giovedì 10 ottobre 2019

La scelta più difficile

Giorgio e Tania Cagnotto - foto di oasport.it

Genitori che allenano i figli, tema quanto mai ‘scivoloso’; un argomento che pone in evidenza la complessità di un doppio ruolo: quello appunto del genitore e quello del tecnico (che è comunque un educatore). 

La storia dello sport, quella italiana e quella internazionale tout court, offre una miriade di narrazioni suggestive, relative a vicende di padri – o anche madri – che allenano i propri figlioli. Storie talvolta tormentate, di pressioni psicologiche soverchie e di successi che entrano nel mito, come l’esperienza di Andre Agassi, raccontata da lui stesso nel best seller “Open”. 

Verrebbe da dire: almeno Agassi si è realizzato come campione. Ma di Andre Agassi ce n’è uno. 

Non si può escludere che esistano anche binomi genitore-allenatore/figlio-atleta vincenti, sia sul piano dei risultati sportivi che su quello più difficile dell’armonia educativa finalizzata alla crescita della persona. È il caso di Giorgio e Tania Cagnotto, dove il primo, papà di Tania e secondo miglior tuffatore italiano di ogni tempo, ha sempre saputo contemperare in modo perfetto il ruolo di tecnico e quello genitoriale. Ma, anche qui, si potrebbe dire che di Giorgio Cagnotto ce n’è uno. 

In questa sede, però, non voglio scrivere se sia più o meno opportuno essere allenatori dei propri figli. Piuttosto vorrei ragionare sulla necessità di operare una scelta, difficile, da parte del genitore-allenatore, ove si riconoscano i propri limiti – di tipo emotivo-psicologico oppure meramente tecnici – nella relazione con il figlio/a-atleta dal talento limpido. 

In Italia è assai frequente che l’allenatore, esperto o meno, si leghi visceralmente al giovane talento che è il prodotto del suo vivaio; tanto visceralmente da ‘imprigionarlo’ nella gabbia delle proprie ambizioni – talvolta sono vuoti esistenziali da colmare con i successi dei ragazzi che allena e che ha visto crescere. Rari sono i casi in cui avviene un passaggio di consegne, quando l’allenatore in difficoltà affida ad altri l'atleta che ha avviato allo sport, spesso a suon di iniziali risultati eclatanti.

Qualcuno potrebbe obiettare, giustamente, che così facendo i tecnici meno esperti non matureranno mai le competenze necessarie per il cosiddetto alto livello. È altrettanto vero che fare esperienza sulla pelle di giovani talenti, col rischio di perderli ancor prima che cominci la loro carriera sportiva (quella che conta, dai 20 anni in su, in molte discipline), è il ‘delitto’ più grande che possa essere perpetrato ai danni di un sistema sportivo già debole. 

Ma torniamo ai genitori che allenano i propri figli. Quando il rapporto tecnico-atleta si interrompe – e il genitore in questione è anche tecnico competente – che sorte avrà la relazione genitore-figlio? La possibile rottura di questo rapporto avrà sicure conseguenze nel prosieguo della carriera dell'atleta; immagino non positive.

Un progetto serio per l’alto livello nello sport dovrebbe fornire garanzie a tutela della persona, prima che del mero talento. Un sistema sportivo moderno dovrebbe garantire ai tecnici che allenano talenti – tecnici di base e non – un percorso formativo in LifeLong Learning, che preveda, da subito, il confronto e il dialogo costanti con i tecnici federali più esperti. Un dialogo con il settore tecnico nazionale sostanziato anche da incentivi economici che possano continuare, in una misura da definire, anche dopo un eventuale passaggio ad altro allenatore. Si potrebbero così evitare quei cambi bruschi, e dolorosi, di guida tecnica, spesso vissuti da alcuni allenatori come degli odiosissimi scippi, e assai di frequente forieri di successivi, anticipati declini. 

1 commento:

Mistercamp ha detto...

Fin quando I genitori non capiranno. Di lasciare il desiderio dei figli nelle loro mani e il proprio futuro non ci sarà mai via di uscita... Genitori che vogliono esaudire il proprio desiderio sulla pelle dei propri figli.... Questo è deleterio... E ne stiamo pagando le conseguenze....