giovedì 28 novembre 2019

NUNC SCRIBENDUM EST

Donna Luisetta de Benedictis
Ma chi è l’uomo medio? È colui che ha negato per secoli che la terra girasse, che ha gettato nel rogo le streghe e ha bruciato i pazzi; che ha massacrato Pisacane e gli eroi del Risorgimento. È colui che è destinato a essere smentito dalla storia, dalla vita e dalla scienza, mentre la Società si evolve e si trasforma!…
Vuoi vedere che l’uomo medio sono io? (Marcello Marchesi)

Oggi voglio divagare, e lasciare lo sport altrove. Oggi si parlerà di imitatio, imitazione, mimesis se volete, e di origini.
L’antropologo francese René Girard pone l’imitazione come istanza fondamentale dell’agire umano. Non occorre addentrarsi in discorsi antropologici e psico-filosofici, o essere insegnanti, per comprendere l’importanza dell’imitazione nei processi di apprendimento. Dal canto mio, in modo maldestramente empirico, posso citare la mia esperienza di scribacchino appassionato, iniziata proprio per imitazione (una strana forma di questa, in verità).

Ho imparato a leggere molto presto, prima dei cinque anni. Mio nonno era un lettore infaticabile; mia madre continua a divorare libri. Ma la forza della narrazione entrò prepotentemente nella mia vita ben prima che imparassi i segreti della lettura. Dai discorsi familiari infiniti, che si facevano nei lunghi pomeriggi d’inverno (quelli con poca televisione), appresi che avevo una sorta di missione da compiere; un “vivere per raccontarla”, tanto per citare Gabriel García Márquez. Certo, l’epica familiare dei de Benedictis ha agevolato il compimento di questo mio bizzarro destino. Gli ingredienti c’erano tutti. Intanto un re, Ferdinando I re di Napoli, detto il Ferrante. La rivolta dei baroni ribelli, contro la Corona. I mercenari al soldo della mia famiglia, a Francavilla, messi al servizio del Ferrante stesso. Il soggiorno del re nel palazzo dei miei. Il titolo di barone accordato nel 1457 ad Evangelista de Benedictis e ratificato cinquant’anni dopo. Qualche migliaio di ettari del feudo. E poi, tre secoli più tardi, la famiglia ad Ortona a Mare nel Palazzetto de Benedictis, già dei Vesij-Castiglione, col suo bel portale in pietra e la cisterna con un magnifico anello; le prime cariche pubbliche.

L’Ottocento portò il disappunto familiare per quella cugina che sposò un poco di buono, figlio di giocatori d’azzardo, inaffidabili e rosi dai debiti – a detta dei miei. Quella cugina era Donna Luisetta de Benedictis, la mamma del poeta Gabriele d'Annunzio.

Pier Saverio de Benedictis, padre del mio bisnonno, era tra gli sponsor del cenacolo di MichettiCascella e d’Annunzio (sempre rimanendo all’epica familiare). In una notte si giocò a carte almeno un centinaio di ettari della sua proprietà. Pier Saverio e la sua relazione “segreta” con una ballerina russa, Romanova il suo cognome; un figlio illegittimo, Bruto, con un cognome “locale”: l’italianizzazione di quello materno: Bruto Romagnoli. Bruto, “nascosto” a Roma; la sua strana infanzia ed adolescenza. La sua laurea in ingegneria e i soggiorni estivi ad Ortona all’ultimo piano del Palazzetto de Benedictis, (una specie di mansarda).

E poi il mio bisnonno, Gaetano de Benedictis, che iniziò a lavorare a quarant’anni; segretario comunale con funzioni di podestà. Un uomo buono e mite. Di lui si ricordano le centinaia di giovanotti riformati per scapolare la guerra; i documenti, preparati a tempo di record, per il sogno dell’Argentina. E tutto senza nulla in cambio (nonno Gaetano aveva un rapporto stranissimo col danaro e con la roba; aveva sempre avuto tutto il “necessario” e i soldi appartenevano ad un sistema economico “moderno” a cui non si era mai adattato).
Note erano le “truffe” dei mezzadri che, in processione il lunedì, gli comunicavano: “Lu baro’ sanne morte trenda pecore. E mo’?”, “Lu grane è poche”, e via dicendo. E lui che piangeva con loro, sempre dopo aver provveduto a “risarcirli”.
Il suo matrimonio con Flavia Cancellieri, nobildonna del Vasto, ricca discendente dei d’Avalos. Si innamorò del mio bisnonno attraverso una foto (ce l’ho ancora!) che lo ritrae baffi all’in su, vestito di bianco, panama incluso e bastone d’”ordinanza”.

La seconda guerra mondiale massacrò il mondo e segnò anche il destino dei de Benedictis.
Lo sfollamento, mio padre bambino trascinato per centinaia di chilometri assieme ai cuginetti.
Il rientro a Ortona, le mani sugli occhi per non vedere i soldati straziati che pendevano dai balconi.
E il socialismo “ufficioso” di mio nonno Mario, allora impiegato del catasto di Pescara; la spilla del partito scagliata con rabbia nel fiume Pescara alla notizia della caduta del fascismo; il suo socialismo “ufficiale” e il sindacalismo feroce dal 1945. La passione, inconciliabile, per d’Annunzio e Pasolini. La sua profonda cultura, come “coltivazione lenta e costante dello spirito”.
D’Annunzio e Pasolini. Il parente e l’amico.


Del primo all’inizio ho avuto quasi repulsione. È stato per me quasi una condanna. “Sei il nipote di d’Annunzio, quindi devi scrivere bene”, questo il refrain che ha accompagnato parte della mia infanzia e tutta la mia adolescenza. Tanto da determinare in me una specie di afasia, una impraticabilità della scrittura. A scuola passavo dal nove al quattro, al “non classificato”. Il piacere di scrivere non esisteva più. La narrazione si era interrotta. Oggi torno spesso a d’Annunzio, quello de “L’onda”, di “Meriggio”, in “Alcyone”. Non è stato facile fare pace con lui.

E poi Pasolini. Lo conobbi che avevo dieci anni. Aveva la forma di un libro posato in pila con altri, sul comodino di mio nonno Mario (era “L’odore dell’India”). Pasolini è l’amico timido e misterioso che ritrovai a trent’anni, cagione di un rinnovato entusiasmo intellettuale, ancora oggi compagno delle mie peregrinazioni notturne sui sentieri della poesia, della politica, della linguistica. Anche grazie a lui ho ridefinito il mio rapporto con la cultura. Cultura come impegno sul campo.

La vita può iniziare con una fiaba.


martedì 19 novembre 2019

UN FIORE PER VITTORIO


Per diritto d'anagrafe ho avuto la fortuna di conoscere l'Atletica Leggera, quella intrisa di sanguigna e limpida umanità, praticata quotidianamente sul campo, con i giovani e per i giovani, lontana anni luce dalla logica dello sport spettacolo. Quell’atletica che, forse, per un triste gioco del destino, se ne andò nell'agosto del 1985 con Vittorio Maturo.

Vittorio è stato uno dei più grandi talent scout dell’atletica italiana (il termine è però improprio in quanto Vittorio non traeva nessun provento da questa attività, anzi…). Tra le sue scoperte, su tutti, gli olimpionici della marcia Vittorio Visini e mio fratello Giovanni.

Ricordo Vittorio Maturo col suo broncio proverbiale – burbero dal cuore buono – col cronometro e la fettuccia, con i nastri di nylon bianco e rosso, con le paline, assediato dalla caciara di centinaia di ragazzini, per i circoli didattici e le scuole medie di Pescara e provincia.

Ci voleva bene Vittorio; ci voleva atleti infaticabili e bravi studenti (proverbiali i suoi blitz a scuola, a colloquio con i professori), corretti sul campo come nella vita.
Oggi sono insegnante anche grazie a lui – io, qualche anno fa, studente confuso, con troppi chilometri sulle gambe e poca energia da spendere altrove – a testimonianza di un affetto sincero, concreto, che andava ben oltre il momento sportivo.

Oggi rifletto sul senso di una vita, quella di Vittorio; penso al senso di altre, interrogandomi sul significato di uno sport che è sempre più show business, coi suoi campioni drogati e coi giovani pronti ad imitarli, non solo sui campi di gara.

Penso ai mercanti di morte, ricchi alchimisti senza scrupoli che giocano a dadi con la vita degli altri, speculando sulla debolezza spirituale, culturale, morale di adulti e adolescenti.

Penso poi alle parole che Vittorio disse a mio padre a gennaio del 1978, quando io e mio fratello ci tesserammo per la sua società sportiva, la gloriosa Hadria Pescara: «Nino, come stanno col sistema cardiovascolare? L’hanno fatta la visita medica i ragazzi?»; un refrain che era solito ripetere a tutti quelli che firmavano il tesserino per lui.

Penso alla sua solitudine, a quando, per esorcizzare l'idea della morte, anima assetata d’affetto, era solito chiedere ai suoi ragazzi: «Quando morirò verrete a portarmi un fiore?».

Di Vittorio non si parla più.

Pier Paolo Pasolini, in una sua poesia, scrisse: «La morte non è / nel non poter comunicare / ma nel non poter più essere compresi».

lunedì 18 novembre 2019

SORPRENDENTI ANONIMIE


Un’atleta etiope polverizza la migliore prestazione mondiale dei 15 km su strada. Di per sé il crono di 44:21, su una distanza non troppo frequentata, è eccezionale; leggendo però i passaggi di gara si rimane decisamente esterrefatti: 29:12 gli ultimi 10 km di gara (più veloci dell’attuale record mondiale femminile dei 10.000 in pista), 2:44 il decimo chilometro; 2:49, 2:52, 2:50 gli ultimi tre chilometri. 

Di questa ragazza non ricordo il nome, come non ricordo i nomi delle torme di atleti che negli ultimi cinque-sei anni corrono con apparente disinvoltura, settimanalmente, ogni distanza del mezzofondo e del fondo macinando tempi al chilometro da extraterrestri. 

Di lei non ricordo il nome, dicevo; ma l’eleganza del gesto sì. Ed è un vero peccato perché, forse, quel nome andrebbe mandato a memoria. 

Forse questo è il tempo della ‘velocità bruta’, che non concede nulla alla Bellezza, anzi, la annichilisce fino ad azzerarla coi suoi numeri fatti in serie e con la data di scadenza sempre più vicina. 

Penso che i record, e le anonime eccellenze atletiche che li ‘stampano’, seguano i ritmi del campionario estivo di questa o quella marca di calzature sportive.

sabato 9 novembre 2019

BREVE RIFLESSIONE SUL TALENTO SPORTIVO



Sono tornato a leggere l'edizione italiana del saggio di Vladimir b. Issurin, Athletic talent "Identification and its Development". Trovo che sia stata un'ottima occasione per fare chiarezza, una volta di più, su concetti troppo spesso abbandonati alla mercé dei luoghi comuni più triti.

Di certe esasperazioni agonistiche anticipate ho già scritto tanto. Sono solito ripetere che nello sport giovanile è nota la parafrasi del famoso adagio partenopeo: “Ogni scarrafone è talento a mamma soja”. A mamma, ma anche a papà.

Dinanzi alla ‘mediocrità atletica’ dei loro figlioli, certi ‘adulti’ non si rassegnano, anzi: rilanciano. “Deve fare le ripetute”, “quella gara non doveva farla; così non si velocizza”, “ma quando farà il salto di qualità?”, sono alcuni dei mantra che taluni genitori con vocazione da coach amano recitare agli istruttori dei loro figlioli, spesso in presenza di questi ultimi.

E se arriva qualche risultato discreto (discreto, non stratosferico), al primo momento di crisi, fisiologica e necessaria nella carriera di qualsiasi atleta, il genitore-coach perde la brocca. Cominciano così i pellegrinaggi da un allenatore all’altro, alla ricerca spasmodica di quello che non c’è; che non dovrebbe proprio esserci.

Il talento, vero, di un atleta può fare la fortuna di un allenatore. Così come la bravura di un allenatore può fare la fortuna di un atleta talentuoso (ché il talento da solo non basta). E la fortuna, vera, di un atleta - scarso, mediocre o campione che sia - è l’aver vissuto un’esperienza unica, formidabile, di crescita personale, sperimentando sul proprio corpo e nel profondo dell’anima la ruvida bellezza di un cammino difficile, ma possibile; di un abbraccio forte e rassicurante, comunque vada.

martedì 5 novembre 2019

Una nuova felicità per Sisifo


Le Olimpiadi di Tokyo si avvicinano e torno a chiedermi quale sia il valore autentico di una medaglia olimpica; oggi.

Temo che sia davvero difficile rispondere; e la risposta non sta “soffiando nel vento”.

Parlare di autenticità dinanzi agli ori, agli argenti e ai bronzi riassegnati per effetto di squalifiche per doping, 'a orologeria' e sempre troppo tardive, è cosa grottesca assai.

Quattro anni passano presto, ed eccoci di nuovo a discutere di olimpiadi, a fare voti affinché vi sia, per l'atletica italiana, la possibilità di ottenere qualche sparuta medaglia - in verità credo che nessuno sia più disposto ad illudersi - o almeno un tenue segnale di ripresa che apra alla sobria concretezza di un'inversione di tendenza.

Riformulo quindi la domanda iniziale e ne faccio subito un'altra: qual è il valore autentico di una medaglia olimpica vera? (L'aggettivo, ahimè, si pone come drammaticamente necessario). Possono ancora bastare talento e metodo - scientifico ed eticamente fondato - per raggiungere il podio di Tokyo?

Non ho risposte a buon mercato, ma credo che la sfida - seppur improba - vada comunque raccolta. Sisifo può essere diversamente felice.

domenica 3 novembre 2019

I TROPPI FANS DEL PODISMO (fans: farmaci anti-infiammatori non steroidei)



Pare che i miei ultimi post su certe 'esasperazioni podistiche' abbiano alzato un gran polverone.

Qualcosa di buono ne è sortito fuori: una riflessione collettiva ed equilibrata - cosa non comune -  sul fenomeno preoccupante e in velocissima espansione rappresentato dall'abuso di antidolorifici, in allenamento e in gara, da parte di molti (troppi) atleti amatori.

Sempre più spesso le bustine vuote di ketoprofene vanno a lastricare il percorso di questa o quella kermesse podistica, come coriandoli grotteschi di un pericolosissimo 'delirio' collettivo.

Riferisce al Corriere della Sera, Cesare Fiorentini, Direttore Sviluppo Area Clinica all’IRCCS Centro Cardiologico Monzino di Milano:

"I FANS infatti indeboliscono l’endotelio vascolare – quel tessuto interno di arterie e vene più a stretto contatto con il passaggio del sangue – rendendolo meno capace di vasodilatarsi e di rispondere allo stress a cui è sottoposto. Non solo, nelle persone con lesioni dell’endotelio i FANS destabilizzano quegli accumuli di grasso all’interno delle arterie - le placche aterosclerotiche - rendendoli liberi di “staccarsi” pericolosamente andando ad otturare altri vasi. Quando ciò si verifica a livello delle coronarie il risultato è un infarto, nel cervello è invece causa di ictus. Una ragione in più per assumerli solo quando servono".

E ancora: "Dal 2003 il ministero della Salute fa controlli a sorpresa nelle gare amatoriali di ciclismo e podismo. In 15 anni sono stati più di 20mila per un’unica, inquietante verità: un terzo degli amatori fa sistematico uso di antinfiammatori e antidolorifici per tacitare la sofferenza fisica e andare avanti".(Sandro Donati).

Parafrasando il pedagogista Roberto Maragliano dico che lo Sport non può essere alternativa seria al Mondo, che è poco serio. Lo Sport può essere però il luogo privilegiato dove è possibile praticare con successo valori umani universali.
È però necessario garantire un'autentica cultura del benessere che informi e formi cittadini consapevoli e competenti.

Potrei andare avanti, ma mi fermo qui.

sabato 2 novembre 2019

Rimedi taumaturgici fai da te


Domani si correrà la Maratona di New York.
Ed io torno a riproporre il mio pensiero su certe esasperazioni ‘sportive’.

Prosciutti, buoni benzina ai primi classificati e gare (molte le maratone); gare come se piovesse. Tutti campioni, il giorno dopo, sui social.

A vederli gareggiare, quei ‘campioni’, sembrano dare l’anima. E in effetti la danno; la sputano sfiatata ad ogni traguardo. Si amano e si odiano sul filo dei diciotto chilometri orari (i più bravi), i forzati del running di casa nostra, eroi del borgo e per una mezza giornata, una settimana al massimo, ché la domenica successiva si corre di nuovo.

Sembrano avere tendini d’acciaio, legamenti e articolazioni della stessa sostanza. I loro meccanismi di recupero parrebbero regolati da biochimiche extraterrestri.

Parrebbero.

Ogni tanto però qualcuno lì davanti si ammacca. Iniziano i pellegrinaggi infiniti presso santi e santoni della fisioterapia. Plantari d’ogni colore e consistenza promettono equilibri taumaturgici, dalla prima calzata. E se non funzionano (come può un plantare “curare” un’infiammazione?) allora giù con laser, ipertermia, diatermia e onde d’urto e chi più soldi ha più ne spenda; perché spesso – spessissimo – non c’è criterio scientifico dietro la scelta di questo o quell’intevento terapeutico.

Pochi seguono la logica trafila: medico di base, ortopedico/fisiatra (meglio se con una solida esperienza medico-sportiva), fisioterapista. Prevalgono le “mode”; il successo improbabile e rassicurante dell’amico che ce l’ha fatta curandosi con dieci sedute di...

Un suggerimento per gli organizzatori di manifestazioni podistiche: iniziate a pagare in buoni laser, diatermie, ecografie, risonanze, eccetera, eccetera; farete il tutto esaurito. Una moltitudine di vecchi (ma anche tanti giovani, ahimé!) runners traumatizzati non aspetta altro.