venerdì 31 ottobre 2008

Atleti con la valigia

Quali sono le ragioni che portano un atleta a cambiar casacca? Questo è il tema del post odierno. Ottobre is over. È tempo di consuntivi atletici e di riflessioni su eventuali "travasi" di atleti da una società ad un'altra. Cercherò dunque di offrire alcune mie opinioni a riguardo.
Provo a commentare qualche situazione ricorrente (l'ultima un po' meno, in verità): a) l'atleta è un giovane top level (junior da 900 e passa punti in tabella finlandese) e cerca il "posto sicuro"; b) l'atleta è di buon livello interregionale/regionale e cerca soddisfazioni economiche e tecniche che la propria società non può garantirgli (premi, rimborsi spese per gare fuori regione, partecipazione a campionati nazionali di società, meetings, eccetera); c) l'atleta ha trovato una guida tecnica più valida.
In a) la scelta è quasi obbligata per chi fa atletica da "professionista" (le virgolette potrebbero pure mancare). Quando non si è né un Bolt, né un Gebre, è difficile trovare mecenati che possano aiutarti. In questo caso il gruppo sportivo militare è la manna che scende dal cielo. Spesso però, messi i "gradi", la maggior parte degli atleti si assesta su livelli prestativi discreti, ma nulla di più. Subentra quasi un appagamento che "silenzia" irrimediabilmente la verve degli inizi. Ricordo che gli olimpionici Mennea, Simeoni, Dorio, Damilano, Bordin, e Baldini stesso, hanno ottenuto i loro successi vestendo i colori di società civili.
Il punto b) è il punctum dolens, almeno per come la vedo io. Qui da noi, in Abruzzo, spesso si cambia canottiera perché tale società non dà i rimborsi, tal altra non fa attività di livello nazionale, e via discorrendo. Insomma, il salto di qualità dovrebbe essere qualche spicciolo in più e la vetrina di una kermesse nazionale o interregionale. La locale società di serie A (e per A intendo anche A1, A2, eccetera) può garantire tutto questo. Purtroppo quando la società sportiva in questione cresce ulteriormente in qualità, lo spazio per l'attività di "vetrina" dei "middle level" (750-800 punti in tabella finlandese) si riduce assai. Aumenta invece la tensione verso il miglior risultato possibile che, se non ben ponderata, può condurre all'infortunio e, se questo è reiterato, anche all'abbandono. I rimborsi, spesso, servono per "bendaggi e cerotti" (leggasi spese sanitarie per terapie "varie").
Il punto c) è spinoso assai. Chi cambia casacca spesso si tira dietro pure il tecnico. Molto di rado, almeno nel mezzofondo, mi è capitato di vedere atleti cambiare squadra per motivi squisitamente tecnici. Ritengo essere questa una carenza culturale forte. Sempre più di frequente accade che atleti molto giovani passino ad altra società per un completino griffato, una tuta in linea col completino, qualche paio di scarpette all'anno e via dicendo. Quando un atleta, (e/o i suoi genitori) baratta la propria crescita atletica, ma anche psicologica, morale, eccetera eccetera, per "questioni d'immagine" o improbabili sogni di gloria, allora...
Mi fermo qua. Qualcuno vuol aggiungere qualcosa?

Halloween? No grazie

Insegno inglese nella "mia" classe, una seconda elementare (quanto mi piace l'antica dizione!). Quest'anno ho voluto glissare su Halloween & affini. Di incubi e mostriciattoli la Scuola ne ha a iosa ed io non ne posso più. Ridatemi la Fata Turchina.

giovedì 30 ottobre 2008

No counter no tooth

Ci mancava pure il black out del counter statistico. Histats.com è al buio da ieri. Non so chi entra e chi esce, non so quanti siamo, quante pagine lette, eccetera eccetera. Insomma non vedo le facce. In compenso la mia (faccia) sta uno schifo. Ieri ho tolto il penultimo dente del giudizio rimasto. Ho una smorfia che è la caricatura di Totò. Una guancia che è una zampogna, e Natale è lontano. Sono praticamente ridotto come il criceto nella foto. Solo che lui non ha 38° C di febbre e non sta sotto antibiotici. Peccato. Oggi che volevo scrivere qualche altro rigo sul mezzofondo giovanile. Per ora vi basti il post precedente. Chiedo scusa.

martedì 28 ottobre 2008

Back on the road

Pure stavolta per partire uso un anglismo. Back on the road può voler dire rimettersi in gioco; ricominciare dal campo (inteso come pratica concreta della propria attività). Può anche significare, per chi come me si occupa di endurance nell’Atletica Leggera, un letterale tornare alla strada.
Il 16 novembre prossimo l’Atletica abruzzese dovrebbe voltar pagina. La Fidal d’Abruzzo avrà un nuovo presidente, così come un rinnovato consiglio regionale. Spero, dal canto mio, che si torni a “fare”, sempre su base progettuale, piuttosto che promettere o pascersi nel mito, oggi abbastanza sbiadito in verità, dell’Atletica Leggera regina di ogni sport.

Da qualche tempo sto lavorando ad un’ipotesi di progetto per il mezzofondo (ma anche per la marcia) giovanile in Abruzzo. Premetto che non è mia intenzione muovere nessuna reprimenda a chi fino ad oggi si è occupato di coordinare l’attività tecnica come responsabile di questo settore, nella Fidal abruzzese. Qualche considerazione va però fatta. Quest’anno ho vissuto direttamente (come tecnico intendo) alcune vicende spiacevoli occorse ai miei atleti del Cus Atletica Chieti; queste, unitamente ad altri episodi similari, mi hanno fatto riflettere.
I risultati positivi del nostro mezzofondo giovanile (il 4° posto agli Italiani Cadetti di Loris Di Marcantonio sui 1000m e il 9° sui 2000m di Daniele D’Onofrio in primis) sono il risultato del lavoro appassionato, continuo e intelligente di pochi tecnici, misconosciuti dalla federazione, supportati non senza fatica dalle loro società sportive. L’impressione che ho avuto, lavorando quotidianamente coi miei ragazzi, e dialogando con altri atleti e tecnici, è che sia stato fatto poco o nulla di concreto per motivarli (sia i ragazzi che i loro allenatori). Cercare come disperati estenuanti rincorse al minimo (fascia A, B, eccetera), gareggiando sovente fuori regione (ah, Marche benedette!), così come essere convocati come titolari per una rappresentativa interregionale, e poi “sconvocati” e sostituiti a tre giorni dall’evento, sono episodi che farebbero mollare tutto pure a Giobbe con la sua biblica pazienza.
Abbiamo energie nuove nel mezzofondo: una bella nidiata di Cadetti, diversi Ragazzi (e Ragazze), ed Esordienti, maschietti e femminucce. Un movimento numericamente significativo per qualità. Conoscerli è facile, basta affacciarsi periodicamente nelle varie “stradali” domenicali, oppure in quelle rare kermesse a loro dedicate, in pista. Eppure sbagliamo nelle convocazioni, segno che non conosciamo gli atleti che abbiamo, le loro prestazioni, non dico la loro condizione attuale.

La ricetta per uscire dal fosso potrebbe essere più semplice di quanto si pensi. Essa poggia su due concetti: motivazione e dialogo.
Motivazione vuol dire più opportunità in regione per fare attività: più manifestazioni su pista, adeguatamente organizzate (con premi sotto forma di materiale tecnico, ad esempio) e strutturazione di un circuito parallelo (da calendarizzare) di gare su strada. Non dimentichiamoci che i nostri migliori Esordienti (ma anche gli attuali Cadetti) vengono da lì (ecco che torna il back on the road). Coinvolgere le scuole in un rapporto meno “cervellotico-progettuale”, attraverso “tornei” d’istituto di una sola giornata (basterebbe una corsa campestre) e legando tali manifestazioni alle altre, federali, poste in calendario. Motivazione sta anche nella possibilità di incontrare i ragazzi e farli incontrare periodicamente (mini raduni, forse è una locuzione eccessiva?). E qui si arriva al secondo concetto, quello del dialogo, legato a tripla mandata col primo. Non può esserci motivazione se non c’è dialogo. Bisogna che la nuova Fidal Abruzzo, nella persona di un suo responsabile tecnico, incontri, con continuità, allenatori e atleti, favorendo la comunicazione fra loro e rinnovando, con il supporto delle proprie competenze, la motivazione a crescere e fare meglio. Dico una bestemmia se, in alcune circostanze, sarebbe bastata una telefonata, tempestiva, per evitare l’abbandono precoce di un giovane atleta? Dialogo con atleti, tecnici, ma anche con le famiglie, senza le quali è impossibile realizzare alcun progetto.

Oddio, mi accorgo di essermi allargato un tantino, e di non aver citato la parola magica “risorse” (finanziarie) senza le quali non si canta la messa. Eppure sono convinto che se si ripartirà con uno sguardo nuovo e veramente appassionato, con un progetto semplice ed efficace, dove chiari dovranno essere gli obiettivi e rigorose le verifiche in itinere, anche i soldi arriveranno. Per (ri)partire basta davvero poco.

sabato 25 ottobre 2008

La pizza che non mangiammo

"Sat", Saturnino Palombo, domani parte per Pavia. Starà fuori circa sei mesi, per lavoro. Ci mancherà un botto e per questo evito di proposito di dilungarmi in uno struggente remembering (sto invecchiando male, non scherzo, e sono facile alla commozione).
Dunque Sat il barbaro sfiderà di nuovo le brume del pavese, a torso nudo e con -6° C, come ci ha abituati da queste parti. Sat, il russo, capace di narrare per ore dopo l'allenamento, petto sudato al vento, quale novello Rino Tommasi prestato all'Atletica, le gesta di tutti i migliori mezzofondisti, italiani e stranieri, degli ultimi trent'anni.
Sat, ci saremmo dovuti massacrare in pizzeria, per un saluto goliardico dei nostri. Non è stato possibile e allora la pizza te la spedisco in forma digitale; ha il pregio di avere zero calorie. Anche i programmi di allenamento avranno la stessa forma, ma almeno a quelli sei abituato.
Un salutone e, mi raccomando, non farti attendere. Questo blog aspetta a te.

venerdì 24 ottobre 2008

Un'idea (semplice) per il mezzofondo (giovanile e non)


Giornata troppo lunga. Un ultimo post prima di andare a nanna. Una sorta di anticipo di un'idea che presenterò a giorni. Un pensare attorno al movimento giovanile del nostro mezzofondo e, perché no, anche della marcia. La possibilità di "vivacizzare" l'ambiente con un progetto semplice che tenga insieme giovanissimi, giovani e masters. Niente di trascendentale, ma sicuramente qualcosa di pianificato e soggetto a verifica. La passione la do per scontata...
A presto.


mercoledì 22 ottobre 2008

Antidoping a tempo determinato

Il presidente dell'UCI (Unione Ciclistica Internazionale) Pat McQuaid si è detto contrario ai nuovi test retroattivi sul C.e.r.a (EPO di terza generazione). "Preferiamo guardare avanti, non indietro" ha dichiarato in un'intervista all'Associated Press. E dire che il laboratorio francese di Chatenay-Malabry, in una "ricognizione" su alcuni dei campioni relativi all'ultimo Tour de France, pare abbia riscontrato nuove positività proprio al C.e.r.a. Guarda un po' tu!
Sembra sia proprio una lotta impari. Dal canto mio stasera posso reagire solo con una mia favola metropolitana, cavata fuori da una raccolta di circa settanta altre amenità del genere, che prima o poi deciderò di pubblicare. Buona lettura.

Il manzo ipertrofico


Stavo bene/per voler star meglio/sono qui
Epitaffio su una tomba

Un simpatico bovino di Giulianova, assiduo frequentatore della palestra “Il pettorale striato” di Tortoreto Lido, giocava a far guizzare i suoi bicipiti davanti alla vetrina di una macelleria.
– Chissà se sono cresciuto – si chiedeva con apprensione il giovane manzo.
– Mi sembra di avere gli addominali un po’ appannati – rifletteva ad alta voce, con preoccupazione.
Il destino di un manzo così bello finì dritto dritto sulla tavola di un giovane muratore di Notaresco.
Sul suo piatto come secondo, ciò che restava, in forma di scamone, dell’ipermuscolato bovino.
– Ma guarda ‘sta carne, dopo la cottura è diventata la metà – diceva sorridendo tra sé e sé il giovane.
– Mi sa che per mantenere ‘sto fisico prima di andare in palestra passo da Gino il farmacista –.
Uscendo di casa diede un’occhiata allo specchio dell’ingresso: – Chissà se sono cresciuto – si chiedeva con apprensione il giovane…

Morte apparente?

Forse ci ha lasciati, prematuramente. Il sito Fidalabruzzo.it non risponde più ai click del mouse dei suoi rassegnati lettori (provare per credere cliccando qui). Effetto apotropaico delle maledizioni di incazzatissimi utenti? Blackout tecnico per un (auspicato) rinnovamento (non solo di "belletto")? Chissà. Forse avrà avuto una crisi cardiaca. L'ipocinesi, anche per un sito, può essere letale.

martedì 21 ottobre 2008

La pacchia è finita

La crisi finanziaria che sta investendo i mercati di tutto il pianeta avrà certamente delle ripercussioni sull'economia reale delle famiglie italiane. Lascio agli economisti d'ogni scuola e nazione le valutazioni su portata e durata di questi presunti effetti. In verità credo che la "pacchia" sia finita e che ci toccherà fare i conti con la realtà (o parti di essa), precipitando da quel mondo di apparenze che molti di noi hanno accettato come vero e irrinunciabile e che potrebbe venirci sfilato, senza preavviso, da sotto il sedere, come in uno scherzo da caserma.
Penso a molti bambini che conosco, a scuola, senza più tonnellate di gormiti (orribili pupazzetti senza senso), acquistati senza freno dai loro genitori come micidiale sedativo buono solo per coprire un po' certi sensi di colpa. Penso all'alcol e agli stupefacenti tra i giovanissimi (clicca qui) e ad una battuta di mio cognato: "Ora bisognerà che si corcino le maniche 'sti giovani per farsi di cocaina".
Penso pure alla possibilità di tornare ad impegnarsi per le cose essenziali. Anche lo sport potrebbe essere "riletto" in chiave diversa. Più a misura d'uomo. Ma questa è un'altra storia e siccome avverto crescere in me una certa deriva demagogica, mi stoppo qui e vi chiedo scusa.
Vi lascio con l'immagine di uno smile, tranquillizzando però i miei fans del club dei depressi: lo smile non sta sorridendo; ha una paresi facciale.

domenica 19 ottobre 2008

Chi lascia la via vecchia per la nuova...

Tempo di riflessioni. Di consuntivi e decisioni da prendere. Di passione che vacilla un po' sotto il peso di un domani quanto mai incerto. Certe volte vien voglia di tirare i remi in barca. E forse non sarebbe un male. Respirare un po', interrompere un impegno prima che pieghi verso la sorda agonia della routine o le claustrofobiche pareti di un cul de sac; oppure continuare a mantenere la rotta, incatenati al timone delle proprie convinzioni.
Post criptico quello di stasera. Post per pochi intimi o neanche per quelli. Due righe per me. Punto.

venerdì 17 ottobre 2008

Scuola al trancio

Il blog è a marca podistica, è vero, ma io sono un insegnante e vi confesso che sto un tantino preoccupato. Forse dovrei salvare il posto (ho un contratto a tempo indeterminato dal ’99), ma non ne sono così sicuro. Gaber diceva che il ministero della pubblica istruzione per numero di dipendenti non è secondo neanche all’esercito statunitense. E aveva ragione. Ma qui si taglia e basta, senza nessun valido criterio pedagogico. Solo crude ragioni di cassa.
La ministra Gelmini dice che si stanno diffondendo notizie false e tendenziose, che i tagli saranno “dolci”, che il tempo pieno non verrà toccato... Io però sono abituato a credere nella verità dei numeri. Giudicate voi leggendo la tabella qui in basso (sono i tagli alla scuola pubblica in milioni di euro).



giovedì 16 ottobre 2008

No money, no action

Action sta per “atto”. Come diceva mia nonna, senza soldi non si canta la messa. Né si può portare avanti alcun programma sportivo serio, aggiungo io. Il volontariato non si fa più neanche in parrocchia ed ogni iniziativa (progetti culturali, sportivi, ecc.), appassionata e illuminata che sia, se non ha “benzina” per “viaggiare”, prima o poi muore. Non so se, come si sente dire da più parti, anche il capitalismo sta mostrando la corda e la bufera finanziaria di questi giorni è l’inizio di una crisi dal respiro ben più ampio e devastante. Non so. È certo che gli sponsor si fanno sempre più distanti, soprattutto da quegli ambienti dove sopravvivono idee esangui, stantie. Ho toccato con mano una realtà che dovrebbe far riflettere: ci sono aziende disposte ad investire del danaro sul mio lavoro, sul mio modo di leggere lo sport. Aziende disposte a sostenere il progetto di un singolo (cifre “umane”, per carità), lasciando fuori “nomi” pesanti (istituzioni, società sportive d’annata, eccetera). Per quanto questo possa farmi gongolare, nutrendo il mio stupido narcisismo, ritengo non sia affatto un dato positivo. Forse è un segno dei tempi. Chi ha amministrato lo sport (dovrei scrivere sport con la maiuscola?) fino ad oggi, ha seguito la logica e il metodo del Potere politico (leggasi partitico) di questa nostra soave Repubblica. In alcuni casi, a livello nazionale e internazionale, potere politico e sportivo coincidevano (coincidono?) fatalmente. Occorre ripensare l’Atletica Leggera (e non solo quella) alla luce di scenari economici e sociali profondamente cambiati, ché il barile ha mostrato il suo fondo da un pezzo.

Il 16 novembre si andrà all’Assemblea Regionale FIDAL. Teramo e la sua provincia, nella persona di Domenico Narcisi (candidato alla presidenza regionale FIDAL), si fanno portatrici di idee belle e concrete. Voglio crederci. Io sto con Domenico Narcisi.

martedì 14 ottobre 2008

Il mio blog

Di tanto in tanto occorre che faccia una precisazione a proposito di blog; del mio blog. Innanzi tutto dico subito cosa non è. Non è un sito dove trovare risultati o classifiche aggiornati all’ultim’ora; neanche alla penultima. Non escludo che possa capitare (e di fatto ogni tanto accade). Se mi va. Non è un sito dove faccio divulgazione scientifica. Potrà capitare, perché no. Se mi va. Questo blog è una sorta di Speaker’s Corner dal taglio aerobico-podistico. Perché dai 10 km/h in su (e a piedi) si riflette meglio, incontrando pure qualcuno, di tanto in tanto.

domenica 12 ottobre 2008

Chiara Centofanti: un disco per l'estate (del movimento atletico abruzzese)

Chiara Centofanti, Falco Azzurro Carichieti, è la nuova Campionessa italiana Cadette 2008 nel lancio del disco. Una discobola, quindi, nel mio blog e non per caso. Questo post è un umile e doveroso omaggio all'abnegazione intelligente e morale di una ragazza di quindici anni che, in barba all'indifferenza e all'ignoranza di molti "appassionati dello sport", meriterebbe qualcosa di più di queste poche e scomposte righe. Scrivo di Chiara e della sua recente impresa (è di oggi, all'Olimpico di Roma, intono alle 10.30) per due motivi: uno di ordine affettivo, legato ad antichi ricordi personali, e un altro più concreto, riguardante i tempi del locale sito ufficiale Fidal per la comunicazione dei risultati agonistici (questa però è una provocazione; di Chiara domani leggeremo il dovuto anche su Fidalabruzzo.it). Vengo a chiarire quindi solo il primo motivo, non voglio tener nessuno sulle spine. Potrà sembrare strano, ma maratoneti, marciatori e lanciatori sono più vicini di quanto si possa pensare. È una questione che posso spiegare attraverso il ricordo di alcuni miei raduni nazionali con marciatori e mezzofondisti. La location era il centro federale di Schio. Le affinità tra gli atleti delle summenzionate discipline erano nella tranquilla (leggasi senza clamori), appassionata e costante dedizione alla pratica del proprio allenamento. Un'assonanza spirituale che ci teneva uniti, nel dialogo, ironico e non, anche fuori dal campo, una volta a cena o nell'immancabile passeggiata serale, prima di andare a nanna.
Un grazie e un ad maiora a Chiara, ai suoi simpatici e attenti genitori, al suo mentore Prof. Bruno Olmi, così come alla Falco Azzurro Carichieti.



venerdì 10 ottobre 2008

Il bambino con le orecchie a sventola

Lo sapevo. Apri la porta a certi ricordi – non c’è rimozione che tenga, altroché – e giù, riparte la memoria a ripescare volti, situazioni, storie… Forse, un giorno, di questo intricatissimo archivio farò un saggio. Forse. O forse no. Certo è che di materiale ce n’è a iosa; “roba” per riflettere, per sorridere o ridere addirittura di gusto e schegge di vita sportiva da far impallidire anche il più navigato centralinista di “Telefono Azzurro”. Storie vere, sicuramente, di cui sono stato diretto testimone o protagonista. Storie di quasi trent'anni fa. Di quando il doping riguardava “gli altri”, “i marziani”; quelli d’oltre cortina. Di quando il sorso di tè dalla borraccia scatenava la maliziosa fantasia di intraprendenti genitori-allenatori. Piccole storie di provincia, frammenti di profondissima umanità di cui ho grande nostalgia. Lascio andare quindi la penna, per un “flusso di coscienza” dai colori dell’infanzia e della primissima adolescenza; fiume di emozioni fortissime, dolci e terribili; intrise d’una grave levità.

Non andava neanche a spinte, poverino. Ma si impegnava un mondo. Correva l’anno 1979 e con esso tutto il gruppo di giovanissimi mezzofondisti dello Stadio Adriatico. Tra questi c’era pure lui: il bambino con le orecchie a sventola. Seguito come un’ombra dal padre (che non ho mai capito quale mestiere facesse; il pomeriggio seguiva il figlio tra allenamenti e pettegolezzi post-training, la mattina incontrava gli amici al bar per parlare di gare e… allenamenti!) non riusciva mai a classificarsi nei primi dieci, neanche quando si era in otto (molte volte sbagliava strada).
Le battute al suo indirizzo, scontate come il rincaro della benzina, erano tutte di tipo “aerodinamico”.
– Le orecchie ti fanno da paravento! Ti devi operare – lo apostrofavamo con solerte cattiveria, almeno tre volte al giorno.
Ma lui non faceva una piega o almeno così credevamo. Lui era un “puro”. “Catechizzato” dal padre, era certo dello stato – ormai cronico – di tossicodipendenza in cui versavano tutti quelli che puntualmente lo precedevano nelle non competitive rionali. Praticamente quasi tutti i partecipanti. Giovanni, mio fratello, talento precocissimo, era il suo bersaglio preferito.
– Si fa la droga. Il padre ogni giorno gli dà un chilo di pappa reale. Secondo me muore – era il suo refrain. E qualcuno gli credeva pure.
Andava profetizzando strane metamorfosi che volevano Giovanni stecchito dopo l’ennesima brillante competizione, con le zampette all’insù, mutato definitivamente – come nel film “The Fly” di Cronenberg – in un’ape gigantesca.
Una volta mi vide masticare una tavoletta di destrosio (comunissimo glucosio). Mi chiese cosa fosse e a cosa servisse . Il padre era lì con lui, ovviamente. Con pazienza gli spiegai che serviva a recuperare un po’ le energie perdute in allenamento.
L’ultima immagine che ho del bambino con le orecchie a sventola è da film di serie C.
A due minuti dalla partenza del campionato regionale di corsa campestre, in pineta D’Avalos, il padre in preda al panico si sbracciava come un dannato per ritardare l’avvio della competizione.
Il bambino “tuonava” dalla vicina latrina ormai da un po’. Tre confezioni di Dextrosport in meno di venti minuti fanno rimpiangere l’olio di ricino.


giovedì 9 ottobre 2008

Quando sognavo la canotta militare

Stavolta il post è un remembering. Rovistando tra i miei appunti e muovendomi tra racconti brevi mai pubblicati, bozze di racconti autobiografici, quasi subito "ripudiati", eccetera, ho trovato qualcosa che mi ha fatto tornare il sorriso. Lo dico subito, un giochetto letterario buono per una serata tra amici e forse neanche per quella. Peraltro un giochetto monco, perché ricordo doveva essere sviluppato e modellato nella forma di un racconto lungo. La cosa mi piacque all'inizio, ma poi, preso da altro, l'abbandonai in un "cassetto" digitale del mio hard disk. Oggi lo do in pasto alla curiosità di voi viandanti del Web, confidando nella vostra temperanza e benevolenza.
Prima di partire col racconto, scrivo due righe introduttive. Il testo è stato scritto circa tre anni fa. Stavo per compiere quarant'anni ed ero da poco tornato a correre con l'entusiasmo di un adolescente. In quei giorni la testa riandava spesso su immagini di un passato formidabile e bizzarro. Il mio passato di mezzofondista-marciatore.
Buona lettura.


Militare




Il 25 aprile ho rivisto il Ciampi circondato da divise. E le divise mi fanno tornare indietro di vent'anni e più. Perchè intorno ai vent'anni non solo si può capire meno di un ciufolo, ma si possono fare casini immensi. Altro che ciufoli.
Storie di abiti che fanno i monaci; di tute e canotte come divise; di carabinieri e finanzieri che corrono ma non sparano. Tutta la mia meglio gioventù.
Buona lettura. marius

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Fricativa postalveolare sorda. Merda di un appuntato capo. Tutto quello che mi rimane del mio militare, cioè due giorni di visita medico-psicofisico-attitudinale (tolgo l'attitudinale perché riformato al secondo giorno, e i test attitudinali mi sembra si facessero al terzo) sono quelle due esse strascinate, in divisa d'appuntato capo, carabiniere campano prossimo alla pensione e dalla weltanschauung dicotomica: ‘e scpine (leggasi spine, con la sc di scemo) da una parte e i sckarti (leggasi scarti, stessa sc) dall'altra. Ed io ero o sckarto. Ma procediamo con ordine.

Venticinque anni fa avevo quindici anni. Cioè oggi dovrei essere la somma di un cazzonetto adolescente ed un coglioncello buono per gli
happy hour in centro. Esaltante. A quindici anni facevo più chilometri a piedi di un keniano ipercinetico. Mio padre, che allora mi allenava, aveva le idee chiare in fatto di obiettivi atletici da raggiungere: io e mio fratello avremmo partecipato alle olimpiadi; anche più d'una. O magari soltanto io; oppure solo mio fratello. Il nome, contava il nome. DE BENEDICTIS prima o poi avrebbe dovuto significare qualcosa nella storia del mezzofondo e della marcia mondiale. Meglio prima che poi, cosicchè all'età di dodici anni (mio fratello ne aveva dieci, cinquanta chili di buon nome familiare in due) iniziai a sciropparmi qualcosa come quindici chilometri al giorno - domenica compresa -, roba da far venire un colpo al presidente di Telefono Azzurro. Anche perchè mio fratello spesso e volentieri in allenamento mi legnava e qualche volta faceva pure alcuni chilometri in più per sfottermi un tantino. Bastardo.
A tredici anni avevo la struttura di un aeroplanino di balsa e la resistenza di un varano dopato, tanto da meritarmi a scuola e nel quartiere gli appellativi di: DE BENEDISTICK, buco di culo coi denti,
vaffanculecurrenn', eccetera eccetera. E per l'autostima tutto ciò era una mano santa. Quando c'era il ballo della scopa, in una delle rare volte che potevo prendere parte alla agognatissima festicciola di compleanno della racchietta del palazzo (che si trasformava magicamente in una figa perchè a correr troppo si può diventare sessualmente daltonici), stavo bene attento a lasciar filtrare un po' di luce in sala. Essere scambiati per la scopa non era cosa tanto improbabile.
Tutto ciò che indossavo, anche al di fuori dell'attività sportiva, dall'orologio digitale (giapponese, a cristalli liquidi, uno dei primissimi, col cronometro al centesimo di secondo), alle calzature, ricordava in modo ineludibile il mio cavolo di destino aerobico. Portavo la tuta più ore dell'Uomo Ragno e, al pari di Superman, quando vestivo in borghese non mi riconosceva un cazzo di nessuno. Cosicché preferivo stare in tuta perchè l'identità è l'identità.
Quando mi diedero la tuta sociale, d'un giallo canarino bordato da ampie fasce blu elettrico, sembravo davvero un supereroe della Marvel Comics. Vidi bene di inaugurarla alla festa di compleanno del mio dirimpettaio (dodici anni credo). Non so se mi presero per scemo o cosa, ma io me la tiravo che sembravo Berlusca il pomeriggio del 13 maggio 2001 (va bene pure l'11 aprile 2006). Scivolavo tra ragazzini coi jeans roy rogers e t-shirts fruit of the loom, mentre io, incurante del caldo torrido della sala gremitissima di sguazzoncelli sudati, appiccicati e limonanti, facevo piroette al ritmo della Dee D. Jackson, quella di Meteor Man. Mi muovevo come Jeff Bridges in Starman di John Carpenter. Solo un po' più impacciato.
La tuta, la tuta. Finché non arrivò quella maledetta canotta gialloverde finanza.
Tutta colpa d'un coglione mio coetaneo, iperpatito di gadgets sportivi all'ultima moda. Uno che quando correva manco sudava per non sporcare il completino Fila. Ricordo che ad un campionato di corsa campestre, corso dentro un letamaio piemontese, arrivò al traguardo con addosso qualche raro schizzetto di fango, che lo faceva addirittura più bello; tutt'intorno c'erano mamme ed allenatori che stentavano a riconoscere figli ed atleti ridotti a colate di fango con le zampe.
F.N., questo il suo nome, un giorno (in quel frangente avevamo entrambi sedici anni) non si sa come, riuscì a far scivolare una canotta del gruppo sportivo della Finanza (le mitiche Fiamme Gialle) dentro la sua sacca. Insomma, la rubò negli spogliatoi dello stadio della Stella Polare di Ostia, a conclusione di un Campionato Italiano Allievi di maratonina andato male. O meglio, a lui era andato male, io ero arrivato sesto con un rimonta finale che se c'era ancora un chilometro avrei beccato pure il terzo. Quel giorno ad Ostia faceva un caldo della madonna. Luglio flagrava, per dirla col poeta Kavafis, ed io ero andato in gita premio per sostenere il buon F.N. che, per l'occasione, avrebbe dovuto fare sfragelli. Era lui la star del team in cui allora militavo. Invece saltò come tanti altri dopo appena qualche chilometro. Lesso, che se non avesse avuto completino e scarpette lo avrebbero fermato per vagabondaggio.
Le scuse che era capace di accampare il buon F.N. ogni volta che toppava erano pari per fantasia soltanto alle cazzate che sparava quando voleva esaltare le sue migliori (e comunque mediocri) performance. Per la cagata di Ostia tirò fuori dal cilindro il dramma delle lenti a contatto. A sentir lui ne aveva persa una durante il terzo chilometro. Si dovette quindi fermare a cercarla, carponi. Passò al setaccio metri e metri quadri di asfalto senza cavarne nulla finchè non la ritrovò grazie ai Ray Ban di un amico di Teramo che passava per caso da quelle parti. I Ray Ban, sempre secondo F.N., avrebbero consentito l'individuazione della lente fantasma un po' come il metal detector per le armi negli aeroporti. Lo avrei mandato volentieri a fanculo per l'enormità della boiata. Lui però non me ne diede il tempo aggiungendo che una volta ritrovata la lente si era messo alla ricerca di una fontana per sciacquarla. Feci un rapido calcolo a mente: tutta l'operazione del recupero con risciacquo non poteva essere durata meno di quattro minuti. Io gliene avevo smollati due e il primo classificato mi aveva staccato di circa un minuto. Senza quella sfiga F.N. avrebbe vinto con almeno un minuto sul secondo.
Vaffanculo ovunque tu sia, F.N..
Affanculo anche perché tornò con quella diavolo di canotta gialloverde; FIAMME GIALLE c'aveva sul petto. E se lui che era arrivato due minuti dopo di me poteva giocare a fare il finanziere, io come minimo potevo avere la divisa dei carabinieri, tuta e borsa comprese.
Credo che iniziarono così i miei ingenui e strampalati sogni di gloria: quali guerre e medaglie al valore! Io volevo soltanto correre, allenarmi e andare forte. Da mane a sera. Del resto era ciò che già facevo, e da un pezzo, per le salite di Pescara Colli, zona cimitero. Ma sapevo pure che i carabinieri, così come i finanzieri e i poliziotti, le loro amministrazioni intendo, pagavano uno stipendio per farlo e garantivano pure un posto tranquillo (il mito del posto statale!) una volta smessi i panni dell’atleta.
Ma a sedici anni o giù di lì è alquanto improbabile immaginarsi ex-qualcuno o ex-qualcosa, tantomeno vedersi nei panni naftalinici di un pensionato maratoneta; un sedicenne che corre come un varano dopato immagina di sgambettare tutta la vita e basta. Diciamo che farlo con la “divisa” sgargiante e traforata mi esaltava un mondo, e mi bastava. Eccome se mi bastava.
I sogni però, spesso, vanno in aceto.




martedì 7 ottobre 2008

Maratona e Mezza Maratona Mediterranea: il giorno del dubbio




... e arrivarono le perplessità. Giro volentieri le parole rivoltemi stamane via mail da un amico podista. Si parla della Mezza Maratona Mediterranea, che alcuni runners (ne ho sentiti molti in verità, e tutti partecipanti alla manifestazione in oggetto) stimano essere più corta.
Queste le parole del mio amico: "Ciao, vorrei la conferma di due impressioni personali; nel tuo "entourage" qualcuno ha avuto il dubbio che la gara domenica fosse corta? Secondo me ci mancano 400 metri almeno, ho riflettuto sulla mia prestazione; e' assolutamente impossibile che dopo il primo km io abbia potuto correre 20 km sotto i 3.50. Secondo; ma i chip erano uno scherzo? non li ho mai sentiti suonare, e nella classifica non ci sono ne' gli intermedi ne' il real time; boh...".


Voi cosa pensate?


Pensierino della notte (3)

Chi dorme non piglia pesci. Ma almeno riposa. Chiedo venia, avrei dovuto scrivere qualche altro rigo sulla Maratona Mediterranea, ma Darwin me l'ha impedito (leggasi studio "coatto" e notturno del Neodarwinismo). Posticiperò quindi il post. Son quasi le due e tra meno di cinque ore dovrò tornare in piedi per un'altra giornatina niente male, compresa una puntata in Fidal (Comitato Regionale Abruzzese) per una riunione pre-elettorale. So che qualcosa di nuovo sta bollendo in pentola e vorrei esserne informato. Magari cambia qualcosa davvero.
Notte a tutti. O giorno. Fate voi.

domenica 5 ottobre 2008

Maratona Mediterranea: primissime e brevi impressioni a caldo (o quasi)

La Maratona & Mezza Maratona Mediterranea, è andata in archivio. Desidero lasciare qualche rigo in libertà, prima di scrivere (magari domani) qualcosa di più corposo e ragionato. Premetto di aver corso la Mezza in bici, per sostenere i miei ragazzi (Sat, Luigi, Alessandro, Marco, Alessio) ed anche per dare un'occhiata ai top runners ("Sat" Saturnino Palombo ha migliorato il suo personale scendendo ad 1:11:25; classificandosi nono è quasi un top runner). Una volta rientrato su Piazza Salotto, dopo aver seguito l'arrivo dei miei ragazzi della Mezza, sono stato gioiosamente "rapito" dall'amico giornalista Paolo Sinibaldi. Con lui, dalla postazione di Vides.TV, ho commentato la galoppata solitaria del keniano Salomon Rotich, vincitore della Maratona in 2:12:58.
Bella. Aggettivo quanto mai generico ma sincero e adatto, almeno per questa mia prima e sommaria ricognizione sul test event podistico dei Giochi Del Mediterraneo 2009. La manifestazione mi è piaciuta, nonostante le magagne all'arrivo della Mezza Maratona (col buon Matteo Palumbo, G.S. Carabinieri, finito fuori dal podio perché mandato "fuori strada" da qualcuno (un giudice Fidal?) che aveva deciso di farlo proseguire per la Maratona). Bella, quindi, la manifestazione e bravi i cittadini di Pescara, Francavilla al Mare, Montesilvano. Molto bravi. Sensibili all'evento, in modo gioioso e appassionato, composto; altro che lamentele e bronci da città paralizzata.
Questo è quanto, per ora. Di tutto il resto scriverò più avanti.

sabato 4 ottobre 2008

Sat in silence

Sat è muto. Gli manca l’adsl. E non mi dilaga sul blog. Un casino per me. Mi perdo una bella fetta di contatti unici. E di commenti D.O.C. (i suoi). Spero gli ritorni presto la voce… ooops, la linea. Aggiungo che, in tempi come questi, un avvocato può sempre tornare utile. Un avvocato mezzofondista poi…

Ritorna Sat, ‘sta casa aspetta a te!

venerdì 3 ottobre 2008

Il Processo del Lunedì, di venerdì

A volte può capitare di chiudere una settimana particolarmente pesante prendendo un pugno nello stomaco, mentre si sta inspirando. Di metafora si tratta, ma rende bene l’idea. Allo stadio, ad esempio, dopo un’ora e passa di allenamento coi ragazzi, può capitare di essere travolti dall’ansia rovinosa di un adulto, in lutto per aver visto peggiorare il proprio figliolo di otto decimi di secondo sui 1000m. Quel genitore chiede spiegazioni al tecnico, per l’ecatombe cronometrica. L’anno agonistico è finito e addio sogni di gloria.
Roba da chiodi. Risparmio il dettaglio tecnico (stiamo parlando di ragazzini di quattordici-quindici anni), davvero risibile. Penso invece al mio ruolo di educatore (prima che allenatore), al valore quindi di un’educazione prima che del mero risultato tecnico. Al fatto palese che in quello stesso ambiente, dove i ragazzi stanno insieme e con gioia immensa, venga praticato ben più di un addestramento finalizzato al risultato. Al campo coi ragazzi si discute, ci si confronta, si riflette sul già fatto e sul da farsi; si cresce insieme attraverso la comprensione del mondo usando gli arnesi della logica e della scienza, a volte muovendo proprio da un semplice esercizio tecnico. Bisogna però fare i conti con altre visioni del mondo. Quelle da bar dello sport, da Processo del lunedì, cariche di violenza, latente e manifesta, intrise di infantile ignoranza e governate da un unico padrone: la strenua volontà di affermare se stessi, a volte sulla pelle dei figli.