(foto da farm-it.desigusxpro.com) |
Qui si parla di alto livello nello sport. E, forse, anche d'altro - lo sport come traslato esistenziale e, se volete, l'educazione per tutta la vita.
Chi non si ferma alle apparenze e non si pasce di facili mitologie ad uso dei social - quelle, per intenderci, pronte a santificare guru, o pseudo-guru dell'allenamento sportivo - sa che dietro ogni successo sportivo vero (l'ultimo aggettivo è d'uopo) c'è il sapiente ordito di una pluralità di intelligenze dialoganti; e se qualcuno pensa all'allenatore come ad un direttore d'orchestra dovrebbe ben sapere che cos'è l'uno e cosa è l'altra.
Insomma, lo dico subito: non ho molta simpatia per i coach onnipresenti, (fintamente) onniscienti, che cercano di legare a sé, a tripla mandata, i propri atleti, in barba a quello che dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni insegnante (un allenatore è un insegnante): l'autonomia dell'atleta che accompagna.
L'allenatore che vive costantemente l'ansia di dover dimostrare al mondo la sua (presunta o reale) bravura, forza sistematicamente i tempi della crescita dei propri allievi; anche la comunicazione allenatore-atleta risente negativamente di tale tensione, generando molto spesso fardelli insostenibili per "spalle" decisamente acerbe.
Con queste premesse il drop out giovanile diventa una soluzione obbligata. (Soluzione come via di fuga).
Riusciremo mai a mettere da parte "Io" per un pacifico, solido, costruttivo "Noi" dialogante?
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