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Ho sempre avuto paura di andare in moto. Eppure il sogno della mia adolescenza aveva due ruote anche se una moto tutta mia non l’ho mai posseduta. Ed è per questo che desiderio, incoscienza e necessità spesso mi portavano a saltare in sella al vespone di Diego, compagno di scuola scavezzacollo, dalla simpatia irresistibile e dalla manetta del gas sempre girata al massimo.
Ovviamente non ero io a guidare. Mi limitavo a fare il ‘secondo’, la zavorra che sbilancia il pilota ad ogni curva. Diego tirava da matti la sua vespa 125 PX in rettilineo, d’inverno, la testa girata di lato, il bavero del giubbino fin sotto il naso, gli occhi due taglietti sul volto intirizzito e umido di lacrime che, a ritmo regolare, scivolavano veloci frangendosi sulla plasticaccia del mio triste giubbino, scimmia improbabile di una divisa imposta dall’imperante moda paninara di quegli anni.
Diego sbirciava la strada ad oltre centoventi orari, mentre io, appiccicato dietro ad occhi assolutamente chiusi, cercavo Dio col pensiero, augurandomi che nessuno, animale o essere umano che fosse, spuntasse da qualche parte a tagliarci la strada.
Ci andò sempre bene. Per fortuna.
Poi però, qualche anno dopo, la Fine venne a parlarmi nella forma di un angosciante comunicato stampa della Rai regionale, filando via spedita su una Honda XL 250. Sigillò dentro un brivido eterno e crudele la vita di Lucio, amico di mille scorribande adolescenziali, vera forza della natura (simpaticamente ribattezzato sguazzo, sguazzonis, dal nostro prof di latino). Lo schianto contro una A112, ferma dietro una curva dolcissima e fatale, a qualche passo dal mare, dopo un viaggio di una decina di minuti sulla veloce superstrada locale: Lucio è ancora là, coi suoi pochi diciannove anni, a custodire gelosamente l’illusione dell’invulnerabilità giovanile. Il mito puerile della vita eterna. Delle cose che c’è sempre il tempo per farle. Era il 1986. Avevo quasi ventuno anni.
Non ho più ventun anni da un pezzo. Ho sempre paura di andare in moto. E domenica scorsa, mentre seguivo marciatori e runners bambini, la Fine è tornata a parlarmi di sogni interrotti, di equilibri precari, di certezze che balbettano, portandosi via Marco, un altro Lucio, assieme ad un mondo di altre cose da fare. Di giovinezza da vivere.
Marco e Lucio avevano lo stesso identico, melanconico sorriso.
2 commenti:
Non so perchè, ma proprio oggi ti stavo pensando, e forse, non so se per telepatia, mi stavo chiedendo, se in tutti questi anni che ci conosciamo, di averti mai visto portare un motorino...forse inconsciamente, la bruttissima disgrazia che ci ha privati della simpatia di un grandissimo personaggio come Marco Simoncelli, mi ha riportato indietro nel tempo, quando pure io sfrecciavo inconscientemente con la mia Vespa 50 truccata, ( senza casco, non era obbligatorio ) oppure, quando mi sono azzardato a portare un 125 di un amico, tirando al massimo, per poi pentirmi subito dopo la mia cavolata. Ora, leggendo il tuo post, ammetto che ho paura ad andare in moto ( l'unica due ruote che preferisco è la mia bici da corsa ) paura che da ragazzo non vuoi ammettere di avere... Augusto Vancini.
La mitica vespa 50 di Augusto, con le marce che solo lui sapeva far entrare...
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