Credo che gli effetti prodotti dalla pandemia sulle relazioni sociali e sugli stili di vita ci obbligherà a ripensare lo sport in una dimensione assolutamente nuova e difficilmente gestibile con le categorie con cui eravamo abituati a organizzare la nostra esistenza.
Molti miei colleghi che si occupano di "alto livello" nello sport si preoccupano, giustamente, della programmazione e gestione dell'allenamento di atleti che hanno tra i loro obiettivi principali la partecipazione - con le giuste ambizioni di successo - alle olimpiadi e agli altri eventi sportivi internazionali procrastinati per il Covid-19. Tra restrizioni e incertezze, allenatori e atleti vanno comunque avanti, nella convinzione che l'impegno debba essere orientato verso il mantenimento di una condizione atletica che garantisca, finita l'emergenza, un pronto ritorno ai valori di eccellenza necessari per competere al meglio delle capacità individuali e di squadra.
Ma non esistono solo le olimpiadi e i mondiali, obiettivi mitici e raggiungibili solo da un'esigua fetta della popolazione. Penso alla salute psicofisica di ognuno di noi, all'immenso e paziente lavoro che bisognerà agire sui bambini e sui ragazzi, oggi più di ieri a rischio di un analfabetismo psicomotorio di sola andata, più che di ritorno. Allo stesso modo penso agli adulti, i cosiddetti tardo-adulti e gli anziani. L'ipocinesi non è meno insidiosa del Covid-19.
Parcheggiato il sogno di New York, Londra, Roma o Berlino (parlo delle maratone), almeno per un po', sarà necessario garantire alle moltitudini in pausa altri artifizi ludico-motori, magari meno narcissici e finalmente più vicini ad un'idea equilibrata di benessere.
Parcheggiato il sogno di New York, Londra, Roma o Berlino (parlo delle maratone), almeno per un po', sarà necessario garantire alle moltitudini in pausa altri artifizi ludico-motori, magari meno narcissici e finalmente più vicini ad un'idea equilibrata di benessere.
Ne saremo capaci? Non so, ma è una sfida avvincente, oltreché necessaria.