lunedì 7 ottobre 2019

Della forza salvifica del dubbio e del disincanto

(Il Prof. Dario D'Ottavio, foto di Carlo Costantin)
Archiviati pure i Mondiali di Atletica Leggera 2019. Il tempo corre velocissimo e già si guarda con trepidazione alle olimpiadi di Tokyo. Tokyo 2020.

L'ennesima storia di doping (il caso dell'head coach statunitense Alberto Salazar, squalificato per quattro anni, per "organizzazione e istigazione al doping" e traffico di testosterone, e allenatore della doppia medaglia d'oro di Doha, 10.000 e 1500, Sifan Hassan), fa emergere una volta di più un trito ma non peregrino interrogativo: ovvero se nello sport sia realmente oro tutto ciò che luccica.

Di campioni senza valore ne abbiamo conosciuti tanti. Qualcuno l'ha fatta franca (più d'uno). Qualcun altro è crepato. Sì, perché di doping si muore e di questo dovrebbero tener conto sia i tifosi sempre entusiasti dinanzi alle mirabolanti imprese del proprio idolo sportivo, sia quelli che vorrebbero legalizzare ogni pratica dopante.

Sia lode al dubbio, quindi. Ma non quello patologico, sia beninteso. Perché il dubbio e la controprova sono le fondamenta della ricerca scientifica.

E ogni qual volta rifletto sulla necessità di questo raffinatissimo esercizio intellettuale, nello sport come nella vita, non posso non pensare al mio carissimo amico Dario D'Ottavio

Dario è un uomo di Scienza - la maiuscola è d'obbligo - generoso come pochi (pochissimi in verità), decisivo nei momenti che contano; forte, del coraggio dei Forti.

Con Lui ho condiviso esperienze indimenticabili che mi hanno permesso di crescere, non solo professionalmente. Un Maestro. Gli devo davvero tanto, come gli deve tantissimo chi, a vario titolo, si è occupato o si occupa di lotta al doping. Provate a digitare il suo nome (e cognome) su Google...

Permettetemi di condividere un Suo post, di cinque anni fa, dove vengono definite alcune delle "pietre miliari" della conoscenza del fenomeno doping.

Leggete e, Vi prego, condividete ché, come dice Dario, l’attività di formazione e di informazione è uno degli elementi fondamentali per la lotta al doping.

DAL GRUPPO FACEBOOK "ANTIDOPING: FACCIAMO QUALCOSA, POST del 24 luglio 2014, di Dario D'Ottavio

Io penso che dopo quasi due anni dalla nascita di questo Gruppo (il gruppo Facebook “ANTIDOPING: FACCIAMO QUALCOSA”, nds) si possa affermare che siano state poste alcune pietre miliari per quanto riguarda la conoscenza del fenomeno doping:

1) Un atleta negativo ai controlli antidoping non è detto che possa considerarsi sicuramente “pulito”. Ciò deriva dal fatto che il “doping” potrebbe essere stato attuato in tempi lontani dalle competizioni (quindi lontano dai controlli post gara), che molte molecole non sono analiticamente determinabili e quindi sfuggono ai controlli (emivita bassissima, mancanza di metodi analitici, modifica strutturale delle molecole basali - il caso “Balco” insegna), che molte molecole/sostanze pur avendo un carattere ergogenico conclamato non siano inserite espressamente nell’elenco delle sostanze vietate (caffeina, teofillina, ormoni tiroidei, ipoglicemizzanti orali, bicarbonato di sodio, vasodilatatori, antinfiammatori, etc.), che molecole in fase sperimentale od integratori a base di erbe di cui non si conosca il principio attivo, siano in grado di aumentare la prestazione.

2) L’attuale sistema di “controlli”, pur essendo un ottimo deterrente, non è esaustivo per un completo controllo del fenomeno sia per l’impossibilità di estenderlo a tutti gli atleti, sia per quanto riportato al punto 1. L’introduzione dei controlli a “sorpresa”, lontano o pre-gara, l’introduzione del passaporto biologico (solo per il doping “ematico”) hanno dimostrato la necessità di intraprendere “strade” diverse che però necessitano di una “ricerca mirata” e di un sostegno economico non indifferente nonché di uno staff “tecnico” di elevate capacità e competenze.

3) Le modalità con cui si ottiene l’esenzione terapeutica sono scientificamente “criticabili” per cui è necessario correre ai ripari avvalendosi di “Strutture Istituzionali” qualificate ed idonee.

4) A tutela degli atleti si deve stabilire con certezza quali possano essere i limiti della produzione endogena delle sostanze dopanti e/o porre in essere tutte quelle ricerche e procedure che possano identificare e differenziare con certezza una assunzione involontaria da quella volontaria.

5) L’attività di formazione e di informazione, che è uno degli elementi fondamentali per la lotta al doping , vista la latitanza delle istituzioni, è demandata ad opera di “volontariato” senza uno specifico progetto/programma che, partendo “dall’alto”, riesca a raggiungere la base. Non è accettabile che “la Scuola” come elemento formativo ed educativo dei giovani non sia implicata in attività socio/formative quali l’educazione sanitaria, l’educazione civica, l’educazione all’attività fisica e il rispetto per l’ambiente (solo per citarne alcune).

6) Essendo il “doping” (come la farmaco/tossicodipendenza) un problema sanitario dovrebbe essere gestito dalle Istituzioni competenti (Ministero della Salute o strutture Sanitarie) evitando l’intervento e la gestione da parte del mondo dello Sport facendo così venir meno il criticabile sistema controllato/controllore.

Quanto sopra rappresentato, “la storia degli ultimi 30 anni”, ha inevitabilmente generato la cosiddetta “Cultura del sospetto”, pienamente condivisibile, e in quanto “sospetto” non vuol dire colpevolezza e sino a prova contraria (positività ufficiale ai controlli) un atleta è sempre “innocente”. “Innocente” sì, ma non si può affermare per quanto detto sopra, che sia un atleta certamente “pulito”. Purtroppo questa è la triste realtà ed è la conseguenza di una sconsiderata azione da parte degli organi di controllo negli anni storici in cui, per svariati motivi, la rincorsa alla farmacia proibita era l’attività prioritaria per l’affermazione, attraverso i risultati nello Sport, dell’efficacia del proprio modello politico.

È ora di rimboccarci le maniche e, nel nostro piccolo, penso che la nostra parte la stiamo facendo. Spiace constatare che alcuni interventi “cozzino” con la “filosofia” sopra descritta ma, sia ben chiaro, l’appartenenza ad un Gruppo implica la condivisione delle finalità e dei principi del Gruppo stesso. Se non si è d’accordo, non ci si iscrive o si lascia. Non è un limite alla democrazia, assolutamente, ciascuno è libero di esprimere le proprie opinioni e di confrontarsi, ma su tematiche “coerenti” e senza dar adito a sterili polemiche che comportino dispendio di tempo e di energie.

È possibile che nel Gruppo ci siano degli iscritti che “monitorizzino” o che non condividano questi principi, lorsignori (se ce ne sono), comunque, sappiano sin d’ora che non c’è spazio per operazioni di disturbo che possano intralciare il nostro percorso.

1 commento:

Unknown ha detto...

Caro Mario, complimenti per quanto scrivi con passione.,ma anche con un certo disincanto. Emerge anche una certa delusione e un senso di impotenza. Non ho soluzioni da suggerire se non quella di ricordare ai medici che si interessano allo sport e con gli atleti lavorano, che un giorno hanno sottoscritto il giuramento di Ippocrate.