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(Il team del Progetto 92) |
Viviamo un tempo strano, fatto di frequenti slanci puerili e privo di memoria buona, dove la parola "cambiamento" rotea minacciosa e inquietante, tagliente, a due dita dal collo sottile del nostro povero futuro.
Anche lo sport subisce gli effetti evidenti di questa infelice temperie culturale, morale; politica. Anche nello sport, in generale, e nell'atletica leggera in particolare, incombe il "cambiamento", invocato quadriennalmente alla vigilia delle olimpiadi.
Se è vero che il settore tecnico della FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera, occorre specificarlo ché siamo rimasti davvero in pochi a saperlo) è la spina dorsale di questo ingarbugliato e anemico sistema sportivo nazionale, allora è necessario ripartire da esso.
Voglio ricordare a me stesso e ai viandanti del blog che ben trent'anni fa - correva l'anno 1989 - a Pescara realizzammo un progetto che permise a mio fratello Giovanni l'ottenimento del bronzo olimpico nella 20 km di marcia alle olimpiadi di Barcellona, nel 1992. Quel progetto, seppur datato, conserva ancora, a mio giudizio, spunti notevoli per riflettere, ripensare l'attuale organizzazione del settore tecnico federale, e il suo "modus operandi", tout court.
Scriveva l'amico Valerio Di Vincenzo, dieci anni fa - era il 2009, anno dei Giochi del Mediterraneo a Pescara - a proposito del Progetto 92 (questa la dizione originale del titolo di quella magnifica esperienza):
"A cominciare dal 1989 Mario ed io abbiamo iniziato a studiare strategie per vincere le Olimpiadi di Barcellona. Io, con le conoscenze maturate da ricercatore universitario in medicina, proponevo i metodi e gli strumenti. Lui li traduceva in protocolli scientifici di allenamento, in fitte tabelle di dati funzionali e rilievi sul campo che venivano graficizzati in forme primordiali di pagine elettroniche, allo scopo di valutare gli effetti, nel tempo, delle fasi di lavoro. Giovanni ci metteva il fisico ed un carattere che esprimevano la sua energia sovrumana. Claudio interpretava olisticamente il modello biomedico, assecondava i flussi energetici e la crescita delle prestazioni atletiche di Giovanni, leniva i dolori. Daniela appianava i conflitti e minava le basi di quella sindrome che - tra me e me – ho chiamato la “paura di vincere” ( quella che fino a quei tempi aveva attanagliato i primati mondiali che erano nelle gambe di Giovanni). Mamma Angela e papà Nino ci avevano adottati come parte integrante della famiglia. Tutto ciò cresceva giorno dopo giorno, confortato da risultati crescenti. Era qualcosa che non era mai esistito prima in nessuno di noi presi singolarmente, eppure si avverò quando decidemmo di lavorare insieme.
Ciò che potrebbe stupire oggi è che Giovanni, in preparazione della sua seconda olimpiade, accettò di affidarsi a questa strana combriccola, priva di alcuna precedente esperienza del genere, osteggiata dall’establishment, ma dotata di idee capaci di fare la differenza. Erano i tempi in cui un bel numero di medaglie olimpiche e maglie rosa erano prodotte in Italia dalle parti di Ferrara, ma Giovanni preferiva frequentare la riviera pescarese, le Dolomiti, gli altopiani messicani, a costo di litigare con taluni “santoni” della Federazione e, in fin dei conti, perfino di farsi superare in silenzio da gente che il buon sangue se lo faceva venire con mezzi diversi dal buon vino e dall’armonia tra mente e corpo.
Il fatto è che, parlando e riparlando con Mario, ho capito quanto le personalità come quella di Giovanni e come la sua sanno essere carismatiche anche continuando ad essere vere. Questo, secondo me, deriva dalla capacità di essere sempre coerenti con sé stessi e di affermare coi fatti valori inalienabili".
Nel Progetto 92 emergeva in modo chiarissimo un assunto:
"[...] L’Italia soffre in modo particolare di tutto ciò (l'arretratezza delle motivazioni scientifiche, tecnologiche ed imprenditoriali che legano gli sponsor ai testimonials sportivi, nds) a causa di una tradizione che individua nel personaggio emergente un puro frutto della Provvidenza e lascia quindi più di altre Nazioni che i propri rappresentanti sportivi costituiscano nella maggioranza una raffinatezza artigianale piuttosto che la punta estrema di un dominio razionale del corpo e della mente sostenuto da adeguate energie intellettuali, materiali e tecnologiche.
Questo ultimo elemento è invece il seme dal quale si vuole far scaturire l’iniziativa descritta nel presente progetto. Esso poggia sulla convinzione che nelle decisioni che governano la preparazione di un atleta a livelli superiori, sia possibile definire un metalinguaggio che descrive ciò che attualmente si nasconde sotto i paraventi dell’occasionalità, della genialità, della fatalità e dell’approccio empirico se non alchimistico.
Tutto ciò indica che l’obiettivo del “Progetto 92” non può essere inteso tout court con l’ottenimento della vittoria di una gara olimpica, nella fattispecie la 20 km di marcia delle Olimpiadi di Barcellona nel 1992, chè dà il titolo al presente programma, quanto piuttosto la costruzione di una coscienza, di una metodologia e di una pratica che mettono alla prova un gruppo di esperti, di appassionati e un atleta d’eccellenza innanzi tutto di fronte a se stessi ed al concetto di ottimizzare il proprio operato confrontandolo a quelli di riferimento.
Si ritiene che una volta definito in questi termini e sperimentato sul campo, l’insieme di interventi che circoscrive questa particolare iniziativa possa essere descritto e possa quindi divenire patrimonio dello sport moderno e come tale, negli ideali decoubertiani, del libero scambio di interesse, del sano agonismo, del gioco maturo e consapevole, del vivere civile.
[...] Nella fig. 1 sono riportati i fattori che determinano l’ottimizzazione del rendimento di una prestazione: la cura, la selezione, la crescita di ognuno di questi fattori, associabili al lavoro multidisciplinare e cooperativo di un gruppo omogeneo sono le risorse che consentono di individuare nella prestazione non più l’effetto di qualcosa di imponderabile sul quale scommettere, ma piuttosto la conseguenza di una sapiente miscela di ingredienti.
Il risultato dipende ancora da fattori casuali, ma definendo meglio il sistema di riferimento, lascia a questi ultimi uno spazio misurabile di sviluppo.
Non è un caso che uno schema mentale del tipo riferito in fig. 1 è stato applicato da sempre nella storia dell’uomo nell’"arte di fare la guerra”. Più piacevolmente nella espressione di principi di pacifica competizione, di confronto fisico ed intellettuale a livelli internazionali, di affermazione di una specificità culturale, di sostegno alla diffusione di una professionalità fondata su criteri scientifici si incontrano le motivazioni dello sponsor di questa iniziativa e del sottocitato comitato tecnico e si giustifica l’inusuale supporto a scopi promozionali di un concetto piuttosto che di un risultato".
- fine prima parte -