venerdì 13 giugno 2008

Il talento e il campione: potenza e atto?

Stavolta scomodo pure Aristotele. Per carità siamo sempre su un blog, il mio, dove faccio passare opinioni, mica affermazioni incontrovertibili! Voglio però ragionare di alcune questioni abbastanza note a chi si occupa di mezzofondo e fondo in atletica leggera. La domanda è: ma che fine fanno i nostri migliori mezzofondisti (ed anche marciatori) una volta usciti dalla categoria cadetti? Per carità, viviamo un tempo di vacche magre assai per quanto concerne le discipline di endurance in generale; una situazione che, probabilmente, ha la sua causa principale nelle piaghe sociali dell’ipocinesi e dell’ipernutrizione. Ne abbiamo già parlato. È pur vero però che quei pochi “puledri” che vengono a galoppare per qualche tempo dalle nostre parti, sembrano imbolsire intorno ai 17-18 anni, per poi sparire definitivamente compiuti i 20, quasi non fossero mai esistiti (atleticamente).
Rimarrò prevalentemente (per motivi pratici e di esperienza personale) sui maschietti. La questione non è molto diversa nel settore femminile; citerò pure qualche esempio.
È molto triste leggere le graduatorie nazionali allievi 2007 e trovare non più di 5 tempi sotto gli 8’50” nei 3000m. Ancora più penoso, con queste premesse, preconizzare risultati risibili tra gli juniores e i seniores (ometto volutamente la categoria promesse, per me un’assurda quanto fuorviante invenzione “amministrativa”) nei prossimi 2-3 anni e su tutte le distanze del mezzofondo olimpico (della maratona non voglio parlare).
Faccio allora un paio di conti: ogni anno l’Abruzzo è capace di cavar fuori almeno 3-4 cadetti interessanti. Ne ho conosciuti alcuni, in tempi recenti, capaci di correre i 1000m in 2’42” già al primo anno di categoria. A parte qualche rarissima eccezione, quegli stessi atleti “rallentavano” sui 2000m, si facevano più deboli, meno runners usando un’espressione terra terra; e questo mi fa pensare. Paradossalmente le distanze “brevi” come i 1000m e la ricerca precoce del risultato (soprattutto da parte di taluni allenatori) sono il primo grosso ostacolo ad una crescita equilibrata dei nostri giovani mezzofondisti. Eppure basterebbe dare un’occhiata ad uno dei tanti testi che trattano delle basi biologiche dell’allenamento di bambini ed adolescenti, per rendersi conto di quanto possa essere controproducente, pericoloso, lavorare con essi sconfinando nel lattacido, spesso e volentieri, giocando a ridurre drammaticamente i tempi di recupero.
Tempo fa qualcuno mi fece arrivare un messaggio del tipo: “i ragazzini devono velocizzarsi, devono correre meno e più velocemente”. Qualcun altro - leggevo nel suo curriculum di tecnico – vantava i risultati di 5-6 atleti da lui allenati, ragazzi talentuosi che, arrivati a vent’anni, interruppero l’attività per infortuni vari (ma anche perché vieppiù demotivati). Di questo allenatore mi fece impressione leggere: “Ha allenato x y, campione italiano ai Giochi della Gioventù”. La cosa, paradigmatica di quanto fin qui detto, si commenta da sé.
Si confonde la potenza con l’atto, riprendendo rusticamente Aristotele; il talento per certuni è già campione e in nome del risultato prêt-à-porter lo si pressa da subito e senza troppi riguardi. E allora vado a quei pochi esempi di giovani eccellenze atletiche realizzatesi poi da adulti. Mio fratello Giovanni (in foto), capace di correre i 2000m a 10 anni (era il ’78) in 6’33”4, di marciare i 10.000m in 41’50” a 17 anni; ha poi fatto ciò che si sa. Gisella Orsini, marciatrice che strappai nell’89 ad un destino ibrido di podista-marciatrice, per indirizzarla verso le soddisfazioni che ancora oggi, a quasi 37 anni, è in grado di togliersi. Annalisa Scurti, pescarese, mezzofondista che in molti non ricordano più; cominciai ad allenarla all’inizio dell’87, quando stava per interrompere anzitempo la sua carriera a causa di tendini arrivati ormai al capolinea. Da mezzofondista veloce iniziò a “pensare ad altro”: passò prima sui 3000m (12^ in finale ai Campionati del Mondo Juniores a Sudbury nel 1988, col tempo di 9’26”; 9’11” l’anno dopo) e poi a 21 anni fu capace di correre il suo secondo 10.000m in 33’28” (2^ agli Italiani Assoluti del ’90). Corse anche due edizioni dei Campionati del Mondo di Corsa su strada (1h13’41” il suo crono sulla mezza maratona).
Per non restare al “mio”, voglio ricordare il grande Luciano Carchesio, talento vero, scoperto ed allenato da Donato Chiavatti, già forte nella categoria ragazzi e capace da senior di un 8’27” e spicci sui 3000st (vinse un titolo italiano assoluto sulle siepi nell’82, davanti a Panetta; fu finalista, sempre in questa disciplina, agli Europei di Atene di quello stesso anno). Chiudo con Alberico Di Cecco, altro esempio di longevità atletica, capace a 16 anni di correre i 3000m in 8’27”5 e un “ufficioso” 10.000m intorno ai 31’30”!

Del doman non v’è certezza...

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