Ci sono date di cui bisogna serbare memoria per più di una ragione; per motivi personali, di narcisismo buono – ed io non faccio nulla per sottrarmi a questo innocuo esercizio di vanità, che può pure addolcire l’esistenza – e per questioni più ‘serie’, legate ad una riflessione che mi fa piacere condividere con chi legge queste mie poche righe puerili.
Oggi dunque, 31 luglio 2020, voglio ricordare un altro 31 luglio, quello del 1992. Quel giorno mio fratello vinse il bronzo nella 20 km di marcia alle Olimpiadi di Barcellona. Fu l’unica medaglia per l’atletica leggera in quell’edizione dei giochi olimpici.
Credo di aver scritto tanto di quell’impresa, ma una volta di più voglio ricordare quanto sia stato importante il contributo di un’armonia perfetta di volontà intelligenti, appassionate e orientate allo scopo.
Ero l’allenatore, sì. Ma se ho avuto un merito dentro quella formidabile vicenda – qualcosa che ritengo, senza presunzione, abbia fatto la differenza – non è stato il mero ‘contributo tecnico’, che comunque ho dato. Credo che l’attività più nobile, difficile e decisiva ai fini del risultato finale, sia stata quella di aver costituito e tenuto insieme un team vincente, di amici, prima che di professionisti. Ecco, quella è stata l’arma segreta. Quello è l’insegnamento più alto che ho appreso fino ad oggi, non solo nello sport.