lunedì 10 agosto 2015

Vividi ricordi sbiaditi

(ph Antonio Ibba)

Agosto 1986. Foto di gruppo a conclusione di una faticosissima Amatrice-Configno. Renato D'Amario, il primo da destra, in piedi, sembra nascondere coi baffetti affilati un sorriso ironico e compiaciuto; sotto il braccio sinistro stringe una sorta di scartafaccio di nomi e numeri: la classifica di quella formidabile edizione della classica "stradale amatriciana". Nei giorni a seguire Renato la esibirà con malcelata vanità nelle principali redazioni giornalistiche locali.

Gioventù multiforme dentro quella foto. Ragazzini vivaci assai e campioni mondiali; tapascioni, atleti di buon livello e semplici appassionati, tutti insieme ché quella era l'atletica di Renato: un grumo compatto di umanità uguale e diversa; uguale nella capacità di condividere il dolore soave della fatica e diversa nelle possibilità individuali di esprimerla.

Renato D'Amario ci voleva bene. Senza troppi giri di parole ci indicava la via da seguire, attraverso la rustica allegoria del correre a piedi.

E allora eccoli lì i suoi ragazzi: Antonio Ibba (la foto è sua), secondo da sinistra, in piedi e con l'asciugamano; dietro di lui, terzo da sinistra, in piedi, il keniano John Ngugi, 5 volte campione mondiale di cross country e campione olimpico dei 5000m nel 1988. Quel giorno finì sulle ginocchia a qualche metro da me; io col primato personale e lui, perso dentro chissà quali pensieri.

E poi Paul Kipkoech, keniano di Eldoret, il sesto da sinistra, in piedi e con una fascetta bianca sul collo. Un'ora prima aveva sbriciolato il record della gara, salendo sui tornanti che portano alla frazione di Configno con l'irreale eleganza di un keniano atipico. Paul era etereo come un sogno al mattino e come i sogni che si fanno poco prima di svegliarsi ci lasciò, nel 1995, stroncato dalla malaria; non prima di aver vinto un mondiale sui 10.000m a Roma nel 1987 e 3 campionati mondiali di cross country.

E infine Marco Barbone, allora sedicenne, accosciato al centro della foto. Capelli ricci e talento da vendere (nel 1989 mancò d'un soffio l'oro sui 1500m ai Campionati Europei Junior) era il 'gioiellino' di Renato D'Amario.

Sì, c'ero pure io. Con gli occhi chiusi, terzo da sinistra, in piedi. Quanto mi manca la leggerezza di quei giorni là.

3 commenti:

Marco Santozzi ha detto...

Chissà se quella leggerezza di cui parli Mario, è ancora tangibile ai giorni nostri; ho però il vago presentimento che sarà difficile rivivere quei momenti, spensierati e 'pieni' di sano agonismo.

L'Amatrice-Configno è proprio una bella gara e sono stato onorato di correrla lo scorso anno, ansimando e 'zompettando' tra i suoi tanti tornanti, che hanno favorito le gesta di diversi campioni dell'Atletica.

Un salutone,
Marco

Unknown ha detto...

La cosa veramente triste (per me) di questo post e' l'aver scoperto che il prof. D'Amario non c'e' piu'. Era un'icona dello sport abruzzese quando correvo da allievo (anni '90), l'elemento carismatico di tante trasferte in autobus in giro per l'Italia. Vivendo all'estero da un po' di anni, non sapevo della sua morte.

Anonimo ha detto...

La classicissima... A parlare di questa corsa potremmo perdere interi pomeriggi. Anch'io che non l'ho mai corsa...
Il professore ci era davvero affezionato, ci andava ancora negli anni 2000.
Bella la foto, c'è veramente tutto.
E contrasta nettamente con gli ultimi anni, in cui si è vista poca - o niente - Italia e tempi decisamente poco affascinanti...
Ricordo ancora che nel 1988 e nel 2004 costituì il viatico per il trionfo olimpico di Gelindoro e del Baldo. Quest'ultimo, tra l'altro, vicinissimo al record, mancato anche per colpa di un errore (minimo, per carità) di percorso...
Sat nostalgico...

P.S.: grande Mario, il tuo faceblog è fantastico...