venerdì 31 ottobre 2008

Atleti con la valigia

Quali sono le ragioni che portano un atleta a cambiar casacca? Questo è il tema del post odierno. Ottobre is over. È tempo di consuntivi atletici e di riflessioni su eventuali "travasi" di atleti da una società ad un'altra. Cercherò dunque di offrire alcune mie opinioni a riguardo.
Provo a commentare qualche situazione ricorrente (l'ultima un po' meno, in verità): a) l'atleta è un giovane top level (junior da 900 e passa punti in tabella finlandese) e cerca il "posto sicuro"; b) l'atleta è di buon livello interregionale/regionale e cerca soddisfazioni economiche e tecniche che la propria società non può garantirgli (premi, rimborsi spese per gare fuori regione, partecipazione a campionati nazionali di società, meetings, eccetera); c) l'atleta ha trovato una guida tecnica più valida.
In a) la scelta è quasi obbligata per chi fa atletica da "professionista" (le virgolette potrebbero pure mancare). Quando non si è né un Bolt, né un Gebre, è difficile trovare mecenati che possano aiutarti. In questo caso il gruppo sportivo militare è la manna che scende dal cielo. Spesso però, messi i "gradi", la maggior parte degli atleti si assesta su livelli prestativi discreti, ma nulla di più. Subentra quasi un appagamento che "silenzia" irrimediabilmente la verve degli inizi. Ricordo che gli olimpionici Mennea, Simeoni, Dorio, Damilano, Bordin, e Baldini stesso, hanno ottenuto i loro successi vestendo i colori di società civili.
Il punto b) è il punctum dolens, almeno per come la vedo io. Qui da noi, in Abruzzo, spesso si cambia canottiera perché tale società non dà i rimborsi, tal altra non fa attività di livello nazionale, e via discorrendo. Insomma, il salto di qualità dovrebbe essere qualche spicciolo in più e la vetrina di una kermesse nazionale o interregionale. La locale società di serie A (e per A intendo anche A1, A2, eccetera) può garantire tutto questo. Purtroppo quando la società sportiva in questione cresce ulteriormente in qualità, lo spazio per l'attività di "vetrina" dei "middle level" (750-800 punti in tabella finlandese) si riduce assai. Aumenta invece la tensione verso il miglior risultato possibile che, se non ben ponderata, può condurre all'infortunio e, se questo è reiterato, anche all'abbandono. I rimborsi, spesso, servono per "bendaggi e cerotti" (leggasi spese sanitarie per terapie "varie").
Il punto c) è spinoso assai. Chi cambia casacca spesso si tira dietro pure il tecnico. Molto di rado, almeno nel mezzofondo, mi è capitato di vedere atleti cambiare squadra per motivi squisitamente tecnici. Ritengo essere questa una carenza culturale forte. Sempre più di frequente accade che atleti molto giovani passino ad altra società per un completino griffato, una tuta in linea col completino, qualche paio di scarpette all'anno e via dicendo. Quando un atleta, (e/o i suoi genitori) baratta la propria crescita atletica, ma anche psicologica, morale, eccetera eccetera, per "questioni d'immagine" o improbabili sogni di gloria, allora...
Mi fermo qua. Qualcuno vuol aggiungere qualcosa?

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Certo che sì!

I temi analizzati sono parecchi e su alcuni di essi potremmo star lì a parlare per ore senza riuscire a venire a capo di una soluzione.

Sottolineo che il problema sub a) - quello dell'appagamento dell'atleta una volta entrato nel gruppo sportivo militare - ha avuto una diffusione eccesiva in Italia. Troppi gli atleti che, dopo aver ottenuto il posto in Fiamme Gialle, Carabinieri, Polizia e quant'altro hanno praticamente cessato di migliorarsi, quando addirittura non hannno dato vita ad una preoccupante parabola discendente.
La cosa risulta francamente sorprendente, se si pensa alle migliaia di amatori che devono sudare sette camicie per ritagliarsi, durante la giornata, un'oretta da dedicare all'allenamento, dividendosi tra lavoro, famiglia e problemi della quotidianità.
Ma in Italia abbiamo assistito troppo spesso a casi di atleti dall'atteggiamento sparagnino, che, una volta raggiunto l'obiettivo del posto sicuro, hanno messo la parola fine alle proprie ambizioni.
Il problema - mi riferisco in particolare al fondo e al mezzofondo - va ricercato, in parte ma non solo, nell'eccessivo sfruttamento delle gare su strada.
Capita con frequenza sconcertante che un mezzofondista preso nel corpo militare rinunci alla pista, o comunque limiti al minimo le sue apparizioni sulla terra rossa, per andare a rastrellare soldi in giro per le strade d'Italia.
Oppure che un maratoneta di livello prenda parte, senza ragioni diverse che da quelle del soldo, ad un mucchio mezze maratone, correndole anche a ritmi "blandi" (sempre in relazione al valore dell'atleta).
Tanto poi basta vincere un titolo italiano, magari in una competizione dai bassi contenuti agonistici o che magari non vede al via i migliori della specialità, per mantenere il posto nell'Arma.

Invece capita che atleti ingaggiati da società civili e tenuti a confermare costantemente le proprie prestazioni, siano maggiormente stimolati e riescano a crescere e migliorarsi in modo continuo e costante, mostrando, peraltro, notevole longevità atletica (il nostro Baldini - tanto per fare un esempio - ha compiuto il "miracolo ateniese" a 33 anni, età in cui, per molti nostri top runners, è già in atto il lento declino).
Vorrei aggiungere all'elenco indicato da Mario, anche Genny Di Napoli e Beppe Maffei, che hanno raggiunto traguardi ragguardevoli in maglia Snam.

Quanto al punto sub b), questi atleti sono spesso molto più motivati di tanti atleti d'elite. Per loro il cambio di casacca diventa una continua ricerca alla società in grado di offrire le migliori condizioni economiche. E spesso la "fuga verso la strada" diventa inevitabile, perché solo lì si riesce a strappare qualche ingaggio e vincere qualche premio in denaro, mantenendo alti gli stimoli.
Parlavo tempo fa con un ex atleta della Cover Mapei, il quale mi diceva, con innegabile realismo, che con 30' sui 10.000 metri non sei nessuno, però, correndo su strada, "riesci sempre a portare qualcosa a casa".
Un'affermazione del genere mi sembra alquanto emblematica della crisi che attraversa il settore e delle difficoltà che incontrano gli atleti non d'elite ad esprimersi, soprattutto se si pensa ad altri sport più ricchi, nei quali, anche nelle categorie inferiori, si investe molto di più.

E veniamo al punto sub c).
Spesso l'atleta, pur cambiando maglia, non cambia tecnico. Perché c'è stima reciproca, perché sono amici, perché si trovano in una sintonia difficilmente ripetibile con altre persone, o solo perché "non si ha il coraggio di cambiare strada".
In questi casi, se il tecnico è bravo, non ci sono problemi. Se però non è all'altezza, si rischia di non riuscire ad emergere, pur avendone le qualità.
Altre volte, però, capita, che l'atleta si affidi ad altra guida tecnica solo perché lusingato da belle prospettive ed mere illusioni. Magari pensa che quel tecnico lo possa aiutare ad ottenere offerte migliori oppure gli possa garantire un notevole salto di qualità (col rischio, tuttavia, di rovinare l'atleta).
La scelta relativa al cambio di guida tecnica è sempre molto delicata. Sta all'intelligenza dell'interessato capire ciò che sia meglio per lui.
Mi vengono in mente tanti esempi di atleti che hanno cambiato direzione tecnica, abbagliati dalla prospettiva di grandi successi e conseguenti guadagni, e di atleti che avrebbero fatto meglio a lasciare la via vecchia in vista di una crescita sportiva, culturale e professionale.
I sostenitori della predestinazione direbbero che doveva andare così.
Io dico che hanno voluto così.

Saluti.
Sat

Marius ha detto...

Grande Sat!

Una nota: Genny Di Napoli e Maffei non sono stati inseriti solo perché non sono medagliati olimpici (i nomi citati nel post sì).

Volevo poi far notare un dato: anche dieci anni fa si gareggiava molto su strada. Le graduatorie nazionali del mezzofondo esprimevano comunque valori più dignitosi. La crisi del mezzofondo, purtroppo, ha una matrice sociale più che sportiva in senso stretto. La vedo davvero dura per gli anni a venire.

un salutone. mario

Anonimo ha detto...

Bella Mario!

Ok sui nomi citati, hai ragione.
Quanto al fatto di gareggiare su strada, non ho fatto segnalazioni, ma avevo in mente uan serie di atleti in particolare.
In ogni caso è vero che si gareggiava parecchio anche in passato. Anzi, negli anni ottanta gli italiani erano indubbiamente più competitivi nelle classiche alle quali prendevano parte. Ma il tutto era letto nell'ottica della preparazione al grande appuntamento oppure si correva su strada in periodi relativamente meno impegnativi. Quindi senza snaturare la programmazione annuale, solo per guadagnare qualche soldo in più.
Oggi la ricerca della gara su strada con ingaggio e premio diventa sempre più morbosa, perché molti la interpretano come una comoda opportunità per guadagnare soldi in maniera più sbrigativa.

Sulla questione della matrice sociale condivido appieno la tua disamina. Il mio era un intervento più di carattere sportivo, perché è quello che mi interessa maggiormente e che penso di conoscere meglio.
Per di più ritengo che la "fuga verso la strada" costituisca un risvolto immediato di una cultura sociale che cambia (e non certo in meglio...).

A presto.
Sat

Marius ha detto...

Insisto. Al di là di un discorso di programmazione (sacrosanto, lo dici a me?), volevo porre l'accento sulla qualità delle uscite "stradali" stesse: saranno pure tante e mirate all'ottenimento di pochi spiccioli, ma comunque di livello davvero risibile. Guarda i tempi al km delle classiche di 10 km: si va sul filo dei 3'00" quando ci si ammazza. Le mezze poi... si corrono sull'ora e sei minuti quando va bene (io con 1:06:48, a 21 anni, vedevo un bel po' di schiene qualche anno fa).
Più che di una "fuga verso la strada" si potrebbe parlare di una realtà sfuggitaci di mano; il nostro sport è parte integrante di quel sociale cui facevo riferimento e non ci sarà nessun guru tecnico con programmazioni miracolose a salvarci.
Che i nostri (residui) fondisti raccolgano ciò che resta per terra. La festa è finita da un po'.
Se vogliamo divertirci un po', spendiamo qualcosa per i giovanissimi (non in play station e merendine, ovviamente).

salutoni. mario

Anonimo ha detto...

Mi trovi ovviamente d'accordo.
Purtroppo (o per fortuna) al giorno d'oggi a ritmo da 3'/km in più d'uno corre la maratona. Roba da far perdere la voglia...
Mentre ai campionati italiani di mezza maratona di quest'anno ad Atripalda - ok, percorso impegnativo tutto saliscendi e giornata calda (1° giugno: peraltro, perché queste date? Io francamente non ne capisco il motivo) - si vinceva con 1h05'30". Massimo rispetto per il vincitore (Simionato, Aereonautica), ma non si può parlare di gare dagli alti contenuti tecnici. E il problema è che, in fin dei conti, atleti di livello non mancavano e dunque era lecito attendersi qualcosina in più.

Abbiamo già detto che una (piccola) riforma è in atto, ma è poca cosa.
Il resto del mondo va a 200 all'ora, mentre noi trotterelliamo...
Conta poco vincere qualche gara in Italia se poi il confronto internazionale resta imbarazzante.
Ammesso che poi il confronto internazionale ci sia davvero, visto che molti nostri atleti privilegiano le gare nostrane, disertando quelle all'estero.
Tanto per restare al pianeta maratona - dato che è l'unico che negli ultimi anni ci ha regalato soddisfazioni - quanti sono gli atleti italiani che gareggiano in una maratona straniera importante?
Baldini? Certo, Baldini.
Ma poi? Nessuno. Tutti i nostri vanno alla disperata ricerca di una maratona italiana di buon livello, ma tagliata "su misura". Questo perché in Italia i nostri atleti sono trattati molto meglio che all'estero, sotto il profilo economico, dell'immagine e della gestione gara (lepri appositamente messe a disposizione).
Quando si arriva agli appuntamenti topici della stagione agonistica (europei, mondiali, olimpiadi) troppo spesso si incappa in controprestazioni, gare anonime, quando non anche in mesti ritiri.
Ma forse adesso sto andando fuori tema.

Resta il fatto che la rifondazione è necessaria, se si vuole evitare la morte del sistema.
E l'investimento sui giovanissimi è l'unico modo che abbiamo per tornare su buoni livelli.

Saluti.
Sat

P.S.: parliamo solo noi?

Anonimo ha detto...

… e allora constatate che tutto si muove in forza dell’allettante e abbagliante tintinnio del denaro?
Purtroppo noi siamo innamorati di uno sport povero, in cui non si investe molto in termini economici e questo danneggia la possibilità di trascinare il popolo degli atleti verso ambizioni di qualità.
Hai ragione Mario nel dire che bisognerebbe spendere di più per i giovanissimi ed incentivarli verso l’atletica anche se questo tipo di investimento non riempie gli stadi tutte le settimane come quando ci sono ventidue atleti sul campo erboso.
Con rammarico, tuttavia, ripeto ad alta voce la tua frase “la crisi del mezzofondo ha una matrice sociale”.
Vorrei tanto tirare fuori dal cilindro tanti giovanissimi che vorrebbero abbracciare questo sport.
Vorrei che ogni loro passo o gesto atletico fosse sempre e costantemente sostenuto dall’ambizione sana di quel gran pezzo di metallo da mettere al collo.
Vorrei che ogni fatica fosse da loro compiuta anche in virtù di un podio prestigioso.
Vorrei che il loro sogno non vacillasse se in età adulta si trovassero davanti ad una gara con ingaggio.
Per caso coniugare il verbo “volere” a volte fa rima con “sognare”…. ???
Ciao
Carla

Marius ha detto...

Scriviamo solo noi (per ora), ma leggono in tanti. Oggi che è sabato (giornata solitamente fiacca per un blog come il mio), porterò a casa un'altra sessantina di contatti unici e un bel centinaio di pagine lette. In Italia ci sono pochi lettori, si sa; è che stanno tutti sul mio blog ;)

salutoni. mario
P.S.: Sat, non "sottovalutare" Carla... da buona fondista sta uscendo alla distanza.

Anonimo ha detto...

Vedo, vedo.
Ma la cosa non può che farmi piacere.

Del resto, la mia era una piccola provocazione che aveva l'obiettivo di portare allo scoperto qualche altro appassionato.
Sognatrice non si fa pregare e ciò rende più interessante il dibattito (che al momento annovera ben 3 elementi).

Tornando alla domanda di Carla, per me "volere" fa rima con "potere".
Se desideri davvero una cosa e ci metti il massimo impegno, prima o poi ce la farai.
Questo è ciò che penso. O almeno quello a cui voglio credere. Almeno per ora.

Il grande Obdulio Varela - capitano della nazionale uruguagia, vincitrice della Coppa Rimet (ex coppa del mondo) 1950 in Brasile - disse, ricordando l'impresa, di ricordare tutto della partita e delle sensazioni e delle emozioni provate in campo, ma niente della vittoria, quasi che nulla fosse cambiato dopo la partita.
E concluse affermando - in perfetto spirito leopardiano da "Sabato del villaggio" - che "sarebbe bello che i sogni non si avverassero mai, perché così si potrebbe sognare all'infinito".

In modo molto più pragmatico, io dico che a me piacerebbe anche che i sogni si avverassero prima o poi. Senza fretta, ma si avverassero...

Ok, sono andato completamente fuori tema, ma spero che il professor Mario non mi dia la bocciatura per questo intervento estemporaneo...

Saluti a tutti.
Sat

Marius ha detto...

... maestro Sat, non professore. E i maestri, quelli veri, non dovrebbero bocciare mai. Oddio, non mi farai fare mica gli straordinari pure al sabato? Ma chi ti manda, Brunetta?

;)

marius

Marius ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Ah ah!
No, no, Brunetta non c'entra. Faccio tutto da solo: interventi, scioccehzze, rotture di scatole (si può dire sul blog o vengo censurato?), ecc. ecc.

Sat

Anonimo ha detto...

Caro Mario,

reintervengo sulla questione della necessità di investire sui giovani, che ormai sta diventando il leit motiv del blog.
Ti giro solo qualche dato tratto da un articolo pubblicato da Atleticanet, che, naturalmente, non sarà passato inosservato al tuo occhio vigile di esperto e di appassionato. Riporto i dati in modo che anche altri eventuali lettori possano seguire meglio.

Si parla di prestazioni realizzate da alcuni under 18 (soprattutto cadetti e allievi) in giro per il mondo (Kenya, Cina, Giappone). Indico solo alcuni passi.

I nuovi talenti africani
E' passato quasi inosservato il consueto Colorful Meeting di Daegu (Corea del Sud) del 25 settembre, ma fra i risultati dei big emerge quello dei 3000sp donne in cui la 15enne (ma allieva 1° anno) etiope Halima Hassen ha ottenuto 9'40"31, davanti ad un'altra allieva, la keniana Elizabeth Mueni
(9'42"11), già presente sui piani a Rovereto in 9'08'86. Sempre al Palio della Quercia 8'59"94 di Nancy Chebet, classe 1992, che a Rieti aveva corso i 5000m in 15'47"18 nella gara in cui l'allieva '91 Genzebe Dibaba è giunta 3a in 15'09"61.
Da Dubnica (Slovacchia) giunge il 7'46"72 del 17enne keniano (ma junior) Daniel Salel (3'39"66 nei 1500m a Zagabria) e proprio da Zagabria il 7'43"86 del coetaneo e connazionale Lucas Rotich, capace tra l'altro di 13'15"54 nei 5000m a Bruxelles in Golden League.

L'onda cinese
A Shangai, prima dei campionati nazionali, nel consueto meeting stellare di fine stagione, 13"47 nei 110hs dello junior primo anno Xie Wenjun.
Nel meeting di Luohe, tra i maschi:
- 10"63 nei 100m dell'allievo 1° anno Huang Xiang,
- 29'24"44 dell'allievo Yunlong nei 10000m,
- 5.15m nell'asta di Xia Xiang ('91)
- 17.19m col peso da 7.26kg dell'allievo Yongheng;
tra le femmine, tutte allieve classe 1991:
- 13.49m nel triplo di Deng Linuo (13.50m poi ai nazionali),
- 16.85m nel peso della Qianqian,
- 54.21m nel disco della Meng
- 59.11m nel martello della Tingting.
Campionati nazionali cinesi di Shijiazhuang.
Tra le allieve:
- 53"64 nei 400m di Chen Lin e 54"18 di Zhao Yanmin,
- 57"72 di Yang Qi nei 400hs,
- 6.33m nel lungo di Lu Minjia (15enne, dicembre 1992)
- 16.99m nel peso della Qianqian. In campo maschile:
- 10"68 nei 100m del giovanissimo Xiang di prima, qui a 21"49 anche nei 200m
- 2.24m nell'alto dello junior Cheng.

L'onda giapponese
E' di settembre, al Super Grand Prix di Kawasaki il buon 4'18"74 dell'allieva Aya Ito.
Ad Oita, in ottobre:
- nei 100m sfida tra Onatabe, 10"54, e Kaji, 10"58, entrambi del 1991
- nel giro di pista è
grande Keitaro Saito, 46"90 (!), anche lui 1991
- 10000m: i primi 2 (Tamura e Murasawa) sono allievi del '91 (di cui uno di dicembre quindi 16enne) capaci di 29'01"66 e 29"03"01. I nostri migliori pari età ci stanno dietro max per 3/4km
- a completamento, 51"26 di Abe ('91) nei 400hs vinti dallo junior primo anno Kishimoto in 50"17.
Tra le allieve sono sicuramente in 3 sotto i 4'25 nei 1500m e una di queste è cadetta: Kanako Fujishi, classe 1993, autrice di 4'22"31.
Sempre dal continente asiatico, ma stavolta dalla Corea del Sud, si segnala il 5.00m nell'asta del primo anno allievo Jin Min-Sup.

Giochi del Commonwealt "giovanili"
A Pune, in India, è andata recentemente in scena la 3a edizione dei Giochi del Commonwealt riservati alle categorie Under 18 (dall'anno 1990 compreso in poi).
- 100m successo del cingalese Ambepitya ('90) con 10"43 (21"22 nei 200m) e nelle retrovie eccellente 10"52 del non ancora 17enne inglese Ogunnowo-Toabais;
- 400m: strepitoso 46"66 di Kirani James di Grenada, classe 1992; ancora più sensazionale il 4° posto 47"27 del cadetto irlandese (1993!) Curtis Woods, che precede un altro '92, il neozelandese Wickes (47"68);
- tattici gli 800m poco sopra l'1'50;
- meno tattici i 1500m dove ci sono il 3'45"91 di Ndiku (KEN) su Cherop (UGA) a 3'48"41 e al quinto posto l'australiano Wakefield a 3'49"62, tutti classe 1991;
- nel disco 60.88m dell'australiano Wruck, probabilmente con l'attrezzo da 1.5kg.
In campo femminile:
- subito grande 100-200 dell'inglese Shaunna Thompson, appena classe 1992, autrice di 11"46 e 23"42, tempi da podio ai nostri assoluti;
- negli 800m 2'04"23 dell'allieva sudafricana Semenya;
- i 1500m vanno alla 15enne keniana Ndiwa con 4'20"16;
- 4.05m nell'asta della britannica Jade Ive, classe 1992;
- 58.43m nel martello della connazionale Hitchon.

Dopo questa carrellata di risultati stratosferici, ci sono alcune considerazioni sicuramente da fare.
I risultati dei keniani vanno sempre presi con le pinze, perché ci sono sempre delle riserve sull'età biologica, troppo spesso non corrispondente all'età anagrafica (per i noti problemi di registrazione).
Quanto all'onda cinese, francamente mi lascia sempre parecchi dubbi. I cinesi ci hanno spesso abituato a "strane combinazioni", quindi un margine di sospetto mi resta sempre. Tuttavia è pur vero che finché non vengono pescati, la non colpevolezza resta principio di indubbia validità.

Comunque si vedono spuntare tanti talenti in Paesi che evidentemente credono molto più di noi nello sport. O almeno in certe discipline sportive.
Va bene, alcuni lo fanno per fuggire dalla miseria e dalla povertà, altri per imposizioni di regime.
Resta il fatto che il resto del mondo scappa avanti e noi siamo sempre più lontani.

Un saluto.
Sat