lunedì 8 luglio 2013

Il campione, la solitudine, l'ascolto, la parola


In questi meteorologicamente bizzarri giorni di inizio luglio rimbalzano, sinistre e vieppiù inquietanti, le numerose notizie di un doping sempre più sistema transnazionale. Certi 'poteri forti' però -  questa sembra essere la novità - cominciano a 'balbettare' per effetto dell'incalzare di un giornalismo rivoluzionario ed estremamente efficace e, almeno qui in Italia, di una magistratura determinatissima e competente.
Ma non è di questo o quell'altro caso di 'imbroglio farmacologico' che vi voglio parlare, bensì di un aspetto, per me non meno interessante del fenomeno doping tout court; qualcosa che, probabilmente, 'vive' accanto al doping e finisce per alimentarlo. Per avere un'idea di ciò che sto per introdurre vorrei riandare ad un'intervista al giornalista-scrittore Marco Bonarrigo (trasmessa nell'ottobre del 2012 su SKY News 24; il video in calce a questo post). Nel parlare di Armstrong e dei suoi rapporti con il medico che lo aveva 'in cura', e poi del caso Schwazer, ci dice: 

"[...] Due atleti seguiti da metodologi, allenatori, preparatori, dietisti e dietologi e, nel caso di Schwazer anche da una psicologa, per anni, sentono la necessità comunque di andare, clandestinamente, perché comunque non si poteva fare, dal medico Michele Ferrari. Questo deve farci riflettere proprio sul sistema delle persone che supportano gli atleti in Italia. [...] Atleti che rischiano la squalifica (perché chi va con Ferrari rischia l'inibizione; è successo già per un paio di atleti), comunque, anche per motivi che non siano strettamente legati al doping - perché io so di atleti che non ci vanno per 'farsi' - vanno, rischiano, per andare da lui. Questo per me significa una cosa di base (ho parlato con tantissimi atleti che lo hanno frequentato): molti atleti in Italia, specie nelle discipline tra virgolette 'povere, come il ciclismo, come l'atletica,  come il triathlon, sono soli. Sono soli, cioè hanno decine di consulenti ma non hanno uomini in grado di parlare con loro e di risolvere i loro problemi".

I record stratosferici, le medaglie a palate si ottengono quasi sempre con il 'turbo' di micidiali alchimie farmacologiche; e questo è un fatto. Ma il campione (ed anche l'amatore) spessissimo si lega al suo 'mentore-stregone' per un bisogno vitale di ascolto, di comprensione. Prima del farmaco c'è ancora l'uomo. Il doping è innanzi tutto un problema culturale.

6 commenti:

Marco Santozzi ha detto...

Sono Marco, un ragazzo di 31 anni che da marzo 2013 ha iniziato a disputare gare podistiche. Sono uno psicologo, quindi sono pienamente d'accordo con il tuo post. Il doping è un fatto culturale in Italia, perchè non si ha il coraggio di dire al proprio allenatore "ho paura di fallire, non sono più quello di prima", per il timore, ma penso anche più vergogna, di non essere all'altezza della fama che si sono crati o che alltri hanno creato per loro. Lo sport è DIVERTIMENTO, poi può diventare qualcosa di prestativo anche nel caso di alcuni amatori,
Ti ringrazio per lo spazio.
Marco
ASD Runners Pescara

sognatrice ha detto...

Caro Maestro,
ho capito bene? Bonifici tracciati di un milione e duecentomila dollari? E' sconcertante!
Io mi permetto di non condividere il pensiero di Marco Bonarrigo sulla solitudine dell'atleta che scaturisce dalla mancanza di uomini che non sono in grado di parlare con loro. Primo perché non credo che ci sia questa mancanza e secondo perché dubito che con il dottore in questione si sia cercata la conversazione… (nel camper ai parcheggi dei caselli autostradali!)
Il “bisogno vitale di ascolto” in cui credo fortemente, non va, secondo me, soddisfatto rivolgendosi al “mentore-stregone” perché se si trattasse sono di necessità di conforto verbale questo andrebbe ricercato in persone idonee allo scopo, che esistono e sono anche qualificate e a volte non sono nemmeno dei medici.
Forse è un pensiero arido, ma è quello di una sognatrice!
Un caro saluto
Carla

Marius ha detto...

Marco ti ringrazio per il commento e ti do il benvenuto su questo mio blog atipico.

Ovviamente i fattori che inducono un atleta a doparsi sono molteplici (psicologici, culturali in senso lato, ma anche economici - pensiamo agli interessi miliardari che girano intorno allo sport spettacolo).
Io però volevo porre l'attenzione del lettore sul particolare legame che si stabilisce tra l'atleta e il suo mentore-stregone, qualcosa che non scaturisce soltanto dalla dipendenza farmacologica, ma che piuttosto attiene al bisogno di dialogo; di comprensione. E questo è un fronte essenzialmente culturale.

un saluto

mario

Marco Santozzi ha detto...

Ringrazio te Mario per lo spazio che mi hai concesso. In riferimento al tuo ultimo pensiero, purtroppo devo confermarti l'ignoranza diffusa tra le persone di rivolgersi a presunti maghi, stregoni, fantomatici specialisti per "risolvere" i loro problemi, snobbando o, talvolta, deridendo i veri specialisti...
Scusami per il piccolo sfogo personale che la mia condizione di psicologo comporta.

Marco

Marius ha detto...

Sì Carla, sono d'accordo con te (e credo pure di averti risposto col commento successivo al tuo che, nella foga di replicare, non ho letto per tempo). Bonarrigo ha fatto un buon lavoro ma, io credo, si perda 'assolvendo' il campione, vittima di una sorta di solitudine coatta. Le federazioni abbandonerebbero gli atleti lasciandoli in balia di loschi figuri. E se tra talune federazioni e certi loschi figuri ci fosse un disegno criminoso?
La solitudine, comunque, resta.

Anonimo ha detto...

PURTROPPO nulla di nuovo all'orizzonte, ahimè!!!
GMak (75° nel ranking 1998 oggi sarei credo 56° dopo le 19 eliminazioni postume... ancora 40anni e potrei entrare nella top ten:-):-))