Un’atleta etiope polverizza la migliore prestazione mondiale dei 15 km su strada. Di per sé il crono di 44:21, su una distanza non troppo frequentata, è eccezionale; leggendo però i passaggi di gara si rimane decisamente esterrefatti: 29:12 gli ultimi 10 km di gara (più veloci dell’attuale record mondiale femminile dei 10.000 in pista), 2:44 il decimo chilometro; 2:49, 2:52, 2:50 gli ultimi tre chilometri.
Di questa ragazza non ricordo il nome, come non ricordo i nomi delle torme di atleti che negli ultimi cinque-sei anni corrono con apparente disinvoltura, settimanalmente, ogni distanza del mezzofondo e del fondo macinando tempi al chilometro da extraterrestri.
Di lei non ricordo il nome, dicevo; ma l’eleganza del gesto sì. Ed è un vero peccato perché, forse, quel nome andrebbe mandato a memoria.
Forse questo è il tempo della ‘velocità bruta’, che non concede nulla alla Bellezza, anzi, la annichilisce fino ad azzerarla coi suoi numeri fatti in serie e con la data di scadenza sempre più vicina.
Penso che i record, e le anonime eccellenze atletiche che li ‘stampano’, seguano i ritmi del campionario estivo di questa o quella marca di calzature sportive.
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