giovedì 27 novembre 2008

Il viaggio

Ho ritrovato un raccontino dei miei. Lo scrissi qualche anno fa, quando facevo il pendolare sulla linea Pescara-Penne. Il viaggio come soave condanna, desiderio; piccola deriva esistenziale. Con o senza metafore.
Buona lettura.


Metafore di un viaggio (un giorno d’inverno)


Quando l’autobus della linea Pescara-Penne, sbuffando e starnutendo, da Remartello all’improvviso svolta per Loreto Aprutino, lascio una vita per prenderne un’altra.
Anche il cellulare inizia a darmi qualche problema; il segnale si fa debole e la segreteria inizia a caricarsi di sms (“Ho chiamato alle…”) che leggerò forse al ritorno, tra dieci ore.
Un insegnante elementare confuso tra altri insegnanti, studenti ed operai, lascia “casina bella” alle sette e un quarto di mattina per farvi ritorno alle sette di sera; riunioni, programmazioni, commissioni, collegi docenti e, talvolta, lezioni in classe coi bambini.
– Buongiorno professo’, freddo stamattina? Che dice, vuole nevica’? –. La funzione fàtica del linguaggio. Nelle parole dell’autista c’è qualcosa di più. È il suo benvenuto, la gioia contenuta e sottile per la conferma di una rassicurante presenza, un altro compagno di viaggio conosciuto e che ti riconosce; l’autista non è più lo “sballottatore” di anime infreddolite ed assonnate. È quello simpatico e disponibile, uno dei pochi a farti scendere tra le fermate “ufficiali” (– … qui non si potrebbe, ma se non ci si viene incontro, eh professo’? –).
L’autobus presto comincia a parlare di melanzane grigliate e mozzarelle “scippate” alle dieci e mezza, di figli e mariti dispersi da tempo, di governi sempre più ladri e di scioperi che pesano più dell’ICI. L’autobus parla strani dialetti che si intrecciano, suoni d’Africa e di Albania richiamati da un cellulare, muezzin digitale e sconsacrato dalla voce metallica e assordante.
Il cinese sta in silenzio. Non potrebbe fare altrimenti. Fa il mercato del giovedì a Loreto e impiega qualche minuto prima di entrare col suo carico di necessario ciarpame a pile e a molla; un borsone di circa quaranta chili che al ritorno ne farà cinquanta. Ma a Loreto vende o compra?
Gli anziani stanno come cariatidi, occupano sempre lo stesso posto, da decenni; dondolando e smadonnando in aramaico aprutino guadagnano l’uscita avviandosi tre fermate prima. Di una vecchietta vedo soltanto la stampella. La scaglia all’interno dell’autobus con la precisione di un cecchino. A fatica, ma con decisione, scala il “massiccio” di ferro. Scenderà quattrocento metri più avanti, dopo aver “rilanciato” la stampella all’esterno.
Il “viaggio” dal sedile all’uscita per alcuni di loro è pieno di insidie, ma l’esperienza non è acqua fresca.
– Giuvino’, purteme la bborsa fin’assotte, pippiacere. La madonna tibbenedice –, e tu l’aiuti. Ho il sospetto però che la vecchina abbia stipulato un patto col demonio in persona: la borsa pesa il doppio di quella del cinese.
– Ddu’ pruvviste pe’ fijeme, fa lu fredde –, si giustifica. Sono venti litri d’olio, venti di vino e non voglio pensare al resto.
Non sono tutti simpatici gli anziani; ma senza di loro l’autobus non sarebbe la stessa cosa. Lo sanno bene gli autisti, impegnati in manovre impossibili sui letali tornanti di Collatuccio.
– Vado a Penne, famme lu bijette giuvino’! –. Sì, loro il biglietto lo fanno sull’autobus, costringendo i malcapitati in prodezze circensi per un resto che attendono fino all’ultimo centesimo. La mano, tesa verso il biglietto, è larga come una vanga e nodosa come un ulivo. Gli spiccioli spesso volano tutt’intorno, come le imprecazioni; incomprensibili ed efficacissime maledizioni che temo più del conguaglio fiscale di febbraio. Le monetine che non finiscono a terra si perdono per sempre tra i solchi e i nodi di quello strano albero antropomorfo.
Ogni anziano di quest’autobus è un albero. Una volta scesi vanno a piantarsi in qualche raro fazzoletto di terra buona, a ricordare i cicli del sole e della luna.
Qualcuno, fortunato, finisce lì la sua corsa.

Studenti disorientati e tatuati, salgono e scendono come vitelli al mattatoio. Qualcuno manda a memoria due formule di fisica, qualcun altro “ripassa” i Metallica con gli auricolari del lettore mp3 siliconati dal gel che cola copioso da capelli acuminati e variopinti.
Un bimbo di diciassette anni riprende il sonno da poco interrotto appoggiando la testa sul petto della fidanzata. Lei dice che non ne può più di lui e di quelli come lui:
– Mi dà il tormento, che palle! Dove sei, cosa fai, con chi stai, mi vuoi bene, ti presento i miei… Io devo ballare, mi devo svagare, devo vedere gente… –, questa in sintesi la traduzione di un pensiero abbastanza contorto, espresso in una misteriosa lingua tonale, farcita a gesti ed attributi maschili citati a ritmo regolare.
Il bimbo di diciassette anni sorride nel sonno; la mamma è dura e severa, ma è sempre la mamma.

Il controllore è buono e cattivo. Quello buono lascia riposare l’operaio sfinito dalla stanchezza del giorno prima. Non gli chiede il biglietto. Lascia riposare anche chi finge il riposo per non pagare la multa. Saluta con un sorriso rassicurante, si appoggia al gabbiotto del conducente e lo distrae fino al capolinea.
Quello cattivo guarda tutti dritto negli occhi. Potrebbe fare le multe già dal predellino. Preferisce studenti e senegalesi.
Un’epica tenzone si trascina da tempo tra lui ed un ventenne di colore. Il controllore, appena salito, ha già pollice, indice e mignolo sul taccuino; il ragazzo, che dal fondo dell’autobus con un balzo ha guadagnato la porta centrale, con l’indice ha già suonato il campanello da un pezzo.
I due si guardano negli occhi come Clint Eastwood e Lee Van Cleef ne “Il buono, il brutto, il cattivo”.
– Dove vai, amico? Documenti e permesso di soggiorno, che mo’ t’aggiusto io! – lo apostrofa il controllore con un ghigno.
– Vieni vieni, ti sto aspettando, non mi muovo da qui –, fa il giovane con malcelato terrore. La multa arriva come una benedizione alla fine di una serie estenuante di: “dai amico, lo faccio adesso”, “stavo scherzando; non si può nemmeno scherzare”, “io non mi faccio prendere in giro da te e da quelli come te”, “il permesso di soggiorno deve essere in originale e non fotocopiato”, “stavolta t’è andata bene, la prossima chiamo la polizia”, eccetera eccetera. Il controllore finisce la sua corsa parlando al conducente di gite a Lourdes e S. Giovanni Rotondo, di straordinari mai pagati, eccetera eccetera.

L’autobus alle sette di sera è vuoto. Montesilvano sa già di Pescara. Molta dell’umanità dell’andata ha viaggiato con me al ritorno. Nuovo proletario senza coscienza di classe riprendo le mie quattro cose prima di scendere.
Il cielo ha la stessa luce di questa mattina.


6 commenti:

Anonimo ha detto...

Racconto che riporta alla mente anche il mio essere pendolare che ad un certo punto, ahimé, non ho più sopportato.
Addentrandomi nei ricordi scopro oggi che di personaggi ne ho incontrati tanti ed mi viene da sorride pensando a loro e alle loro performances che si consumavano alle 7 del mattino sull’autobus nel quale ormai eravamo diventati una famiglia.
Avevo avuto la stessa sensazione “amarcord” quando avevo letto il tuo racconto sul blog “la penna di Marius”.
Ciao
Carla

Marius ha detto...

... "la penna di Marius"...

Pensavo di farne qualcosa di letterario. Poi ho pensato: ma perché due blog se ne ho già uno? Ed ecco la replica del "viaggio".
Grazie della pazienza.

un salutone. mario

Anonimo ha detto...

Caro Mario
non ho citato l'altro blog per sottolineare la replica del racconto, voglio specificarlo per non essere fraintesa.
Non devi ringraziare della pazienza, ti garantisco che con te non è affatto necessaria, anzi, regali davvero piacevoli letture.
Pensa che ho scovato un bellissimo racconto sul blog di Michele D'Attanasio davvero fantastico. Il titolo è: "Paradosso del competitore".
Questo lo dico per evidenziarti quanto ricerco la tua penna, figurati se una replica possa scomodare la pazienza!!!
Complimenti sempre.
Ciao
Carla

Anonimo ha detto...

Il classicissimo tema del viaggio. Ma stavolta riletto, nell'ambito della sua personalissima esperienza, dalla impareggiabile penna del Marius, sempre dotato di innato umorismo e di immensa capacità di osservare il mondo e la sua quotidianità...

"Nuovo proletario senza coscienza di classe"... Geniale!
Ciao Mario e grazie dei bei racconti.
Quand'è che ti deciderai a cercare un editore per pubblicare un libro di narrativa?

A presto.
Sat

Marius ha detto...

... troppo buono Sat, come al solito. Il racconto è stato pubblicato. Il volume che lo contiene ha il titolo "Quel viaggio nel cammino della mia vita", AA.VV., dell'associazione La Camera Chiara, Biblioteca Affori di Milano. Questo libro verrà presentato a Milano il 13 di questo mese.

Del mio rapporto con la scrittura e le sue "ragioni" ti scriverò un'altra volta. Sarebbe troppo lunga.

un abbraccio e... aspetto nuove.

mario

Anonimo ha detto...

Io sono anche in zona.
Ma dove lo posso trovare il libro?

Sat