Benedetta gioventù, siamo soliti ripetere. Ora io non so se sia davvero benedetta la gioventù che mi gira intorno, certo è che qualche conto non mi torna. È da un po' che, da allenatore, vado facendo riflessioni 'metasportive'. La più frequente suona così: in atletica leggera i ragazzini italiani sono tra i più performanti al mondo. Anche nelle discipline dell'endurance (udite udite!), i nostri sedici-diciassettenni sono tra i più bravi del pianeta. Poi però, intorno ai diciotto anni, qualcosa si interrompe. I risultati cominciano a stagnare, i passi si fanno vieppiù pesanti, gli sguardi diventano opachi e... puf! Arriva il drop-out.
Ok, la sto buttando giù semplice; banale, quasi. Ma nella mia piccola, personale, statistica sportiva ci sono troppi esempi che vanno in quella direzione. È come se la 'magia' di una vita scandita da ritmi regolari (studio, gioco-allenamento, riposo) sia possibile, quando tutto va bene, fino ai quattordici anni (forse anche tredici o dodici); dopo di che i genitori sembrano, progressivamente, abdicare a talune responsabilità genitoriali: il dialogo sfuma, le parole perdono consistenza, le regole che governavano la sana 'normalita' della vita familiare sciolte, come neve al sole."La vita di un atleta vero può essere teribilmente monotona", mi diceva l'altro giorno un medico sportivo. "È nella regolarità di certe sane abitudini che maturano i risultati di eccellenza (le nove-dieci ore di sonno, sempre nella stessa fascia oraria, la corretta alimentazione, i giusti carichi di allenamento)...".
E già. E allora sorrido, pensando alle spie verdi su facebook, quei pallini luminosi che segnalano la presenza in chat degli utenti. All'una di notte, ed oltre, è pieno di adolescenti 'accesi', da gennaio a dicembre, sedentari e non. Leptina e somatotropina fanno loro "ciao ciao". Lo Sport sarà per un'altra volta, magari intorno ai quarant'anni. Ma questa è un'altra storia.