sabato 29 agosto 2009

Desperate house athletes?




Chiusi i mondiali berlinesi di atletica leggera si continua a piè sospinto nella ricerca della causa prima della debacle italiana. Giornalisti, allenatori, atleti, gente comune, tutti, a turno, hanno puntato il dito ora sulla scuola, ora sulla molle opulenza della società occidentale (nell’ambigua variante italiana), ora sull’incapacità gestionale della dirigenza federale. Tante parole, forse troppe. L’atletica italiana di vertice è in difficoltà. Qualcosa è cambiato. Anche gli atleti offrono il loro campionario di sfoghi e recriminazioni. Mi fa riflettere quello dei nostri marciatori. Essi parlano con insistenza dei loro sacrifici quotidiani. Li danno in pasto alla stampa, a caldo e non. In un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa.it (22.08.09) Schwazer, alla domanda “Se potesse cambiare qualcosa nella sua preparazione che farebbe?” risponde: «Vivrei di più, perché negli ultimi mesi ho rinunciato a tutto per la marcia. Se fossi venuto qui senza fare fatica, dopo aver folleggiato per l’oro di Pechino, vi assicuro che non sarei così distrutto. Lavorare più di così non è possibile». Lo sostiene il compagno di squadra Giorgio Rubino dalle pagine della Gazzetta.it (21.08.09): “[…] Chi di voi ha mai visto dove viviamo, cosa facciamo durante l’anno, quanta fatica siamo capaci di sopportare, cosa significa allenarsi sotto la neve d’inverno quando si è affaticati dal duro lavoro dei giorni precedenti, o sopportare dure ripetute con il caldo estivo? Per noi non è un problema, perché crediamo in quello che facciamo e nel nostro sogno, ma quanti di voi sarebbero pronti a questo rinunciando ai divertimenti, andando a letto alle 22 per superare i propri limiti e allenarsi con dedizione? Quando noi cominciamo la preparazione entriamo in un tunnel che si chiude al termine dell'appuntamento estivo e questo tunnel dura solitamente intorno ai 9 mesi. Quanti di voi hanno questa forza mentale?”. Anche Elisa Rigaudo, ai microfoni Rai subito dopo il deludente 9° posto di Berlino, dice più o meno cose simili.
Un tempo (invero una decina di anni fa) scrissi che i marciatori ricordano agli uomini il senso della fatica, nel silenzio. Dordoni, Pamich, Damilano non ricordo averli mai sentiti rimarcare il peso dei loro sacrifici in opposizione alla seduzione dei piaceri della vita mondana. Il piacere della fatica sportiva, nel silenzio, questo è ciò che offrivano i nostri marciatori al mondo. Il silenzio come consapevolezza della propria forza interiore, della lucida e naturale capacità di ripartire da un’occasione perduta. Perché nulla è scontato. Neanche la vittoria di un supercampione.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

caro Mario la tua analisi e' perfetta troppa pressione,troppo stress,risultati a tutti i costi di questo passo dove andra' a finire la nostra atletica?A CHI DI DOVERE PREGO DI GESTIRE ADEGUADAMENTE I NOSTRI GIOVANI E SONO SICURO CHE I RISULTATI ARRIVERANNO un saluto Giulio

Anonimo ha detto...

Avevo ascoltato l'intervista rilasciata a caldo da Schwoz.
Mi aveva molto colpito la genuinità con cui dichiarava di non essersi mai vergognato così tanto e chiedeva scusa ai tifosi italiani giunti a Berlino per sostenerlo. E in fondo, in una situazione particolare come quella, non stonava nemmeno il proclamato rammarico per aver lavorato tanto senza aver raccolto i frutti sperati.
Invece non avevo letto le dichiarazioni di Rubino e della Rigaudo e queste mi sono piaciute decisamente meno. Passi per la controprestazione dell'azzurra - una giornata no fa parte del gioco -, spiace per quel pizzico di sfortuna di Giorgio, che comunque è stato protagonista di una grande annata, con la vittoria nei Giochi del Mediterraneo e la grinta e la tenacia messi in campo a Berlino. Però, a questo punto, rimpiango anch'io gli atleti silenziosi di un tempo.

Comprendo bene la delusione ed anche il fastidio per le critiche ricevute. Ma certe affermazioni mi sembrano inutili.
Ad essere onesti, fare fatica e lavorare duro mi sembrano il minimo che si possa fare per raggiungere certi risultati. E, naturalmente, non solo nell'atletica e nello sport.
Purtroppo la relazione lavoro duro/successo non è assolutamente biunivoca. Se lavori poco, poco (o addirittura meno) otterrai. Se lavori tanto, invece, hai delle possibilità di ottenere buoni od ottimi risultati. Ma garanzie in tal senso non ce ne sono proprio.

La marcia sconta il fardello di essere stato il settore in cui l'Italia riponeva le maggiori aspettative. Ma in fin dei conti non è stato puntato più di tanto l'indice contro gli atleti, perché tutti sappiamo bene che nelle gare di endurance possono succedere tanti imprevisti ed una giornata storta può capitare anche al favoritissimo della vigilia.

Un saluto.
Sat

Anonimo ha detto...

Condivido anch'io la Tua analisi. Però permettimi di spezzare una lancia in favore di questi atleti che "rivendicano" il lavoro duro durante la fase di preparazione all'evento. Credo che si tratti solo di una "ovvia" precisazione in quanto credo che tutti i campioni (o quasi tutti??) di un certo livello fanno un mare di sacrifici, che improvvisamente vengono fatalmente dimenticati nel momento della gloria, ovvero della vittoria o podio. Purtroppo non è stato il caso dei nostri azzurri dell'atletica e, quindi, questa "precisazione" da parte degli stessi credo possa starci, anche perche, poco + di un mese fa ai campionati mondiali di nuoto gli atleti italiani sono riusciti a fare bella figura penso quanto meno a parità di fatica/sacrifici con gli atleti di atletica.
Dicevo prima "quasi tutti" perchè quel quasi lo metteri negli sport di squadra dove, molte volte, i sacrifici/rinunce non sono sempre uguali tra gli atleti....basti pensare che, specie nel mondo del calcio, quando non arrivano i risultati si "spediscono" i giocatori in ritiro ... ergo gli si impone loro di fare gli atleti con la A maiuscola...forse al pari dei nostri delusi azzurri di atletica!!! E di contro possono, singolarmente, sempre dare la colpa al resto della squadra, al singolo episodio, all'allenatore/arbitro/stampa ...e non mi pare che sia consuetudine nel mondo degli sport di squadra (soprattutto negli sport ben retribuiti) sentire un atleta vergognarsi per le proprie prestazioni!!!
Tutto ciò fa sicuramente onore al povero Schwazer, che tra l'altro, pare abbia avuto dei seri problemi intestinali... quindi un fattore imponderabile che purtoppo può capitare.
Un caro saluto

Marius ha detto...

Grazie Anonimo del tuo contributo (che avrei apprezzato di più se fosse stato firmato, anche con un semplice nick ;)).
Il mio post - ci tengo a precisarlo - non vuol essere una reprimenda nei riguardi dei nostri marciatori, ma una semplice riflessione. Ed a proposito delle parole di Schwazer e Rubino sulla Gazzetta.it, prova a dare un'occhiata a questo articolo: http://archiviostorico.gazzetta.it/1999/ottobre/06/Pamich_silenzio_della_fatica_ga_0_9910062142.shtml
Lo sport è davvero cambiato.

un saluto.

mario

Mistercamp ha detto...

Io penso che un atleta che arriva all'apice della massima vittoria che può ottenere, cioè una medaglia d'oro alle olimpiadi, debba rimanere com'è non stravolgere allenamenti e vita in generale, perchè lui è così è FORTE,Schwazer dice che fa tanti sacrifici, quello che fanno tutti in questa specalità , difatti IO quando vedo un atleta vincere una gara, e così anche lui lo scorso anno mi emoziono come un bambino perchè capisco che per arrivare lì quanti sacrifici.....
ma Schwazer ha scelto questo sport , e deve imparare anche a perdere senza rimpianti, quando vinse la medaglia d'oro non fece tutte quelle affermazioni....
lo sport è questo bisogna accettare la sua legge, specie quella della sconfitta, e servire da stimolo er ritornare grandi
per chi loè stato già.....
FORZA SCHWAZER.........

Anonimo ha detto...

Mi scuso innanzitutto per l'anonimo... c'è stato un refuso con il mio account google...
Ho letto con piacere la disamina della carriera dell'atleta e della vita dell'uomo Pamich.
Ovviamente erano altri tempi con problematiche diverse...ma "la marcia educa al silenzio, alla solitudine, all' autonomia, alla pazienza e alla perseveranza" non ha tempo ed è sicuramente una costanza per chi pratica questo sport.
Mi associo alla riflessione di Mister Camp sull'emozionarsi come un bambino quando si vede un'atleta alzare le braccia al cielo.... e che dire quando lo si vede salire sul podio + alto per ascoltare l'inno nazionale????
Credo che, comunque, certe emozioni possono essere colte soltanto da chi ha in mente il concetto di allenamento, in quanto lo vive in prima persona a qualsiasi livello e Mister Camp è sicuramente un super esperto in materia.
Un saluto a tutti.
Pasqualino Onofrillo

Marius ha detto...

Grande Pasqualino, e scusa! Quando leggo un commento anonimo-anonimo vado un po' in confusione ;))

un abbraccio. mario

Volger61 ha detto...

Caro Marius, scusa per il commento lungo,
trovo sempre interessanti e competenti i tuoi articoli e visito spesso il tuo sito anche se per me l’Atletica è un flebile ricordo del passato. Di solito tengo per me i miei commenti: ho smesso nel 1995 e ho abbandonato completamente l’ambiente, a parte rare ‘rimpatriate’ con gli amici di un tempo, per cui non conosco la reale situazione dell’atletica italiana oggi (organizzazione, tecnici, dirigenti, impianti, società, regolamenti, ecc.). L’unica cosa che vedo, in TV e sui giornali, sono le prestazioni di qualche decina di atleti di vertice ma, essendo stato per 20 anni un ‘dilettante puro’, mi resta l’dea che l’atletica italiana sia un’altra cosa e non vada misurata a medaglie.
E’ vero che le grandi prestazioni danno visibilità all’atletica e quindi lo sport di vertice ha la sua funzione di propaganda ma se un ragazzino arriva al campo perché vuol correre come Bolt e non come Collio, direi che va bene lo stesso. Ritengo che Arese e la sua Fidal vadano misurati innanzi tutto sul numero dei giovani che approdano all’atletica, frequentano i campi di gara e si divertono a fare sport, non sul numero di medaglie che si prendono ai mondiali. Temo solo di scoprire che ad una insufficienza evidente nel medagliere ne corrisponda un’altra, meno evidente ma più grave, nel numero dei praticanti ‘reali’.
Due cose principalmente me lo fanno pensare: da un lato l’estrema confusione e litigiosità che traspare dai Forum frequentati da atleti e tecnici (AtleticaNet per primo) dove tutti criticano tutto (dirigenza, calendari delle gare, disponibilità degli impianti, ecc.), dall’altra la constatazione che con i miei tempi del 1981 (1° anno senior) oggi quasi si va ad un campionato italiano Promesse, mentre io avevo una dozzina di coetanei davanti nel solo Piemonte (sui 3000 / 5000m).
Vorrei che tu che hai una visibilità significativa dell’atletica ‘vera’, oltretutto in una piazza decentrata e quindi degna di maggiore attenzione, potessi farmi capire quale è la reale consistenza del movimento, soprattutto nei settori più ‘tecnici’ (asta, lanci). Questo è l’importante: quello che si vede in TV è folklore.
Ti ringrazio per l’attenzione.
Enrico Longo
P.S.: in uno sport di vertice in cui gli atleti vanno ai reality show, pensare che fatichino in silenzio è quasi improponibile. La teoria delle lamentele e dei piagnistei non è gradevole ma nel 2009 gira così.
P.S.2: non ne capisco di marcia. Rigaudo ha detto di aver percorso 5200 Km in 10 mesi (media di 17-18 al giorno): Sono tanti ?

Anonimo ha detto...

lo so, non è elegante autocitarsi. Ma l'asse portante del libro che ho scritto sta proprio qui. e' il teorema del libro: un atleta di livello alto negli sport aereobici "fa una vita di merda", detto in sintesi, esagerando, una vita comunque con poche variabili. Certo, è una provocazione, certo non è la VERITA'. Io per farci un romanzo noir ho poi esagerato. La frase di Alex che poi ha detto anche nell'intervista a Bragagna te lo dice. una frase che ha me ha fatto tanto male. Sofferenza vera. I dubbi di uno che è comunque campione olimpico in carica... Vite estreme. Non quelle stronzate di Reality del cazzo per vipperie caricaturali. Basterebbe seguire le giornate di questi atleti per capire. MAGARI VISTO MAI, VIENE FUORI UN FORMAT che funziona...

saverio

Marius ha detto...

Ciao ragazzi,
grazie per i vostri commenti.

Per Enrico Longo: hai messo molta (ed interessante) carne al fuoco. Siccome vado di corsa ti rispondo in modo non sequenziale. Perdonami, se puoi, se sfioro appena le tue richieste. Innanzi tutto la litigiosità nei forum: "forum" è foro, piazza in latino, e in piazza puoi trovare davvero di tutto, quindi non stupirti se, mediamente, il tenore culturale espresso in essi è quello che è. Ritengo però che Atleticanet.it sia un sito ben fatto, svincolato da giochi e giochini di potere, assai coraggioso; il suo forum è un atto di apertura democratica che pochi altri siti 'atletici' concedono. Ti posso garantire che il suo direttore fa assai fatica a moderare la 'piazza'.
Per quanto concerne la questione dei numeri dell’atletica ‘vera’, piuttosto che avventurarmi in ragionamenti traballanti (diciamo aperti sul fronte di troppe variabili che non conosco) ti segnalo un bell’articolo-studio sui tesserati Fidal (atleti) dal 1982 al 2007: http://www.fidal.it/files/AL.2.aprile.08.pdf
Dagli un’occhiata, mi farebbe piacere un tuo parere al riguardo.
La questione dei reality: è un segno dei tempi. Non mi stupisce più di tanto.
I chilometri della Rigaudo: sì, sono tanti; magari ne ha fatti pure di più.

Per Saverio: sì, sei un provocatore. Tutto il tuo romanzo è provocazione. Una provocazione intelligente, ben scritta, equilibratamente iperbolica e perciò un utile rimando a riflessioni più ‘serie’ sul problema dello sport di alto livello. (Ieri ero a casa di mio fratello Giovanni; c’era pure Gisella Orsini, nazionale di marcia, con in mano il libro di Guy Debord, “La società dello spettacolo”. Un capolavoro. Profetico. Da leggere. Siccome Debord era contro il copyright già dal 1967, potete leggerlo gratuitamente su: http://www.scienzepostmoderne.org/Libri/SocietaDelloSpettacolo/SocietaDelloSpettacolo.html).
Un solo ‘appunto’ (metto le virgolette proprio perché tu stesso dici che è un’esagerazione). Tu scrivi: “[…]un atleta di livello alto negli sport aereobici "fa una vita di merda", detto in sintesi, esagerando, una vita comunque con poche variabili.” Al sostantivo atleta aggiungerei l’aggettivo “italiano”. Gebre pare sorrida sempre. E pure Bekele, anche da fratturato.
Ah, dimenticavo. Per i lettori che passano di qua, il libro di Saverio (Saverio Fattori) cui faccio riferimento è “Acido Lattico”, Gaffi Editore, Collana I SASSI. È in copyleft, ma io l’ho acquistato. Merita.

Un saluto a tutti.
mario

Anonimo ha detto...

...purtroppo la "vita di merda" dell'atleta è tale "solo" per la maggioranza di coloro che perdono...quei pochi fortunati che invece vincono e quindi ridono, non la definiranno mai di merda. Anzi.

GMak.

Marius ha detto...

... altra provocazione, per nulla campata per aria. Il doping quindi come merda 'necessaria' per (credere di) star fuori dalla merda. E intanto Londra 2012 si avvicina...

mario

Paolo Dell'Elce ha detto...

molto vero Mario...è che il silenzio non va più di moda, e la sofferenza anche...ogni giorno che viene è sempre un po' più triste del giorno precedente...del resto quello che hai riportato nell'altro post...riguardo all'annullamento del meeting all'Adriatico è emblematico...e come volevasi dimostrare non ha piovuto...:)