A proposito di campioni precoci, permettetemi questa caduta di innocente, nostalgico narcisismo. Ecco un paio di video Rai di diciotto anni fa. Era il 31 di luglio 1992 e Barcellona era abruzzese...
sabato 31 luglio 2010
31 luglio 1992: Barcellona diciotto anni fa
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venerdì 30 luglio 2010
Diamanti, letame e fiori
(foto Giancarlo Colombo/Fidal)
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” cantava Fabrizio De André. Ditelo al polacco Robert Korzeniowski che prima di rendere sublime la sua lunghissima carriera di marciatore (4 ori olimpici, con doppietta 20-50 km a Sidney; 3 ori mondiali e 2 europei) di letame, metaforicamente parlando, ne ha spalato a vagonate. Robert cominciò presto a marciare, ma dovette aspettare il suo ventisettesimo compleanno per vedere la prima medaglia importante (tra l’altro l’unico bronzo internazionale in carriera, ai Mondiali di Goteborg nel 1995). Prima di quella, diverse solenni batoste. Squalifiche per lo più (ne ha ricevute pure da ‘decorato’, più avanti, sempre risolte con lo stesso approccio psicologico). La più eclatante è quella al quarantanovesimo chilometro della 50 km di Barcellona 1992. Fermato a circa cinquecento metri dal traguardo e dall’argento.
Lode al mitico Robert, quindi. Eppure ricordo che diciotto anni fa qualcuno della marcia (e non uno qualsiasi), mentre si cenava dentro un ristorante di Barcellona, girandosi verso il tavolo di Robert e del suo manager portoghese, sentenziava: “Ma sarà mica un campione quello là…”. Anche i grandi, evidentemente, possono sbagliare.
Prendete quanto da me finora scritto come una sorta di preambolo. A cosa? Alla questione atletica del giorno: la crisi di Schwazer. Lo dico subito: non aspettatevi da me un crucifige! a questo o a quello. Non si spara sull’ambulanza. Lascerò al riguardo, come mio costume, poche battute aerobiche, non senza una certa amarezza. Perché fa davvero male vedere un atleta di venticinque anni, di quel livello, dichiarare nell’immediato dopo-gara che ha perso la voglia di divertirsi faticando, così come il desiderio di nuove conquiste atletiche.
Conosco quell’’inappetenza’. Preoccupa più del problema muscolare che ha causato il ritiro di Alex. Forse è fisiologica nei campioni precoci. Forse chi conosce in anticipo il successo perde il bene della temperanza e forse è per questo che Alex quest'anno ha ‘cambiato velocità’, cercando il senso del suo marciare nell’esperienza della 20 km. Forse.
Adesso però Alex è fermo. Ed io non ho più niente da dire. Solo un link per chiudere. Una mia riflessione di due anni fa, subito dopo l’oro di Alex a Pechino. Per leggerla cliccate qui.
giovedì 29 luglio 2010
Il compleanno del Sat e certe facce da impiegati
Volevo scrivere un post e dedicarlo al Sat – Saturnino Palombo – che oggi compie trent’anni. Sat, l’ho scritto più di una volta, è la vera anima di questo blog. Senza i suoi commenti il ‘mio quarto di Web’ sarebbe monco. Orfano.
Volevo scrivere pure qualcos’altro sui Campionati Europei di Atletica e, a modo mio, lo farò. Tirando dentro proprio il Sat. Sì, perché Saturnino, da atleta, insegna un modus currendi primordiale e gioioso, abbastanza distante dalla psicologia corrente (perdonate l’aggettivo dal ‘sapore’ podistico) di buona parte dei runners di casa nostra. Già, perché Sat è uno che corre sotto ogni cielo e sopra ogni terreno, a lungo e a tutta, senza troppe alchimie ritmiche e metriche e con la gioia di fare fatica stampata sul volto. Sat ama correre e lo fa seguendo il suo istinto. Non timbra cartellini prima di cominciare l’allenamento, non cerca la velocità assoluta stordendosi di frazionati brevi, come molti giovani usano fare (purtroppo anche giovanissimi, ahimé); Sat sfida la velocità in una gara di resistenza, non ha bisogno di troppe pause. Sat non ha una faccia da impiegato e ha repulsione per i ‘compitini’ da svolgere sistematicamente in pista, settimana dopo settimana. No, non equivocatemi, non è un elogio dell’‘andare a sensazione’. È che ho le tasche piene di certa ‘scienza’ atletica applicata alle corse di resistenza fatta di arzigogoli tecnici che ci fanno correre sempre meno (quanti maturi ottocentisti di discreto livello fanno più di 50 km settimanali?). Arzigogoli fantasiosi che rileggono e ribaltano la fisiologia dell’allenamento (“Da giovani bisogna fare le fibre bianche!”, questa l’ho sentita due giorni fa al campo, giuro) e che consegnano ad un futuro di nebulosa mediocrità buona parte dei nostri giovani mezzofondisti migliori.
Sat, un ottimo giocatore di calcetto (e lo dico con vera ammirazione) prestato al running, col suo modo di intendere la corsa mi porta indietro di venticinque anni, quando c’era meno scienza e più voglia di correre. Tempi in cui per partecipare ai 10.000 dei Campionati Italiani bisognava chiudere la distanza sotto i 29:30. Tempi dove i ragazzini e i giovanotti che venivano al campo d'atletica non avevano facce meste da impiegati sottopagati; dove era possibile trovare campioni e campioncini (ma quelli veri, mica roba da 3:20/km sui 10.000!) a macinare chilometri, 'confusi' tra amatori attempati e ragazzini e ragazzotti dal talento atletico allora mediocre (cioè nella media; molti di loro filavano a 3:20 al chilometro, anche per più di 10 chilometri).
Sat, un anacronismo podistico che dovrebbe far riflettere. Come dovrebbe far riflettere il capolavoro, molto umano e perciò ancora più apprezzabile, di Daniele Meucci. Il suo bronzo sui 10.000m di questi Europei ha radici forti nel suo esordio sulla maratona, quattro mesi fa.
Auguri Sat, trecento di questi giorni e milioni dei ‘tuoi’ chilometri!
martedì 27 luglio 2010
La venti per frammenti
Barcellona, 27 luglio 2010, 20^ edizione dei Campionati Europei di Atletica Leggera; finale dei 20 km di marcia maschile.
La marcia parte e arriva per strada. Come a Berlino lo scorso anno. Fuori dallo stadio, la marcia. Fuori dalle balle (sembra quasi un’esortazione non verbale). Ed è uno strano spettacolo quel marciare alle otto del mattino; un gruppo sparuto di pochi esperti e qualche emergente ‘novità’. Un gruppo da cui si attendevano i fuochi d’artificio di un Borchin, campione olimpico dal forfait facile, assente di lusso dell’ultimo minuto. Mannaggia ‘sti russi! Non fai in tempo ad imparare un cognome che ti tocca mandarne a memoria un altro. Emelyanov è l’’altro’. Ma non un ‘altro’ qualsiasi. Emelyanov è un diciannovenne che ha già vinto tutti i titoli giovanili internazionali del taccopunta. Uno col primato mondiale di categoria sui 10 km, l’anno scorso, e con un ‘minaccioso’ 1:19:43 sulla distanza olimpica dei 20 km, quest’anno. Ma può vincere un quasi diciannovenne all’esordio di
un europeo assoluto?
un europeo assoluto?
Gli italiani. Brava gente. Schwazer ‘doppio’ scalda il motore sulla 20 km per l’impegno principale, quello sulla 50 km. O forse no? Mica è uno qualsiasi Alex sulla distanza ‘breve’, col suo fresco primato italiano stabilito a Lugano quest’anno. 1:18:24, che è pure la migliore prestazione mondiale stagionale. Roba da vincerci gli europei, e a mani basse, altro che ‘riscaldamento’!
Giorgio Rubino ha fame di risultati. La determinazione, la grinta non gli mancano. I chilometri però sì. Reduce da una serie di infortuni che avrebbero annichilito pure Giobbe con tutta la sua biblica pazienza, Giorgio lotterà per il podio, anche oggi, come suo solito.
Ivano Brugnetti potrebbe ancora vincere tanto. Potrebbe. Ma, dentro di sé, in un angolo della sua mente nascosto pure a lui stesso, c’è un meccanismo che gli blocca le gambe quando la danza si fa frenetica. Quel meccanismo è forse una domanda che esige una risposta netta. Bisogna ascoltare la domanda. Bisogna rispondere.
La gara. Si parte in ventisette, con Alex a menare la rumba seguito da Emelyanov e il romeno Casandra. Dietro Rubino e Brugnetti ad inseguire, assieme al portoghese João Vieira, all’irlandese Heffernan, al bielorusso Simanovich e all’altro russo Krivov. Gli spagnoli, Molina in testa, sono ancora più indietro (roba da non credere!). Emelyanov, nonostante un rosso, procede spedito sul filo dei 15 km/h. Marcia bene il russo. Sorprende la grande padronanza del gesto che si può leggere in un atteggiamento rilassato del volto che sembra fare da preludio ad un attacco imminente, il cambio di ritmo che non perdona. Forse Alex avrà percepito tutto questo. Decide quindi di rientrare nel gruppetto degli inseguitori, assieme a Giorgio e Ivano. Il romeno Casandra aveva già mollato la presa da un po’. Ai 10 km Emelyanov passa in 40:14. Viaggia con circa dodici secondi sul gruppetto di Alex. Si marcia sul filo dei 4:00/km, qualcosa inizia a cambiare: a quasi 500m dal dodicesimo chilometro si ferma Brugnetti. “È la testa” sembra dire lo stesso Ivano ai tecnici a bordo tracciato, con un eloquente tamburellamento dell’indice sulla tempia.
La gara è nella sua fase cruciale. Alex rimane col portoghese Vieira e l’irlandese Heffernan. Si stacca Rubino col bielorusso Simanovich davanti che verrà però squalificato intorno al quindicesimo chilometro. Alex sembra voler tentare un ultimo estremo assalto ad Emelyanov, ma questi ora gira sotto i 4:00/km. Non è cosa. Meglio controllare Vieira, che sembra piuttosto vivace. Heffernan si stacca. Sembra fuori dal podio. Si procede così fino a circa cinquecento metri dal termine. Emelyanov va a vincere il suo primo titolo continentale ‘adulto’, in 1:20:10; Alex stacca Vieira e gli dà undici secondi al traguardo (1:20:38 contro 1:20:49). Quarto Heffernan in 1:21:00. Quinto Giorgio Rubino in 1:22:12.
“Capolavoro tattico” dice Sandro Damilano alla giornalista italiana. Il CT della marcia ha ragione, da vendere. Alex non ha sbagliato una mossa. E un argento europeo è sempre una gran medaglia, dico io. Ma le facce dei tecnici italiani in zona traguardo sembrano dire altro. È stata una gara strana, su di un circuito strano, lungo solo mille metri (ma come faranno i cinquantisti a girare in tondo cinquanta volte?), un invito alla ‘corsetta’ ad ogni giro di boa. Per certi versi il primo campionato europeo davvero abbordabile per i nostri uomini.
Se i nostri tecnici azzurri avessero ascoltato le parole profetiche del mio amico Augusto, magari oggi avrebbero uno stato d’animo diverso. Ieri sera prima di tornare a casa in bici, Augusto appunto, incrociandomi mi fa: “Statti a vede’ domani, Mario: primo un russo, secondo Schwazer…”. Ah, la forza di un inconsapevole profeta…
(La foto del post è tratta da http://www.fidal.it/)
(La foto del post è tratta da http://www.fidal.it/)
lunedì 26 luglio 2010
Spamming e dintorni
Alla fine ho deciso. Ho inserito un filtro di moderazione ai commenti. Chi commenterà vedrà pubblicato il proprio scritto con qualche minuto di ritardo dall’invio. Quindi non è cambiato nulla? Non proprio. Verranno tagliati fuori i generatori di spam, coi loro irritanti inviti all’acquisto di pillole bluastre dagli effetti portentosi, e pure gli anonimi sciocchini dal commento becero e inutile come una compressa scaduta di Sildenafil Citrato.
mercoledì 21 luglio 2010
Corri con il futuro
Cari Amici,
il 2 di agosto p.v. si svolgerà a Montesilvano (PE) una manifestazione sportiva di Corsa e Marcia atletica, su strada, organizzata dall'A.S.D. Filippide di Montesilvano e dedicata esclusivamente alle categorie Esordienti (A-B-C), Ragazzi e Cadetti, maschili e femminili. Sarà la prima edizione di un’autentica Festa dello Sport, dal titolo fortemente evocativo: “Corri con il futuro”.
“Corri con il futuro” non è la solita kermesse atletica promozionale che fa da prologo alla gara podistica dei più grandi; essa rappresenta l'opportunità concreta di avvicinare i giovanissimi alla pratica della corsa e della marcia atletica attraverso un approccio positivo e gioioso, che non esclude un equilibrato agonismo nel confronto tra i partecipanti delle categorie Ragazzi e Cadetti, e che pone comunque, in modo preminente, attenzione agli aspetti educativi e formativi dell’esperienza in oggetto.
Un invito forte a tutti Voi ad iscrivere bambini e ragazzini (le iscrizioni sono gratuite; tutti avranno una medaglia ricordo e il pacco gara; verranno inoltre premiati i primi tre di ogni categoria). Cliccare sulla locandina della manifestazione per ingrandirla ed avere tutte le informazioni necessarie.
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domenica 18 luglio 2010
Passa parola...
Ieri al Meeting Maxicar di Civitanova Marche ritrovo, dopo quasi ventisei anni, Matteo Silenzi, ex mezzofondista di talento (e che talento ragazzi!) ed oggi valente allenatore di mezzofondisti, di stanza proprio a Civitanova Marche. Il tempo di rinfrescare la memoria, due chiacchiere a volo, e poi via, a sostenere i ragazzi in gara. In alto ho incollato il volantino di una gara interessante, consegnatomi proprio da Matteo prima di salutarci. Si tratta di una staffetta podistica per i più grandi, con gare di contorno per i più giovani (dagli Esordienti agli Allievi). Luogo: Porto Potenza Picena. Data: 22 luglio 2010. Il ritrovo è per le 19,30. Vi invito a partecipare numerosi. (Cliccare sulle immagini del volantino per ingrandirle).
sabato 17 luglio 2010
Tutti al mare, tutti al mare, a veder...
Siamo in crisi, c’e stato il terremoto… eccetera, eccetera. E quindi è per questo che il prossimo raduno estivo Fidal Abruzzo sarà a pagamento per tutti i partecipanti. Ma proprio per tutti? Pure per i tecnici responsabili di settore? Non so. Gli atleti pagheranno di sicuro (o, in loro vece, le ricche società che volessero farsi carico di tale onere), da quelli più bravi, di fascia A, a quelli di interesse regionale, di fascia C. Per chi volesse saperne di più linkiamo l’articolo da Fidalabruzzo.org (cliccare qui). Un’ultima cosa: Spalato (sede del raduno tecnico) accoglierà tutti, atleti e tecnici sociali, di ogni fascia, compresi quelli senza fascia o sfasciati, purché paganti, beninteso.
Si sentiva proprio l’esigenza di una bella gita al mare, o no? Ma questa non era la Fidal Abruzzo dei poli di eccellenza e di altri mirabolanti progetti per il rilancio dell’atletica locale?
giovedì 15 luglio 2010
Cose buone e belle
Bravi. A Teramo sono stati bravi. Il 6° Meeting Nazionale di Atletica Leggera, 6° "Memorial C. Bernardini", 3° "Trofeo Pino Pecorale", 1° "Trofeo BancaTercas", è stato un successo; una vera festa dello Sport. Grazie quindi agli organizzatori, a Maurizio Salvi e Massimo Pompei (rispettivamente Presidente e Direttore tecnico dell'Atletica Gran Sasso Teramo), a Luigi Chiodi, consigliere regionale Fidal e factotum dell'Ecologica di Giulianova, e quindi a tutti i dirigenti e tecnici delle società Atletica Gran Sasso Teramo, Amatori Teramo ed Ecologica Giulianova, con la collaborazione dell’associazione AICS, del Comitato Provinciale FIDAL Teramo e delle istituzioni locali. E, last but not least, grazie all'impegno del Gruppo Giudici Gare Fidal. Più di 300 atleti partecipanti e molti risultati interessanti che non voglio elencare di seguito (lo hanno già fatto dettagliatamente i due siti federali, locale e nazionale). Vi segnalo però un link, giratomi da Massimo Pompei ieri: 6° Meeting Nazionale Città di Teramo (basta cliccarci su per essere reindirizzati al sito di Telepadova.com e al video del meeting realizzato da questa emittente). Peccato che nel video non ci siano le immagini del pasta party finale (e non solo pasta a dirla tutta!) offerto con molta generosità a tutti i partecipanti. Davvero una perla questo meeting! Appuntamento il 18 luglio prossimo a Giulianova per il "X Meeting Città di Giulianova, VI Memorial D. Marà, II Trofeo Edoardo Patanè".
martedì 13 luglio 2010
Il lento non lento
Appuntamento alla Pineta dannunziana, alle nove del mattino. È domenica e ho promesso a Lucrezia – quattordici anni di mezzofondista simpatica e birbante – che avrei corso con lei un fondo medio di otto chilometri.
Lucrezia ad aprile ha preso una broncopolmonite. Un malanno che l’ha tenuta ferma atleticamente per più di quaranta giorni. Quasi una traversata nel deserto. Un deserto di cortisone, antibiotici e, per lei, innaturale riposo. La ripresa comincia a metà maggio, circa due mesi fa. Il piede è spento e il fiato è corto. Il cortisone ha lasciato il segno. La broncopolmonite pure. Lucrezia sbuffa come una locomotiva ingolfata, ma va avanti lo stesso. I primi di giugno le propongo di partecipare ad una ‘stradale’ breve dalle nostre parti. È bene che s’impasti da subito con il clima di gara, fuori però da riferimenti metrici e cronometrici che, dopo meno di quattro settimane di lavoro, non hanno molto senso.
Non vince. Arriva seconda. Va bene così. Andiamo avanti. A fine giugno esordisce sui 1000m a Riccione. Bisogna rompere il ghiaccio. Stavolta c’è il cronometro e anche qualche avversaria di rango. Parte con un tempo nella testa: 3:12.19. È il suo personale sulla distanza, corso al coperto a marzo, a Ponticelli, nell’ultima competizione su pista prima di ammalarsi. Parte quindi per avvicinare quel tempo, ma il cervello mena un ritmo e le gambe ne fanno un altro. 3:18.44 il responso finale, del quale io sono assai felice; lei invece no. Ancora una decina di giorni di lavoro e poi ancora un 1000m in pista. Stavolta a Teramo, al 6° Memorial “C.Bernardini” (bellissimo meeting di atletica, magnificamente organizzato). Lucrezia parte a testa bassa, con qualche informazione in più rispetto a Riccione. Al passaggio dei 600m non crolla, anzi. Il piede non è ancora quello giusto, ma tiene. Chiude in 3:12.89, quarta e ad un secondo dalla migliore atleta abruzzese. Stavolta siamo entrambi soddisfatti.
Il medio di domenica scorsa, dicevo. Arrivo con la bici in pineta. Lucrezia è già lì ad aspettarmi su una panchina, appoggiata con la testa sul braccio del padre che le sta di fianco. Sono soltanto le nove del mattino e lei ha ancora gli occhi del sonno. L’aria, nonostante l’ombra dei pini, già scotta. Correrò con lei, una promessa è una promessa. Sistemo la bici ad un palo, azzero il cronometro e partiamo. L’idea è quella di correre un lento svelto (accidenti agli ossimori!); diciamo pure un medio. Ma questo a Lucrezia non importa molto. Si corre su un giro di circa 1230m, di sabbia spesso mossa e asciutta. I piedi si perdono, muscolarmente si fa una gran fatica (faccio una gran fatica). Detto io il ritmo e dopo i primi due giri di ‘messa in moto’ (comunque sui 5’/km) corriamo i sei chilometri finali sul piede dei 4:30/km. Altro che medio! Lucrezia voleva fare fatica, ed io assieme a lei. Le prendo la frequenza cardiaca: 190 battiti al minuto subito dopo l’arrivo. Scendono sotto i 120 dopo tre minuti.
Non so esattamente che cosa passi per la testa di una ragazzina di quattordici anni che, una flagrante domenica mattina di luglio, decide di divertirsi a ‘tirare il collo’, gioiosamente, al proprio allenatore. La cosa però mi garba. Come pure mi garba lo sguardo di Lucrezia quando si impegna divertendosi. Occhi attenti, che non mollano l’obiettivo; soavemente spiritati quando serve. E spiritosi, come quando rincorre un pallone.
giovedì 8 luglio 2010
Col vento in faccia
Doccia fredda alle cinque del mattino. Mi alzo per un bicchiere d'acqua, do un'occhiata al cellulare e trovo un messaggio delle due e trentacinque. Franco, papà di due miei carissimi amici, Paolo e Marco, ci aveva lasciati; da pochissimo.
Dentro il mio cervello passato e presente fanno a pugni. Sembra ieri quando con Paolo si correva di qua e di là per le infinite 'stradali' d'Abruzzo, con Franco padre silenzioso, discreto e sportivo appassionato, ad accompagnarci sotto ogni cielo, di ogni stagione.
Nel ricordare Franco, abbracciando idealmente la sua famiglia con tutto l'affetto che posso, incollo di seguito le parole del filosofo inglese Bertrand Russell. La limpida concretezza di un logico che di fronte all''ineludibile mistero' si fa poesia. Poesia per un amico.
(…)
Unito agli uomini suoi compagni dal più forte di tutti i vincoli, il vincolo di una comune condanna, l’uomo libero scopre che una nuova visione è sempre con lui, irraggiando la luce dell’amore su ogni quotidiana incombenza. La via dell’Uomo è una lunga marcia attraverso la notte, circondato da nemici invisibili, tormentato dalla stanchezza e dal dolore, verso una meta che pochi possono sperare di raggiungere e dove nessuno può trattenersi a lungo. A uno a uno, mentre incedono i nostri compagni scompaiono dalla nostra vista, ghermiti dai comandi silenziosi della Morte onnipotente. Brevissimo è il tempo in cui li possiamo aiutare, durante il quale si decide la loro felicità o la loro miseria. Ma a noi spetta diffondere il chiarore del sole sul loro cammino, alleviare le loro pene col balsamo della simpatia, rinvigorire il coraggio che vacilla, instillare la fede nelle ore di disperazione. Non pesiamo i loro meriti e demeriti con vili bilance, ma pensiamo esclusivamente alle loro necessità – ai dolori, alle difficoltà, forse alla cecità – che costituiscono la miseria della nostra vita; rammentiamo che sono nostri compagni di sofferenza nella medesima oscurità, attori, insieme con noi, nella stessa tragedia. E così, quando la loro giornata è giunta a termine, quando il loro bene e il loro male è diventato eterno grazie all’immortalità del passato, ci sia dato di sentire che quando hanno sofferto, quando sono caduti, non è stato a causa di alcuna nostra azione; ma che, ogni volta che una scintilla del fuoco divino si accendeva nel loro cuore, noi eravamo pronti con l’incoraggiamento, con la simpatia, con parole ardite in cui brillava un sublime coraggio.
Breve e impotente è la vita dell’Uomo; su di lui e su tutta la sua schiatta cade, spietata e tenebrosa, la lenta, sicura condanna. Cieca al bene e al male, incurante della distruzione, la materia onnipotente avanza senza soste per la sua via; ché all’Uomo, condannato oggi a perdere quelli che più gli sono cari e domani a varcare egli stesso le soglie dell’oscurità, altro non rimane che serbare in cuore, prima che il colpo si abbatta, gli alti pensieri che nobilitano la sua breve giornata; non rimane che adorare, sdegnoso dei vili terrori dello schiavo del Fato, nel santuario che le sue stesse mani hanno costruito; non rimane che conservare, senza sgomento di fronte all’impero del caso, la mente libera dalla capricciosa tirannide che domina la vita esteriore; non rimane che sostenere da solo, simile ad un Atlante, debole ma non disposto a soccombere, sfidando orgogliosamente le forze irresistibili che per un solo istante tollerano la sua conoscenza e la sua condanna, quel mondo che i suoi stessi ideali hanno plasmato, nonostante l’avanzata, che tutto calpesta, del potere che di sé non ha coscienza.
mercoledì 7 luglio 2010
Talento e sapienza
Francesco Chiaverini fa il primato personale sugli 800m: 1:52.76, a Nembro (BG), vincendo d’autorità la sua batteria. Francesco, primo anno tra gli juniores, è un talento, uno dei pochissimi del panorama atletico abruzzese. Dietro il successo di ieri: i numeri del talento di Francesco, appunto (senza quelli non ci sono bacchette magiche che tengano), la sua intelligenza, tanto lavoro, una volontà silenziosa, e la sapienza del suo allenatore, Luciano Carchesio.
“Intorno ai diciotto-vent’anni si ricontano le pecore…” (Antico proverbio atletico delle mie parti).
domenica 4 luglio 2010
Passione per la vita
Nel post precedente presentavo Augusto, attraverso due foto. La prima, in bianco e nero, lo ritrae ventunenne allo Stadio Adriatico durante una prova estemporanea sui 150m, chiusa sul filo dei diciotto secondi (lui che, giocando, riusciva a correrli intorno ai diciassette puliti, se non qualche decimo sotto!). Autore della foto Donato Chiavatti, suo allenatore, grande amico nonché mentore di molti dei più forti mezzofondisti abruzzesi degli ultimi trent’anni. Una foto che, nonostante i segni del tempo, restituisce inalterata l’espressione di un volto tirato e concentrato, assieme all’elegante leggerezza di un atleta inespresso per volontà di un destino bizzarro. L’immagine di un viso contratto e di piedi reattivi e leggeri è l’incipit per una storia crudele dall’epilogo però felice. È la vicenda di un ragazzo, mezzofondista dai piedi come molle, discontinuo negli allenamenti a causa delle levatacce per motivi di lavoro. Augusto corre, fino ai diciotto anni, allenandosi davvero poco e alternando la corsa con un’altra passione: il karate. Quando decide di dedicarsi al mezzofondo con più impegno e continuità, cominciano gli stop in allenamento e in gara, a causa di lancinanti dolori al fegato. Ricordo che, poco prima della premiazione di una gara su strada dalle mie parti (avevo quindici, era il 1980), mi chiese dei consigli per risolvere i suoi frequenti dolori al fianco destro. In quella gara era finito un centinaio di metri dietro di me e all’arrivo era letteralmente crollato a terra, piegato da spasmi epatici allucinanti. Sorrido e rabbrividisco nel ricordare la mia puerile risposta: “Prova ad evitare i fritti e le bevande gassate”. Nel 1981 Augusto scoprì di avere il linfoma di Hodgkin. Lo ricordo in ospedale che tirava su il morale a mio fratello Giovanni, ricoverato in ortopedia in quello stesso periodo per una frattura legno verde al femore destro.
Torniamo alla prima foto. Il volto contratto di Augusto, si diceva. E i piedi veloci. Augusto aveva ancora addosso i segni della chemioterapia e della micidiale, ed oggi desueta, cobalto terapia. Erano passati appena due anni da quel terribile 1981. Quei centocinquanta metri semi-lanciati valgono più di un oro olimpico. Augusto urla al mondo la sua passione per la vita, e lo fa lasciandosi dietro, il più velocemente possibile, il rigo di pennarello nero che indica la partenza dei 150m e tutti i pensieri cupi macerati dentro due anni di lotta feroce.
Augusto di cognome fa Vancini. Sangue ferrarese per parte di padre. Sangue d’artista, giacché Augusto è nipote di Florestano Vancini, grande regista italiano recentemente scomparso (cliccare qui). E buona parte di quei geni, quanto ad immaginazione ed ironia, in qualche modo gli appartiene; perché Augusto è il più grande umorista che io conosca.
Proprio nel 1983, in quell’estate dei centocinquanta metri semi-lanciati, io ebbi la fortuna di frequentarlo molto assiduamente. Mi salvò la vita con i suoi scherzi (che racconterò più avanti; meritano dei racconti a parte) e le sue battute fulminanti, dacché stavo attraversando uno dei momenti più tormentati della mia adolescenza. Mi fece conoscere i Pink Floyd che ascoltavamo di sera, sdraiati sul divano buono del salotto di casa mia, mentre si chiacchierava dell’ultima impresa del mezzofondista del momento e soprattutto, inevitabilmente, dell’immenso talento del runner più forte ed elegante di ogni tempo: Steve Ovett (so bene che è la mia opinione e contrasterà con molte altre opinioni sull’argomento; so bene pure di essere stato simpaticamente plagiato da Augusto, ma a me sta bene così).
Augusto è il più grande fan di Steve Ovett (cliccare qui per avere informazioni generali sul personaggio). E si fa presto a capirne il perché. Ovett, antidivo per antonomasia, è stato un talento precocissimo, capace di correre già a tredici anni i 400m in 53”1. Steve Ovett campione olimpico sugli 800m a Mosca, inglese, pluriprimatista mondiale del miglio e dei 1500m, è stato il rivale storico di Sebastian Coe, anche lui campione britannico del mezzofondo e vincitore di due olimpiadi sui 1500m e di svariati altri titoli internazionali, nonché più volte primatista mondiale (800m, 1500m e miglio; cliccare qui per ulteriori informazioni sul personaggio). A differenza di Coe, rampollo dell’upper class britannica, il ceto di appartenenza di Ovett era ben diverso. Diciamo popolare. Mentore di Seb Coe era il padre Peter, ingegnere affermato e studioso attento di innovative metodologie di allenamento applicate al mezzofondo. Mentore di Steve Ovett, la madre Gay, barista part-time del locale mercato all’aperto di Brighton.
Per avere un’idea dell’uomo e dell’atleta Ovett e per chiudere questa (spero) simpatica (e dovuta) divagazione sui miei (nostri) miti del mezzofondo di ogni tempo, vi lascio due indizi: un aneddoto e un video. Il primo lo riassumo a braccio (mi si perdonino perciò le molte imprecisioni) cercando di non alterarne la sostanza, più di tanto. Un giorno la figlia di Ovett, giovane e discreta mezzofondista australiana, rientrando a casa fa al padre: “Sai pa’, è incredibile! Su internet ho visto le immagini di un fuoriclasse inglese del mezzofondo. Si chiama come te, anche se non ti somiglia per niente…”. Ovviamente la ragazza non stava scherzando. Ignorava il passato del padre.
Il secondo, un video appunto, mostra la finale dei 1500m della Coppa del Mondo svoltasi a Dusserdolf nel 1977. Vittoria del mitico Steve con un finale di gara che, da quel giorno in poi, nessuno è stato più in grado di eguagliare. Almeno con quell’eleganza. Dai 1300m ai 1400m in 11”7 (era un 1500, non proprio tattico). Amazing!
Torniamo ad Augusto e alla seconda foto, quella a colori, scattata con una digitale (e stavolta da me) ventisette anni dopo la prima. Mostra l’espressione serena di un giovanotto brizzolato ancora ben tonico e tirato. Oggi Augusto corre perché gli piace e lo fa stare bene. Alla corsa alterna lunghe passeggiate in bicicletta, leggero su una leggerissima bici ipertecnologica dal telaio in carbonio; inserisce pure una seduta in palestra, settimanalmente, perché non si ‘vive’ di sola corsa.
E c’è spazio pure per le nuove tecnologie. Ha comprato da poco un potentissimo i-mac ( lui che non ha mai avuto un computer!) con cui ripassa a memoria le imprese del mitico Steve Ovett, ‘saccheggia’ le teche Rai su youtube e approfondisce le sue conoscenze, già forti, sulla storia romana.
Augusto lavora nel pubblico impiego e lo fa con serietà e con amore. Non ha mai perso l’energia che ieri animava le sue battute più esilaranti ed oggi alimenta un pensiero ancora fortemente ironico, ma maturo e permeato di genuina saggezza. Quando ho bisogno di chiarirmi le idee su questioni sportive, anche molto tecniche, relative al rendimento e alle possibilità di crescita di giovani mezzofondisti abruzzesi, Augusto è il guru che mi svela la verità con poche, limpidissime battute. E con la stessa candida saggezza riesce a mettere pace dentro il mio cervello, ogni qual volta certi miei pensieri prendono la forma di un asfissiante groviglio.
Augusto conosce il senso vero del correre. La riga nera che segnava la partenza dei 150m è lontana. Lontani sono i pensieri cupi di ventisette anni fa.
Augusto è mio amico.
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