sabato 9 novembre 2019

BREVE RIFLESSIONE SUL TALENTO SPORTIVO



Sono tornato a leggere l'edizione italiana del saggio di Vladimir b. Issurin, Athletic talent "Identification and its Development". Trovo che sia stata un'ottima occasione per fare chiarezza, una volta di più, su concetti troppo spesso abbandonati alla mercé dei luoghi comuni più triti.

Di certe esasperazioni agonistiche anticipate ho già scritto tanto. Sono solito ripetere che nello sport giovanile è nota la parafrasi del famoso adagio partenopeo: “Ogni scarrafone è talento a mamma soja”. A mamma, ma anche a papà.

Dinanzi alla ‘mediocrità atletica’ dei loro figlioli, certi ‘adulti’ non si rassegnano, anzi: rilanciano. “Deve fare le ripetute”, “quella gara non doveva farla; così non si velocizza”, “ma quando farà il salto di qualità?”, sono alcuni dei mantra che taluni genitori con vocazione da coach amano recitare agli istruttori dei loro figlioli, spesso in presenza di questi ultimi.

E se arriva qualche risultato discreto (discreto, non stratosferico), al primo momento di crisi, fisiologica e necessaria nella carriera di qualsiasi atleta, il genitore-coach perde la brocca. Cominciano così i pellegrinaggi da un allenatore all’altro, alla ricerca spasmodica di quello che non c’è; che non dovrebbe proprio esserci.

Il talento, vero, di un atleta può fare la fortuna di un allenatore. Così come la bravura di un allenatore può fare la fortuna di un atleta talentuoso (ché il talento da solo non basta). E la fortuna, vera, di un atleta - scarso, mediocre o campione che sia - è l’aver vissuto un’esperienza unica, formidabile, di crescita personale, sperimentando sul proprio corpo e nel profondo dell’anima la ruvida bellezza di un cammino difficile, ma possibile; di un abbraccio forte e rassicurante, comunque vada.

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