C’è sempre bisogno di “qualcosa di scritto”. Sì, carta canta.
‒ Me lo fai un programma? ‒ è il refrain dell’atleta (o anche pseudo tale) che sogna il successo e che non vuole perder tempo a pensare, a ragionare sul da farsi.
Il programma è il programma di allenamento, of course. La bacchetta magica, l’abracadabra che tiene lontani gli infortuni di ogni sorta; la “coperta di Linus” da stringere a sé ogni qualvolta il pensiero va all’imminente competizione.
Il programma di allenamento lo vogliono liofilizzato, buttato dentro un bicchiere: due giri di cucchiaino in acqua calda, e via.
Hai voglia a ragionare di pianificazione, periodizzazione e poi – molto poi – di programmazione e, quindi, di programma; di questo distillato, sovente, si ignora del tutto la genesi; soprattutto la storia personale di chi l’ha prodotto.
È così che gli allenatori diventano distillatori di numeri in successione sessagesimale; essi trasformano i sogni in verità approssimate. E, in fondo, qualcuno tra loro gongola pure quando ciclicamente torna il puerile refrain.
‒ Me lo fai un programma?
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