giovedì 16 aprile 2015

Citando Cioran e Pasolini, scomodando Merckx


In questi giorni sto scrivendo poco. In compenso leggo molto; forse troppo. E leggendo leggendo mi sorprendo, una volta di più, nel trovare dalla stessa parte della barricata personalità diversissime e apparentemente inconciliabili. Che strano. Che bello. Un'occasione in più per dire: “Sto marciando bene”. 
Si può essere pro o contro qualcosa, o qualcuno; ci mancherebbe. Opinioni. Mi diverto però a rilevare come in determinate circostanze - quando si accendono le luci su ciò che molti ritengono essere un palco - le piccole e grandi nevrosi individuali (come il bisogno di essere costantemente e mediaticamente riconosciuti; una 'degenerazione' del bisogno di stima maslowiano), i soliti giochi di potere, la violenza (verbale e non) ri-diretta, di chi è stato vittima di quegli stessi giochi (che oggi magari gli fanno pure da volano per il proprio sfogo), si fondano per comporre un unico, sdegnato e spesso sarcastico, fronte del dissenso.

Mia moglie Evelina, profetica ed intelligente più della Cassandra omerica, ha aperto oggi il suo "Buongiorno" su facebook con un aforisma di Cioran: "L'intellettuale rappresenta la disgrazia più grande, il culmine del fallimento per l'homo sapiens". (Emil Cioran, Sillogismi dell'amarezza, 1952). Ed io, da molti definito "un intellettuale del cazzo", non faccio nulla per smentirmi citando un intellettuale vero: Pier Paolo Pasolini; perché, come diceva la poetessa Rita Ciprelli: "L'amore non necessita del dialogo; ha bisogno soltanto di parole".

Ecco perciò parole, per chi ancora riesca nel difficile esercizio della curiosità, quella puerile. Buona lettura, se Vi va.

Da "Le vittorie di Merckx sono scandali" (P.P.Pasolini, Tempo, n.23 a. XXXI, 7 giugno 1969)

[...] Ora, io avevo accettato di partecipare al «Processo alla tappa», invitato dai suoi organizzatori, per una sola ragione: perché mi avevano detto che avrei discusso con Merckx del problema del rapporto tra «nazionalismo» e «sport», cui avevo accennato in una nota (sempre qui, nel «Caos», «Tempo» n.19). Non so per quale ragione, senza preavvertimento se non all'ultimo istante, Merckx è stato sostituito con Adorni (l'unico viso piccolo-borghese, ancorché grazioso, tra tutti i simpatici visi popolari dei ciclisti: Adorni farà, questo è certo, più carriera come annunciatore della televisione che come ciclista). Così si è parlato del più e del meno, cioè del nulla. Ma ho in compenso intuito, attraverso questa esperienza, ciò che è cambiato e ciò che non è cambiato nel «corpo» di un atleta, rispetto a venti-venticinque anni fa: si è radicalizzato in esso il conflitto tra realtà e irrealtà. La realtà è esistenziale, col suo bello e il suo brutto (nei corridori ciclisti - operai, contadini - prevale il bello, l'innocente, e se la coscienza di classe c'è come in Taccone, è priva di stupida aggressività): l'irreale è la cultura borghese di massa, coi suoi media. Ebbene, in Dancelli, in Taccone, figure umane in carne e ossa viene vissuto il conflitto tra questi due mondi: la loro simpatia umana è insopprimibile, a tutt'oggi, eppure qualcosa tende con violenza a sopprimerla: e loro lo sentono. Lo sentono magari limitatamente alle ingiustizie «pratiche» quotidiane. Essi non osano dire la verità (della loro situazione pratica), ma l'alludono soltanto: se la dicessero farebbero una cosa sconveniente rispetto al  «video» e ai loro datori di lavoro. Un atleta ha un solo modo per realizzare pienamente la propria libertà: lottare liberamente per vincere. Le vittorie sembrano invece regolate da una volontà repressiva, che umilia i corridori. Essi sono dunque fisicamente gli stessi che venti-venticinque anni fa, mentre il loro rapporto reale con noi ha subito irrimediabilmente un ulteriore processo di alienazione e falsificazione. Merckx è un grandissimo campione perché vince indipendentemente da tutto questo. Il corpo di Merckx è più forte del consumo che se ne fa. Le vittorie di Merckx sono scandali.