Leggevo un autore americano, un coach benemerito, a proposito di “ingredienti del successo” nello sport.
Ogni tanto torno al pragmatismo statunitense che negli allenatori a stelle e strisce sovente è una miscela di empiria giocata sul campo e ricerca scientifica, anche ben documentata. Il tutto si traduce in chiare narrazioni a mo’ di consigli facilmente spendibili nel quotidiano reale.
Premetto che l’allenatore americano benemerito si riferisce a mezzofondisti e fondisti dell’atletica, in età da college, e pone in cima ai sopra citati "ingredienti del successo" l’”abilità innata” che potremmo definire impropriamente “talento”, ciò che il buon Dio - o più ‘laicamente’, mamma e papà - ci ha donato: struttura fisica, sistema cardiorespiratorio, eccetera eccetera.
Al secondo posto viene indicata la “motivazione intrinseca”, ciò che molto sinteticamente definirei volontà di successo, nella pratica della disciplina in questione.
Il potenziale campione perfetto è la somma di “abilità innata” e “motivazione intrinseca”.
Poi c’è l’ingrediente “opportunità”, che potremmo individuare nel contesto sociale e familiare di provenienza, nelle agenzie educativo-formative di riferimento (scuola, associazioni sportive, eccetera) e, non da ultima, detta prosaicamente, anche la sospirata botta di culo.
Per ultimo, udite udite, il benemerito allenatore cita l’”indirizzo”, cioè il contributo tecnico, dato dall’allenatore o anche dall’autoformazione (le letture, gli studi, nomadici o ufficiali che l’atleta fa in proprio). E su questo - come sugli altri punti - ci sarebbe tanto da discutere.
Il coach americano quindi ridimensiona il peso del supporto tecnico, vuoi che sia il frutto della ricerca personale dell'atleta, vuoi che discenda dall'impegno di un allenatore di comprovata competenza. E nel farlo cita pure l'esempio di certi coach di blasonate università americane che devono la loro fama all'enorme bacino di talenti da cui 'pescano' campioni a profusione, spesso applicando il metodo del "breaking eggs against a wall" (letteralmente: rompere le uova contro un muro); ovvero: ho un gruppo di ragazzi talentuosi, li spremo come agrumi sotto una pressa e quei pochi che reggono - perché alla fine, sui grandi numeri qualcuno regge - andranno a bersaglio. (Quanti ne ho visti di "eggs distroyer", anche dalle mie parti).
Spesso tendiamo a sopravvalutare, mitizzandolo, il ruolo dell'allenatore perché egli, per necessità o per tendenza personale ad occuparsi di ambiti professionali non di sua pertinenza, risolve - più spesso tenta di risolvere - problemi, un po' come Mr Wolf di "Pulp Fiction". E anche su questo tema potremmo discutere, scrivere per giorni e giorni.
"Nihil sub sole novum", niente di nuovo sotto il sole, direte Voi. Tutte cose che, almeno i miei colleghi e chi si occupa professionalmente di Atletica Leggera, conoscono molto bene e da un po'.
Ma è proprio l'ovvio, ciò che è palesemente evidente, a sfuggirci, sovente. E certi autori americani hanno il merito impagabile di ricollocarlo nella giusta dimensione e tornare a farci riflettere.
Ah, dimenticavo. L'autore americano, il coach benemerito di cui sopra, si chiama Jack Daniels, e non è quello del whisky omonimo.