martedì 14 aprile 2020

RIPENSARE LO SPORT (THE SHOW COULD GO OFF)


Credo che gli effetti prodotti dalla pandemia sulle relazioni sociali e sugli stili di vita ci obbligherà a ripensare lo sport in una dimensione assolutamente nuova e difficilmente gestibile con le categorie con cui eravamo abituati a organizzare la nostra esistenza.

Molti miei colleghi che si occupano di "alto livello" nello sport si preoccupano, giustamente, della programmazione e gestione dell'allenamento di atleti che hanno tra i loro obiettivi principali la partecipazione - con le giuste ambizioni di successo - alle olimpiadi e agli altri eventi sportivi internazionali procrastinati per il Covid-19. Tra restrizioni e incertezze, allenatori e atleti vanno comunque avanti, nella convinzione che l'impegno debba essere orientato verso il mantenimento di una condizione atletica che garantisca, finita l'emergenza, un pronto ritorno ai valori di eccellenza necessari per competere al meglio delle capacità individuali e di squadra.

Ma non esistono solo le olimpiadi e i mondiali, obiettivi mitici e raggiungibili solo da un'esigua fetta della popolazione. Penso alla salute psicofisica di ognuno di noi, all'immenso e paziente lavoro che bisognerà agire sui bambini e sui ragazzi, oggi più di ieri a rischio di un analfabetismo psicomotorio di sola andata, più che di ritorno. Allo stesso modo penso agli adulti, i cosiddetti tardo-adulti e gli anziani. L'ipocinesi non è meno insidiosa del Covid-19.

Parcheggiato il sogno di New York, Londra, Roma o Berlino (parlo delle maratone), almeno per un po', sarà necessario garantire alle moltitudini in pausa altri artifizi ludico-motori, magari meno narcissici e finalmente più vicini ad un'idea equilibrata di benessere.
Ne saremo capaci? Non so, ma è una sfida avvincente, oltreché necessaria.

mercoledì 8 aprile 2020

QUANDO UNA STELLA MUORE

(Foto: ANSA)
Il virus ingoia i miti e la povera gente. E assieme ad essi ogni puerile speranza di essere prossimi all’uscita di un tunnel ancora troppo, troppo buio.

E quando ad andarsene è un ex atleta (quando si è stati così grandi la preposizione latina “ex” stona assai) dal talento immenso e sfortunato, uno che hai avuto il privilegio di conoscere di persona, allora è come se ti mancasse la terra sotto i piedi.

Donato Sabia è morto. Ed io lo ricordo a Seoul, la mia prima olimpiade da allenatore; la sua ultima olimpiade da atleta. Allora aveva venticinque anni. Giovanissimo e già capace, l’anno prima, di dire no al doping, all’overboost che muta gli ‘aurei’ brocchi in purosangue.

Il Mito come narrazione buona, buona pedagogia sportiva da imitare, nella semplicità e nel coraggio di scelte esistenziali che definiscono un’etica fin troppo limpida per il nostro povero mondo.

Troppo presto ha appeso le scarpe al chiodo; troppo presto se n’è andato, Donato Sabia.

“Quando una stella muore, fa male...”, canta Giorgia.