mercoledì 8 aprile 2020

QUANDO UNA STELLA MUORE

(Foto: ANSA)
Il virus ingoia i miti e la povera gente. E assieme ad essi ogni puerile speranza di essere prossimi all’uscita di un tunnel ancora troppo, troppo buio.

E quando ad andarsene è un ex atleta (quando si è stati così grandi la preposizione latina “ex” stona assai) dal talento immenso e sfortunato, uno che hai avuto il privilegio di conoscere di persona, allora è come se ti mancasse la terra sotto i piedi.

Donato Sabia è morto. Ed io lo ricordo a Seoul, la mia prima olimpiade da allenatore; la sua ultima olimpiade da atleta. Allora aveva venticinque anni. Giovanissimo e già capace, l’anno prima, di dire no al doping, all’overboost che muta gli ‘aurei’ brocchi in purosangue.

Il Mito come narrazione buona, buona pedagogia sportiva da imitare, nella semplicità e nel coraggio di scelte esistenziali che definiscono un’etica fin troppo limpida per il nostro povero mondo.

Troppo presto ha appeso le scarpe al chiodo; troppo presto se n’è andato, Donato Sabia.

“Quando una stella muore, fa male...”, canta Giorgia.

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