come in determinate circostanze - quando si accendono le luci su ciò che molti ritengono essere un palco - le piccole e grandi nevrosi individuali (come il bisogno di essere costantemente e mediaticamente riconosciuti; una 'degenerazione' del bisogno di stima maslowiano), i soliti giochi di potere, la violenza (verbale e non) ri-diretta, di chi è stato vittima di quegli stessi giochi (che oggi magari gli fanno pure da volano per il proprio sfogo), si fondano per comporre un unico, sdegnato e spesso sarcastico, fronte del dissenso.

Mia moglie Evelina, profetica ed intelligente più della Cassandra omerica, ha aperto oggi il suo "Buongiorno" su facebook con un aforisma di Cioran: "L'intellettuale rappresenta la disgrazia più grande, il culmine del fallimento per l'homo sapiens". (Emil Cioran, Sillogismi dell'amarezza, 1952). Ed io, da molti definito "un intellettuale del cazzo", non faccio nulla per smentirmi citando un intellettuale vero: Pier Paolo Pasolini; perché, come diceva la poetessa Rita Ciprelli: "L'amore non necessita del dialogo; ha bisogno soltanto di parole".

Ecco perciò parole, per chi ancora riesca nel difficile esercizio della curiosità, quella puerile. Buona lettura, se Vi va.

Da "Le vittorie di Merckx sono scandali" (P.P.Pasolini, Tempo, n.23 a. XXXI, 7 giugno 1969)

[...] Ora, io avevo accettato di partecipare al «Processo alla tappa», invitato dai suoi organizzatori, per una sola ragione: perché mi avevano detto che avrei discusso con Merckx del problema del rapporto tra «nazionalismo» e «sport», cui avevo accennato in una nota (sempre qui, nel «Caos», «Tempo» n.19). Non so per quale ragione, senza preavvertimento se non all'ultimo istante, Merckx è stato sostituito con Adorni (l'unico viso piccolo-borghese, ancorché grazioso, tra tutti i simpatici visi popolari dei ciclisti: Adorni farà, questo è certo, più carriera come annunciatore della televisione che come ciclista). Così si è parlato del più e del meno, cioè del nulla. Ma ho in compenso intuito, attraverso questa esperienza, ciò che è cambiato e ciò che non è cambiato nel «corpo» di un atleta, rispetto a venti-venticinque anni fa: si è radicalizzato in esso il conflitto tra realtà e irrealtà. La realtà è esistenziale, col suo bello e il suo brutto (nei corridori ciclisti - operai, contadini - prevale il bello, l'innocente, e se la coscienza di classe c'è come in Taccone, è priva di stupida aggressività): l'irreale è la cultura borghese di massa, coi suoi media. Ebbene, in Dancelli, in Taccone, figure umane in carne e ossa viene vissuto il conflitto tra questi due mondi: la loro simpatia umana è insopprimibile, a tutt'oggi, eppure qualcosa tende con violenza a sopprimerla: e loro lo sentono. Lo sentono magari limitatamente alle ingiustizie «pratiche» quotidiane. Essi non osano dire la verità (della loro situazione pratica), ma l'alludono soltanto: se la dicessero farebbero una cosa sconveniente rispetto al  «video» e ai loro datori di lavoro. Un atleta ha un solo modo per realizzare pienamente la propria libertà: lottare liberamente per vincere. Le vittorie sembrano invece regolate da una volontà repressiva, che umilia i corridori. Essi sono dunque fisicamente gli stessi che venti-venticinque anni fa, mentre il loro rapporto reale con noi ha subito irrimediabilmente un ulteriore processo di alienazione e falsificazione. Merckx è un grandissimo campione perché vince indipendentemente da tutto questo. Il corpo di Merckx è più forte del consumo che se ne fa. Le vittorie di Merckx sono scandali.

lunedì 16 marzo 2015

Lontani nel fango


Non sono uso a mitizzare il senso della fatica nello sport, piuttosto cerco di rifletterci su e a fondo. La corsa campestre, svuotata della trita e pericolosa retorica del "se non fa male non fortifica" (quanti "over 30" hanno attaccato anzitempo le scarpette al chiodo per preparare un cross in più), può essere assai formativa per un giovanissimo mezzofondista. Ma non solo. Può essere molto utile anche agli allenatori-educatori, perché il fango (usando una sineddoche) è il termometro che può indicare lo stato di salute del mezzofondo giovanile (veloce o resistente che sia, si badi!). E quando si arriva distanti, lontani dai primi nel fango, qualche domanda bisognerà pur farsela.

lunedì 9 febbraio 2015

Bisogno di "passologico"


Alessio Bisogno vince a Casetelfrentano - terra frentana, terra d'Abruzzi - il titolo di Campione
Regionale Assoluto 2015 di Corsa Campestre
. Alessio corre per "passologico"; con "passologico". Ed io mi emoziono perché ha dimostrato come sia possibile migliorare, fino a raggiungere obiettivi prestigiosi (perché vincere un titolo regionale assoluto di cross vuol dire entrare nella storia abruzzese della specialità), partendo dalla più umile delle 'gavette sportive'. Oggi Alessio è un ex tapascione e lo dico con orgoglio. Come dice bene lui, ha impiegato nove anni per riuscirci. Un insegnamento per tutti, soprattutto per i più giovani; quelli che, alla prima difficoltà, o mossi dalla smania di fare subito chissà cosa, ad un certo punto 'cambiano aria'...
Bravo Alessio, andiamo avanti.

sabato 7 febbraio 2015

I muscoli efficienti della mente

Qualche anno fa scrivevo "Necessario insondabile", una breve riflessione su certi passaggi, necessari e ricorrenti, della vita sportiva di giovani fondisti dell'atletica leggera. Faceva così:

"La penna corre sulle pagine cincischiate di una vecchia agenda sponsorizzata. La mano ha fretta di chiudere un laconico appunto: «Fondo medio saltato per affaticamento muscolare». L’allenatore chiude l’agenda, butta la penna dentro una tasca della borsa porta computer e ferma il cronometro che avrebbe continuato la sua corsa regolare e spietata. I cronometri non accumulano fatica, non hanno anima né fanno sconti. Gli allenatori lo sanno. Distillando numeri in successione sessagesimale trasformano i sogni in verità approssimate.« Le gambe non vanno, non riesco a farle andare. Non ci capisco niente » fa l’atleta con voce incolore. Non c’è tristezza nelle sue parole, neanche preoccupazione. Una strana spossatezza impasta muscoli e pensieri in un unico grumo insolubile. In momenti come questi c’è bisogno di parole, ma non di risposte. Le risposte, quelle giuste, più o meno definitive, arrivano sempre qualche passo più avanti e sono buone per un’altra storia, che avrà comunque bisogno di altre parole. Questo, forse, è il senso ciclico dell’esperienza".

Non c'è giorno che io viva sul campo che non rechi l'insegnamento misterioso ed esatto della necessità del dialogo sereno tra atleta e allenatore. Perché sì, c'è "[...] bisogno di parole, ma non di risposte. Le risposte, quelle giuste, più o meno definitive, arrivano sempre qualche passo più avanti e sono buone per un’altra storia, che avrà comunque bisogno di altre parole." 

Non c'è 'biologia' che tenga dinanzi alla parola che scioglie, magicamente, grumi di fatica e blocchi apparentemente insolubili.

Mi rammarico di non essere riuscito a parlare con tutti i miei ragazzi, negli anni, dedicando ad ognuno di loro quel tempo speso nella chiacchierata buona. Ed il mio pensiero va a quanti hanno lasciato, per una parola di meno piuttosto che una ripetuta sui 1000 metri in più. Ma forse, in fondo, chi lascia per cercare altrove 'qualcosa', non riesce ad andare oltre le ripetute...

domenica 25 gennaio 2015

Ci vuole un "passologico"


Che bella la foto d'esordio dei miei ragazzi alla prima uscita federale del 2015 (il CdS Regionale di Cross a Pescara). Che bello quel 4° posto a squadre (nella classifica provvisoria) davanti a sodalizi sportivi che hanno fatto la storia dell'atletica abruzzese. Quei volti, i volti dei miei ragazzi, dicono più di mille racconti. Peccato, ché io non c'ero, impegnato a Formia per l'ennesimo corso federale. C'era però un emozionatissimo Mauro Trubiano (nella foto il primo da destra), amico-presidente della mia-nostra nuova creatura: l'asd passologico, la risposta umana (non la sola in Abruzzo, ci mancherebbe) e pacata a certo agonismo "di ritorno". 

Tapascioni che mettono le chiodate per correre intorno ai 4'/km (e qualcuno pure a 5'/km), che le scelgono con la cura che neanche un Ovett avrebbe usato, al massimo della sua condizione atletica. Amatori assatanati che massacrano ciò che rimane di muscoli e tendini ridotti a groviere di connettivo cicatriziale. Amatori sempre incazzati perché il mondo non si accorge delle loro 'imprese'. Amatori...
Amatori, vi prego: "keep calm and love yourself", ma davvero.
Qualcuno - molti in verità - dovrebbe ritrovare almeno un filo di buon senso; che non vuol dire divertirsi di meno o fare meno fatica, anzi. Ci vuole una risposta sobria, etica, razionale alla dilagante e convulsa rappresentazione di certo agonismo ossessivo e fintamente amatoriale.

Ci vuole un passo logico. E noi di "passologico" ci stiamo provando, concretamente.