sabato 5 luglio 2008

Narrazioni (Raffaello Ducceschi telling) - parte prima

Praefatio

Si chiama “sapere narattivo”, quella particolare forma di apprendimento che si attua narrando, ripercorrendo e ricostruendo le intricate trame della propria ed altrui esistenza. Si può crescere nel racconto, come ci dice la psicologia culturale, perché questo è esercizio millenario di ricerca e realizzazione del Senso, di condivisione di valori. La narrazione perciò struttura la nostra esperienza e ne permette il ricordo.

Cominciando da un sogno

Molti dei migliori fondisti di livello internazionale, così come tantissimi semplici appassionati, hanno cominciato a correre o marciare dopo aver vissuto da spettatori l’indelebile esperienza di una kermesse podistica internazionale. Tale vicenda per essere significativa va però metabolizzata, ricostruita, narrata e condivisa. Come ha fatto l’olimpionico Raffaello Ducceschi (ricordate due “post” fa?) nello scritto che seguirà. Lo pubblicherò in due parti; in entrambe si parla della mitica Coppa Città di Sesto San Giovanni, gara internazionale di marcia considerata da tutti la Milano-Sanremo della specialità. La prima parte è relativa a vissuti infantili e adolescenziali dell’autore, spettatore incantato e curioso. La seconda, che pubblicherò più avanti, vede l’autore protagonista della gara stessa. A volte, scrive Ducceschi, i sogni si avverano.
Buona lettura.

Marcia Primo Maggio di Raffaello Ducceschi

Sul Balcone. Pomeriggio di sole. Luce forte. Il fumo delle fabbriche e l'umidità padana la fanno arancione. Le braccia di mio padre, lo giuro, altissime, sconfiggono il parapetto, prima insormontabile. Finalmente vedo la strada. Quattro o cinque teste in canottiera muovono le braccia avanti e indietro. Zum Zum, Zum Zum. Anche i piedi. "Guarda Raffaello quello è Pamicc"
Ma ... quello chi?
Ma chi è?
"Quello che ha vinto le olimpiadi!"
Le olimpia... che?
"non ti ricordi?"

Le mie domande frullano silenziose, s'ingorgano, s'intralciano e s'intasano, la parola non è ancora il mio forte, c'è d'attendere.

Facciamo due conti oggi ci sono questo qua e i suoi amici che muovono i piedi e le braccia, fa caldo... scusa, Pamicc non ha mica vinto a Tokio ‘64? allora oggi è il primo maggio del 1965!

Ma come faccio a ricordarmi...? ...delle olimpiadi, voglio dire. Erano 8 mesi fa! no ma dico?

Sembra però che 'ste olimpia-cose siano una roba seria... da ora in poi prometto ricordarmi tutto... Intanto è meglio che faccio da solo. Tanto per cominciare per me Pamicc è quello lì con il fazzoletto in testa con i quattro nodi agli angoli. Perché? Ma è ovvio, è l'unico, gli altri non ce l'hanno... di chi mi ricordo se no?

Poi magari tra vent'anni mi dicono che il fazzoletto lui non lo portava mai... poi passo dieci anni deluso e poi magari tra trent'anni negli archivi del comune ti trovo una foto di Pamicc a sesto, in mezzo a due inglesi, col fazzoletto in testa, Pamicc dico (...che si scrive con l'acca non "l'o" ancora imparato... non vado mica a scuola... cioè vado all'asilo, dall’Alari, il custode, che mi chiama con il microfono e i baffi, quando arriva la mia mamma a prendermi, e dalla Vittoria Verga, che vince già gli scudetti di basket e la coppa dei campioni col Geas... ma questo non lo so ancora... però è simpatica e "cià" le trecce con gli zoccoli. Da grande voglio fare l'Alari, se poi non mi danno il microfono magari gli chiedo di farmi la tessera del piccì prima che cambi nome... il piccì non l'Alari... l'Alari, il partigiano, non cambia mai...e la Vittoria...la Vittoria la sposo... se è già sposata ne trovo qualcuna che le assomiglia... che ciò già l'imprintin’... )

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Sul marciapiede. Molta gente. Arrivano i marciatori. Non vedo nessun fazzoletto. "Chi vince?" uno straniero "e dietro?" altri stranieri. "ma non c'è Pamich?".

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In bicicletta. Coi tedeschi, coi russi, un sacco di gente. In bicicletta. Oggi non si può più, il regolamento lo proibisce, ma allora era un rito. Se li accompagnavi in bici, in gara, c'eri anche tu. Sul marciapiede sei distante. Ma in bici!
Li senti respirare li senti sudare. Io ne ho scelto uno che non lo accompagna nessuno. Uno che non vince. Capelli rapati a zero, occhialini tondi da vista, magro, come tutti i marciatori, la maglietta bianca con la scritta azzurra. Israel. Per due anni. Ho provato a dargli da bere "dagli dell'acqua" mi ha urlato uno del pubblico. E io ho ubbidito. Sono entrato in un bar e mi son fatto dare una bottiglia. Lui però l'acqua non l'ha voluta. Non beve. È il mio eroe. Se non vince, fa niente. A me ricorda un disegno, un ritratto di padre Kolbe. Un sarcerdote cattolico martirizzato ad Auschwitz. L'incongruenza forse mi sfugge. Ma ci ho quasi azzeccato. Da bambino si salvò miracolosamente dal campo di concentramento di Belsen Bergen.
Mi diranno, tra molti anni, che a Monaco 1972 c'era anche il mio eroe. Mi diranno che lì, vinse. Shaul Ladany si salvò dal sequestro e dalla strage, buttandosi dalla finestra un attimo prima della cattura.

(fine prima parte)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello ritrovare un vecchio amico sul web. Sono Leonardo Romanelli, marciatore ai tempi di Raffaello, con minori risultati ovviamente. Sarà la vittoria alle olimpiadi di Schwazer, ma tornano in mente i tempi passati. Avete mica recapiti di Raf?
quintoquarto.san-lorenzo.com

Marius ha detto...

Ciao,

del grande "Raffo" ho l'indirizzo mail: raffaello@arsenaldesign.it

Torna sul blog, di tanto in tanto, se ti va.

un saluto. mario