sabato 19 giugno 2010

Abbandoni temporanei

Leggevo, in questi giorni, di un abbandono o, più precisamente, di un arrivederci (non un addio) accorato, da parte di un giovane (non giovanissimo in verità) podista abruzzese. Un buon atleta agonista da 3:15/3:20 al chilometro su distanze di dieci dodici chilometri, esprimeva a mezzo lettera telematica aperta tutta la sua sofferenza per un cambiamento importante avvenuto di recente nella sua esistenza: “[…] Mi sembra doveroso far sapere a questi amici, che ho scelto il mondo del lavoro, e non so se questo lavoro in futuro mi permetterà di continuare a fare sport, certo che ce la metterò tutta”. Nella sua lettera aperta di addio – pardon, arrivederci – mi hanno colpito molto alcuni passaggi, a mio giudizio significativi di un modo di interpretare la pratica dello sport, nonché di valutarne i ‘numeri’ (dal valore atletico di una prestazione, in particolare, al senso concreto di praticare uno sport tout court).

Premetto che conosco l’estensore della lettera aperta. Qualche anno fa gli diedi una mano a preparare i Campionati Italiani Assoluti di Mezza Maratona. In quell’occasione arrivò terzo nella categoria Promesse, con il tempo di 1:09:34 che rappresenta ancora oggi il suo primato personale. Ebbi perciò modo di apprezzarne sia l’indubbia tenacia in allenamento, sia una certa ritrosia a seguire fedelmente i programmi stabiliti. Ed è per questo che la collaborazione tecnica si concluse appena dopo quel campionato di mezza maratona.

In un altro passaggio della lettera del giovane podista si può leggere: “Mi sarebbe piaciuto trovare un lavoro che mi avrebbe permesso di farlo (di continuare a correre, ndr), ma purtroppo lavoro fuori regione e in futuro pure all’estero. Ma non sono né il primo né l’ultimo che arrivato ad una certa età si trova davanti a questo bivio”. Segue poi una sorta di sfogo (ma, in fondo, tutta la lettera è uno sfogo): “Correre non è solo uno sport, è la passione che ti scorre nelle vene, è l'adrenalina che ti sale a stantuffo nel cervello nel momento che stai tagliando il traguardo. Non basta vincere, per quelli come me è necessario superare i propri limiti andando sempre oltre. Oltre ogni confine perché, sono convinto, che non ci sia un limite per un uomo che ha voglia di superarsi”. Queste parole, così cariche di imberbe virilità, mi permettono di dare un consiglio al giovane podista: se per te non basta vincere, ed è preminente il bisogno di superare i tuoi limiti andando sempre oltre, “oltre ogni confine” come scrivi, perché lasciare la corsa, adesso che le cose si fanno davvero difficili? La vera sfida comincia ora!

E allora torno con la memoria ai miei vent’anni di discreto mezzofondista: 14:43 sui 5000, 8:33 sui 3000 e 1:06:48 nella mezza maratona. Con me correva l’amico Marco Agresta (clicca qui), mio coetaneo o giù di lì. Marco aveva tempi un po’ più alti (sui 5000 credo vantasse un comunque notevole 15:07) ma, diversamente da me che a quel tempo potevo dedicarmi pienamente al running, lui si ‘smazzava’ dodici ore filate di lavoro durissimo. Ecco, Marco allora andava “oltre ogni limite”! E lo faceva in silenzio, lavorando e correndo, quotidianamente, da gennaio a dicembre. Marco, oggi quarantaseienne, sposato e padre di due magnifici ragazzini (un maschio e una femmina), continua a correre, dopo il lavoro e gli impegni di famiglia. Su una gara di 10 km attualmente mi darebbe non meno di 20”/km.

Potrei fare altri esempi di corridori capaci di andare “oltre ogni limite”. Camillo Campitelli forse è il più illustre di questi (si legga il post che gli dedicai tempo addietro, cliccando qui).

Il giovane podista poco prima di chiudere la sua lettera scrive: “La vita però ci pone davanti a delle scelte. Ingrate e crudeli. Non basta essere bravo, per fare sport in Italia occorre qualcos'altro che io non ho. Qualcosa che non mi appartiene. Io sono uno sportivo, amo lo sport puro, quello vero e sincero, non quello drogato sia sportivamente che commercialmente parlando. Così, per me non c'è spazio in questa realtà e neanche futuro, per cui dico arrivederci. Mi aspetta il mondo del lavoro. Altre sfide, altri limiti da superare”. Sono parole forti. Ma anche puerili (e lo dico non in senso spregiativo) e perciò cariche di quella forma di innocenza tipica di certi giovani che risolvono l’interpretazione del mondo in due semplici battute, il bianco di qua, il nero di là.

Al giovane podista dico che per vivere di running in Italia non basta essere bravi come lui. Questo è assodato (per entrare in un gruppo sportivo militare bisogna correre almeno a 3:00/km per 10.000m). Gli dico pure, da allenatore e per averlo seguito qualche mese, che per correre a 3:20/km, per dieci chilometri, con le sue qualità, basterebbe un’oretta al giorno di allenamento, doccia inclusa. Se per ‘viaggiare’ a 3:15-3:20/km bisogna dedicare quasi tutta la giornata all’allenamento, allora forse c’è qualcosa che non va dal punto di vista tecnico (e forse anche esistenziale: se il motivo dell’abbandono è il lavoro e se per effetto di questo non si riesce a disporre di un ventiquattresimo della propria giornata, che diamine di vita è?).

Concludo, dando al giovane podista qualche informazione sugli atleti che lo precedono di qualche decina di secondi o lo tallonano da vicino, nelle varie distanze del mezzofondo resistente, qui in Abruzzo e fuori regione: molti di essi riescono a conciliare lavoro durissimo e allenamenti senza troppi patemi. Si pensi a “Sat” Saturnino Palombo e Flavio Di Bartolomeo, due mie atleti “over 30”. Magari fare una chiacchierata con loro potrebbe aiutarlo a desistere dai suoi propositi di abbandono. Il giovane podista potrebbe così pure scoprire che non è il solo ad amare “ […] lo sport puro, quello vero e sincero, non quello drogato sia sportivamente che commercialmente parlando”.

26 commenti:

Anonimo ha detto...

Leggevo anch'io, in questi giorni, il saluto di Francesco.
Un buon atleta ed anche un grande combattente, sia in gara che in allenamento.
Mi ero domandato il perché di questa sua scarsa partecipazione alle gare. Durante l'inverno si vociferava di problemi alla schiena, ma immaginavo ci fosse di più. Adesso veniamo a sapere che la ragione del suo ritiro - arrivederci, pausa temporanea, break momentaneo, chiamatelo come volete - sarebbe dovuto al lavoro.
Al lavoro??
Non ne conosco ila tipologia, ma francamente, se la passione e la voglia di gareggiare e competere sono rimaste - come dice - invariate, mi sembra un'assurdità.
Il post mi offre l'occasione per un breve intervento, che avevo già pensato di fare sul sito del Corrilabruzzo proprio perché alcune affermazioni mi sembrano quanto meno bizzarre.

Condivido pienamente le parole di Marius e anche quelle di Marco.
E' vero che quando si smette di studiare e si comincia a lavorare sul serio cambia tutto. E' vero anche che a volte si ha meno voglia - oltre che meno tempo - di allenarsi e di "farsi il mazzo", come si dice in gergo.
Ma tutti sappiamo che il nostro è uno sport di sacrifici e, soprattutto, di costanza e continuità. Che sono anche queste delle doti, forse ancor più del talento innato, perché la caparbietà e la tenacia, così come la voglia di fare e di mettersi in discussione non si comprano al supermercato e devono essere assiduamente alimentate con spiccate e rinnovate motivazioni.
Il momento di difficoltà, la crisi, la scarsa voglia sono inevitabili e fanno parte del gioco, ci mancherebbe. Però in questi momenti ho imparato che basta semplicemente continuare ad allenarsi senza affanni e senza badare al cronometro. E magari rinunciando a qualche gara, se proprio si ritiene di non essere competitivi.
I momenti bui - al pari di quelli positivi - finiscono. Ma spesso si riesce a tornare più forti di prima.

Premesso che quasi mai il mondo del lavoro costituisce un bivio rispetto all'atletica - parlo di quella praticata a livelli amatoriali o semiagonistici - l'affermazione che meno mi è piaciuta è stata quella in cui si dice: "non basta essere bravo, per fare sport in Italia occorre qualcos'altro che io non ho. Qualcosa che non mi appartiene. Io sono uno sportivo, amo lo sport puro, quello vero e sincero, non quello drogato sia sportivamente che commercialmente parlando. Così, per me non c'è spazio in questa realtà e neanche futuro, per cui dico arrivederci".
Francamente, messa in questi termini, l'asserzione mi sembra molto qualunquista, oltre che scioccamente semplicistica, superficiale ed approssimativa.
Se così fosse, dovremmo pensare che tutti gli sportivi italiani siano "bombati" e che certe prestazioni - peraltro affatto sconvolgenti, se consideriamo le ristrettezze del periodo, nonostante qualche buon segno di ripresa - siano soltanto frutto di aiuti chimico-farmacuetici.
Sono sicuro che Francesco non volesse dire questo e che probabilmente si è trattato soltanto di uno sfogo momentaneo.

Anonimo ha detto...

Quanto al discorso di correre a 3'15"-3'20"/km, beh, mi associo agli interventi che mi hanno preceduto.
Fin troppo generoso Federico Violante - al quale faccio i complimenti per l'entusiasmo e la passione che riesce ad esprimere a livello organizzativo e per lo zelo con cui cura ed aggiorna il sito (naturalmente i complimenti sono estesi a tutti quelli che collaborano con lui nella confezione del prodotto) - quando dice che correre a 3'20"/km sarebbe impresa non da poco con la fisiologia di un bianco. A parte il fatto che anche i bianchi sanno correre forte, come confermato anche da molti recenti risultati,
ribadisco che, al livello di Francesco, basterebbe davvero poco, anche 4/5 uscite settimanali e un unico lavoro di mantenimento.
Io stesso, che regolarmente corro su quei ritmi, difficilmente faccio allenamenti da più di 50', riscaldamento compreso - Mario che mi segue può confermarlo. Basta mantenere un buon standard qualitativo.
E vi assicuro che c'è gente che si allena meno di me e va addirittura più forte. Tra gli altri, l'amico Daniele Grande - momentaneamente ai box, ma al quale auguro di tornare prestissimo -, maestro nel far fruttare in gara i pochissimi chilometri di allenamento settimanali.
Per non parlare di Fabiano Carozza, che lavora addirittura su turni.

Questa non vuol certo essere una facile critica, ma soltanto un invito a riflettere attentamente sulla scelta di mollare tutto o continuare, magari con una mentalità più elastica e con meno stress e meno "elucubrazioni mentali".

Un saluto.
Sat

marco ha detto...

Concordo pienamente con tutto quello scritto dall'amico Mario, che ringrazio per le belle parole spese per il sottoscritto, seguite da quelle dette dal buon e saggio Sat (nonostante la giovane età). Ritengo inoltre molto gratificante ottenere risultati, anche se inferiori a prima, "nonostante" si debba lavorare. Marco Agresta.

sognatrice ha detto...

Caro Maestro,
non conosco l’atleta in argomento, ma le sue parole mi colpiscono e mi invitano all’intervento.
La mia opinione è che la motivazione non è solo il lavoro, non può essere perché le persone che hanno affiancato al dovere la passione di uno sport sono tante e tu hai citato nomi illustri.
Tornerà… ne sono quasi certa.
Tornerà ad indossare le scarpette.
Tornerà perché gli mancherà l’odore del sudore profuso negli allenamenti e nelle gare.
Tornerà perché l’amarezza si consuma, l’orgoglio non svanisce.
Ciò che accadrà è che quando avrà consapevolezza della sua scelta forse si pentirà per essersi perso qualche soddisfazione.
Purtroppo so che se non si vuole fortemente qualcosa, nessuno può riuscire a convincere di desiderarlo.
Conosco molti atleti che nel periodo di passaggio dagli studi alla professione hanno rallentato il ritmo, a volte si sono presi una lunga pausa.
Ma tutti hanno rimesso le scarpette!!!
Buona fortuna al giovane atleta!
Ciao
Carla

Enrico ha detto...

Il mezzofondo è l’unico caso, in anatomia, in cui i piedi possono andare a destra ed il cervello a sinistra. Succede anche nei sogni (o deliri) ma se ne occupa la psichiatria. Se cervello e piedi tornano nella stessa direzione, allora si può andare anche forte, o comunque togliersi delle soddisfazioni, a Pescara come a Vichy, a Dalmine come ad Antalya.

Enrico Magalhaes

Marius ha detto...

Sono d'accordo con te Enrico. Parole sante.

un abbraccio

m

Running Free ha detto...

Scusa se mi permetto Sognatrice, ma forse non hai ben colto il punto chiave della questione . Il problema non è se o quando il nostro atleta tornerà a correre e gareggiare. Il problema è ciò che traspare dalla lettera di Francesco Marchetti.
1) Come può prendersi così sul serio un atleta che ,pur discretamente dotato, primeggia solo nelle garette paesane e amatoriali ?
2)Come può pensare che un suo allontanamento (momentaneo?) dalle gare possa interessare a così tante persone, tanto da giustificare una sorta di comunicato stampa?
3) Come si può parlare velatamente di doping (velatamente?), per giustificare un fallimento della sua carriera "professionistica"? (mi spiego : senza gli atleti dopati di cui lui parla probabilmente invece di duecentesimo sarebbe centesimo nelle graduatorie nazionali).
4) Cosa gli aveva fatto sino ad ora pensare di potersi affrancare dal dover lavorare? xCHè Lui No e tutti gli altri SI?
Mi fermo qui ma potrei continuare a lungo con queste domande.
Sicuramente il ragazzo, ma purtroppo tante (troppe) persone come lui, ha una bizzarra interpretazione della pratica sportiva ed una personale percezione della scala dei valori tecnici.
X Sat : sto ancora crepando dalle risate per la teoria dei 3'20" al km del signor Federico Violante. Ci ha voluto far capire quanto lui conosca bene l'atletica leggera...

Anonimo ha detto...

Leggendo il commento di SAT (a cui vanno i miei complimenti) mi viene da pensare che per andare forte e allenarsi poco basta avere un buon allenatore... forse è proprio questo che mi manca (Marius ti offri volontario?), perchè in fin dei conti da ragazzo non andavo così male, quindi le qualità fisiologiche dovrei averle, anche se le ho lasciate sopire per almeno 25 anni.
Tuttavia, avendo finalmente rimesso le scarpette ai piedi, a 46 anni fatico a correre sui rittmi di 4'00"/km ingare di 10km, pur allenandomi 3/4 volte a settimana e percorrendo, nel migliore dei casi, 180km al mese; è pur vero che da ragazzo mi dilettavo su distanze decisamente più brevi (ero un mezzofondista da 1'59" sugli 800m a 16 anni), ma anche su distanze più lunghe, generalmente nelle campestri, mi difendevo discretamente.

Non conosco Francesco, se non per averlo incontrato nelle gare amatoriali a cui entrambi partecipiamo, e quindi non posso e non voglio giudicare il suo messaggio di arrivederci; sono d'accordo con chi scrive che prima o poi rimetterà le scarpe ai piedi (è successo anche a me e oggi mi rammarico per aver lasciato passare più di 25 anni prima di farlo), ma posso capire che a volte il lavoro ti stritola e ti impedisce di dedicare il giusto tempo per gli allenamenti; d'altronde la corsa deve essere, a questi livelli, un momento di relax, una occasione per scaricarsi, ma se il tuo lavoro non è basato sui turni e non ti da certezze di orario, se spesso stai fuori e devi organizzarti per trovare dove correre, se la famiglia reclama "giustamente" la tua presenza... ritagliare dello spazio per poter andare a correre diventa faticoso e anche stressante e quindi rinunci...
A volte non basta la passione e ci si può non accontentare di essere comprimari nelle gare anche con se stessi...

Vorrei spezzare anche una lancia a favore di Violante e la sua affermazione sui bianchi che vanno con difficoltà a 3'20"/km: sono sicuro, diversamente da quello che pensa running free, che Violante intendesse parlare del suo ambito, cioè delle gare amatoriali in cui Francesco si cimentava, dove, scorrendo le classifiche, non mi sembra di trovare spesso atleti che vadano più veloci di questi ritmi e se lo fanno o sono molto giovani oppure neri; chiaramente Violante è consapevole al di fuori di questo ambito se se giovane e vai a 3'20"/km non sei nessuno... anche se chi giudica prima dovrebbe provare a correre a questi ritmi: naturlamente non mi riferisco a SAT o running free, ma a tutti gli sportivi da poltrona dal giudizio facile.

Infine, scusate se sono stato lungo, vorrei chiudere facendo i complimenti a Marius; lo ricordo da ragazzo quando, un po' più giovane di me, si gareggiava in ambito regionale. Da qualche mese l'ho ritrovato su questo blog e lo leggo con piacere; anche se posso non trovarmi sempre d'accordo con le sue idee (sarebbe grave il contrario) la sua abilità nello scrivere mi ha sorpreso e incantato. In uno dei suoi racconti (metafore di un viaggio) mi ha ricordato il Benni dei tempi migliori!!! gli auguro quindi di continuare a coltivare questa sua arte, provando a farla uscire dai confini del blog!

Marius ha detto...

Anonimo, intanto grazie per il tuo intervento e per i complimenti che mi imbarazzano un bel po' (tiri addirittura in ballo Stefano Benni, geniale ai limiti del sovrannaturale, a mio giudizio, ne "La Compagnia dei Celestini" e ne "Il bar sotto il mare"; ho quindi tutto il diritto di arrossire).

Ti confesso di essere assai curioso circa la tua identità che, ovviamente, sei liberissimo di mantenere segreta. Però quell'1:59 sugli 800, a sedici anni, qui in Abruzzo... Ed oggi di anni ne hai quarantasei... Dai, nel prossimo commento lasciami almeno un nick!

un abbraccio

mario

sognatrice ha detto...

Intervengo di nuovo per l’Anonimo del commento delle 11:55 al quale voglio tributare il merito di aver individuato il senso delle mie parole e nell’ammettere il suo rammarico mi ha dato ragione. Inoltre mi ha fatto capire di aver esagerato nell’aver sostenuto che il lavoro non è un impedimento al praticare uno sport. Come scrive lui ci sono professioni che non lasciano respiro e situazioni familiari e personali che non permettono la concessione di un piccolo ritaglio di tempo. A volte concedersi tale spazio significa far diventare la giornata gravosa.
A RunningFree dico: hai ragione non ho colto la vera essenza del messaggio dell’atleta, ovviamente la tua analisi è più profonda. Sinceramente non ho pensato al modo e ai concetti che ha usato il ragazzo. Il mio pensiero è stato solo quello di una podista che negli ultimi anni ha conosciuto tanti amatori che vorrebbero correre e non possono più farlo e sapere che un ragazzo dalle qualità dell’atleta in questione smette di correre mi fa rammaricare… poteva togliersi qualche soddisfazione!
… ma in fondo “sognatrice” sono.
Ciao
Carla

Anonimo ha detto...

Tu, vuoi essere a tutti i costi un personaggio, lo saresti, pero devi togliere dentro di te quella arroganza meschina. Qualcuno pure te lo doveva dire.

Marius ha detto...

Mancava l'anonimo di turno che, mollato il pernacchio - pezzo forte del suo repertorio - soddisfatto, porta a casa i suoi cinque minuti di felicità.

Si cerca di fare del bene, quando si può.

m

Fred ha detto...

Penso che questo sia il mio primo e ultimo intervento su questo sito. Mi sento inadeguato, del resto non sono un campione, e mi sento a disagio al cospetto dei campioni, cosa vogliamo farci?
Rispondo a Running Free, che immagino stia ridendo ancora adesso.
Premesso che non ho mai detto scritto o ritenuto di essere un fine conoscitore del vostro mondo.
E non devo dimostrare nulla a nessuno. E' ovvio che il mio mondo non è quello della atletica dei big, e ci mancherebbe, quanti nelle nostre gare, e sottolineo nostre, scendono sistematicamente sotto i 3'20" su strada? Vogliamo vedere alla roma-ostia su 10000 arrivati quanti ce ne sono e dov'è la media? Se avessimo tutti certe doti e tanta intelligenza, sarebbe facile per noi vincere medaglie. E invece?
Un anonimo il mio ragionamento sembra averlo capito. Mi auguro che anche Mario, che stimo come persona intelligente, capisca lo "sfogo", chiamiamolo così di Francesco Marchetti, deluso più che altro da se stesso, senza infierire più di tanto.
La nostra, nella quasi totalità dei praticanti, è la serie B dell'atletica, senza alcuna pretesa, se non di divertirsi.
Qualcuno che si alza dalla nostra mediocrità può essere tentato di venire a giocare con voi, per tornare con la coda tra le gambe quando poi prende le legnate sui denti. Allo stesso modo, chi è ai margini dell'atletica seria, per età o carenza di stoffa, capisco che sia tentato di venire a fare l'orbo nel paese dei ciechi. A me però non viene da ridere. Non misurate Marchetti solo con i vostri parametri, abbiamo mappe diverse per lo stesso territorio, soprattutto per le unità di misura.
Perdonate l'invasione.
Fred

Anonimo ha detto...

Ciao Fred.

"Vostro mondo"???
Onestamente quest'affermazione non la capisco tanto bene. O forse è proprio perché ne comprendo la portata che mi reca profondo dispiacere. Anzi, a dir la verità mi crea delusione e amarezza.

Da come parli sembrerebbe che il podismo amatoriale e l'atletica siano due universi che si fronteggiano e che si trovano in una sorta di insanabile contrapposizione.
Premesso che sul blog si cerca di fare una riflessione seria, in giro di atleti se ne vedono ben pochi.
Credi che io mi senta qualcosa di più di un amatore? Se tu la pensi così, ti ringrazio, ma la realtà dei fatti è un po' diversa.
Il problema, chiaramente, non è Marchetti o chicchessia - del quale neanche a me viene da ridere, anzi. Sebbene abbia espresso un parere quantomeno discutibile, adesso mi sembra che emerga un altro tipo di questione, ben più importante e comunque contraria alla gran parte delle affermazioni che normalmente si trovano in questo blog.

Mi sembra che l'aspetto prestazionale rischi di fuorviare e di generare delle strane distorsioni che non hanno ragion d'essere.
Per TUTTI noi lo spirito è quello di divertirsi. Dal primo dela classe all'ultimo dei tapascioni.
Certo, alle volte si soffre e si fa fatica. Ma mi sembra che quella la faccia anche Bekele.
La passione e lo spirito sportivo, invece, sono fondamentali e necessarie a qualsiasi livello, sia amatoriale che professionistico. Quando ci si dimentica del piacere della corsa, anche l'atleta professionista perde le motivazioni e peggiora le proprie performances.

Il fatto che allenandosi e crescendo di livello aumentino anche la convinzione, la consapevolezza e la voglia di migliorarsi nulla toglie all'entusiasmo, alla semplicità ed alla passione originari.
E in quest'ottica non c'è niente di diverso tra amatore, agonista e professionista.

E' chiaro che spesso cambiano gli obiettivi.
Nelle discussioni fatte sul blog - come vedi evito volutamente di dire nelle "nostre" - è chiaro che molto spesso si tende ad orientare il dibattito su un'attività un po' più competitiva, che va al di là del solo spirito partecipativo.
Ma sempre con il massimo rispetto per chi pratica sport per il piacere di stare bene e in compagnia.
Personalmente, un paio di settimane fa sono tornato apposta da Pavia per partecipare alla Notturna di Chieti. Viaggio interamente spesato da me (e da chi sennò?). Ma solo per il gusto di prendere il via alla gara di casa mia.
Onestamente non mi sembra una mentalità molto diversa da quella del normale amatore o del podista "della domenica".

Mi spiace si sia creata questa rivalità. Peraltro inutile e senza senso.
Mi spiace sia il tuo ultimo intervento, perché mi piacerebbe approfondire meglio la questione.

Un saluto.
Sat

Anonimo ha detto...

Marius, che tu sei bravo lo devono dire gli altri, non che spesso ti santifichi da solo

mario ha detto...

Caro Fre, non solo corse paesane

Udine campionati italiani di mezza maratona terzo Promesse
2007 Adripalda Avellino campionati italiani di mazza maratona terzo Promesse
2008 GMove Torino quarto classificato Cross

Francesco nel 2006 è arrivato terzo hai campionati italiani di mezza maratona yunior a Rubiera Reggio Emilia.

2008 Udine 2007 Campionati italiani di mezza maratona terzo Promesse




2008 ROMA corsa di MIGUEL OTTAVO



2009 Atribalda Avellino campionati italiani di mazza maratona terzo Promesse



2008 GMOVE cross Torino quarto assoluto




Corri Roma 2007 quinto assoluto

Stramilano 2008 21° assoluto secondo promesse

Mario M ha detto...

IL tutto era documentato con foto

Fred ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Fred ha detto...

Ciao Sat, e Mario, allora facciamo finta che sia stato il penultimo, ma come ho già scritto mi sento a disagio, non ho sufficiente nobiltà atletica per discutere a questo livello e in questo luogo.
Dove vedi la contrapposizione non l'ho capito, ma la responsabilità è di chi si esprime, mi sarò spiegato male, scusami. Volevo intendere che è diverso, molto diverso, e non c'è assolutamente rivalità. L'atletica di un certo livello, e consentitemi, di una certa mentalità è competitiva e prestazionale, si discute essenzialmente di tempi e di posizioni. Il podismo amatoriale, se parliamo di questo, dell'atletica è un parente lontano e povero, con una distanza ancora maggiore, se vogliamo, di quella tra il ciclismo pro e quello amatoriale. Noi discutiamo di parcheggi, di ristori, di percorsi, magari di donne, quasi mai di classifiche se non quando ci sono dei gran casini. Hai mai visto qualcuno accapigliarsi sui tempi? Hai mai visto un controllo antidoping a nelle gare amatoriali (anche Fidal)?
Se dovessi fare una critica a Francesco Marchetti, (al quale Mario ha tolto il titolo italiano UISP 2009 di mezza maratona vinto a Pratola Peligna), gli direi che dimostra di avere una concezione impropria dello sport se per lui è interessante solo a patto di correre tra i "grandi", e sentendosi rifiutato da quel mondo decide di appendere le scarpe al chiodo.
E' ovvio che anch'io spero che ritrovi la voglia di correre in mezzo a noi dove davvero gli bastano due o tre ore a settimana per mantenere piazzamenti per lui dignitosi.
Nessuno mette in dubbio la tua "amatorialità", Sat, scusami se ti ho fatto pensare questo. Piuttosto, se volessimo parlare di rivalità, che ne pensi della contrapposizione Fidal-EPS_Vari? Chi la alimenta? Dove vogliamo arrivare? Il podismo amatoriale (e non ho scritto "l'Atletica") deve avere un padrone?
Il podismo che rappresento io, non ha bisogno di premi in denaro e di corridori di gran nome da pagare perchè partecipino. Noi valutiamo le gare non in base al tempo del primo, ma al numero di partecipanti, alla qualità dei servizi, e cosa più importante alla soddisfazione degli utenti.
Fosse per me, ma so bene di dire una eresia, la competizione dovrebbe essere solo con se stessi, e il confronto con gli altri deve essere una opportunità di migliorarsi, non un motivo di rivalità.
Un caro saluto.
Fred

Marius ha detto...

Caro Federico, anch’io ti stimo come persona intelligente, oltre che corretta. Ed è per questo che mi è dispiaciuto assai leggere nel tuo primo commento la reiterazione di aggettivi possessivi quali “vostro” e “nostro” (“il vostro mondo”, “il nostro mondo”) che sembrano – a me pare – alzare muri invalicabili dentro un settore dell’atletica, quello della corsa (ma anche della marcia) di resistenza (diciamo pure banalmente così) di per sé già abbastanza diviso, e per motivi francamente assai risibili.

Dici di sentirti inadeguato a scrivere su un sito di campioni, di essere a disagio al cospetto di campioni. Adesso sono io che sorrido, e senza malevolenza alcuna nei tuoi riguardi, anzi, piuttosto con accresciuta simpatia perché ti sento sincero. Ti prego, cerca di fugare imbarazzi e disagi di sorta, ché sul mio blog, ogni qual volta leggerai di eccellenze atletiche (e ti parlo di campioni ‘certificati’, quelli con le medaglie olimpiche o mondiali, oppure vincitori di titoli italiani assoluti) li troverai più ‘umani’ o, ‘finalmente umani’ all’interno di narrazioni che hanno il pregio (voglio riconoscermene uno; e che l’anonimo di turno dica pure che sono arrogante!) di azzerare la distanza tra quegli stessi campioni ed il resto del mondo che marcia, che corre o qualsiasi altra attività svolga o non svolga. Un esempio? Ti do due link relativi a due post (una prima parte e una seconda parte) di due anni fa (quanti due!): http://www.mariodebenedictis.com/2008/07/narrazioni-raffaello-ducceschi-telling.html e http://www.mariodebenedictis.com/2008/07/raffaello-ducceschi-telling-seconda.html
Due racconti in prima persona dell’olimpionico di marcia Raffaello Ducceschi (5°, a ventuno anni, alle Olimpiadi di Los Angeles, sulla 50 km e 4° sulla stessa distanza ai Mondiali di Roma ’87) preceduti da una mia breve introduzione.

Buona lettura e torna pure a scrivere, se ti va.

Un abbraccio

mario

Marius ha detto...

P.S.: i due racconti sopra citati sono, lo ripeto, frutto della penna di Raffaello Ducceschi. Sono mie solo le righe che li precedono. (Dio mio quanto temo le rampogne degli anonimi!)

;))

m

Anonimo ha detto...

Mi fa piacere che l’altro intervento sia stato il penultimo.
Purtroppo gli argomenti e le tematiche che tocchi sono talmente tante che dovrei aprire un nuovo blog per poterti rispondere e per esporti il mio pensiero. Quindi mi limiterò a poche brevi osservazioni.

Ovviamente ho ben compreso lo spirito di cui ti sei fatto portavoce con il sito “Corrilabruzzo” ed è giusto che qualcuno esprima le ragioni e le esigenze dei tanti amatori che alimentano il movimento e che, con la loro partecipazione, fanno sì che ci siano gare, manifestazioni, competizioni e, perché no, premiazioni. E naturalmente apprezzo il lavoro che state svolgendo per cercare di migliorare la qualità complessiva, a livello organizzativo, del movimento podistico stradale.
Mi fa piacere sapere che non c’è alcuna contrapposizione di sorta tra le realtà in discorso – anche se bisogna ammettere che dall’intervento iniziale poteva sorgere più di un dubbio in merito.
È chiaro che nel mondo amatoriale l’aspetto agonistico non è quello preminente, su questo conveniamo tutti. Ma è altrettanto evidente che un minimo di sana competizione non può mancare. Le classifiche le leggiamo tutti, dal primo all’ultimo, così come mi sembra che qualche discorso su premiazioni e categorie sia piuttosto ricorrente, anche sulle pagine del sito “corrilabruzzo”.
Ma non mi sembra affatto una cosa sbagliata o deprecabile. Se una persona corresse esclusivamente per il piacere di correre, credo che lo farebbe per conto proprio o al massimo in compagnia di qualche compagno di sventura.
Invece partecipare ad una gara è molto di più. Vuol dire allenarsi con costanza in vista di un obiettivo, che può essere semplicemente stare bene e sentirsi in forma – e magari giustificare una cena in più – oppure cercare di migliorarsi e di crescere sportivamente. Significa correre in compagnia e sentirsi stimolati dalla presenza di persone animate dalla stessa passione. Vuol dire cogliere l’occasione per una gita e vedere posti nuovi (sai quanti paesi, di cui non avevo la minima cognizione, ho conosciuto girando per gareggiare?). Ma significa anche confrontarsi con altre persone e cercare di dare qualcosa di più rispetto ad un semplice allenamento.
E – ripeto – questi sono elementi propri e caratteristici anche del mondo amatoriale, pur senza le esasperazioni di coloro che lo fanno per professione o comunque con spiccati obiettivi agonistici.

A tutti noi fa piacere che ci sia qualcuno che discuta principalmente di parcheggi, percorsi, ristori, ecc.
Giusto ieri sera ho partecipato ad una gara vicino Pavia. Percorso caratteristico e divertente, tanta gente, bella cornice di pubblico. Ma mi hanno forzato la serratura dell’auto e rubato il portafoglio, senza nemmeno lasciarmi i documenti. E la sorveglianza?
È ovvio che ci siano aspetti collaterali di fondamentale importanza, che contribuiscono a rendere una manifestazione ben riuscita e più appetibile, sia per l’amatore che per l’atleta.
Ma quello che ribadisco è che, quando ci poniamo ai nastri di partenza, tutti siamo un po’ agonisti. Ed è una sensazione che ci dà stimoli, carica e addirittura voglia di far fatica.
Tutti gli amatori che conosco, quando parliamo, raccontano con entusiasmo, trasporto e coinvolgimento le gare che stanno preparando, gli allenamenti che stanno svolgendo, la condizione di forma – che, a detta di più, stenta sempre ad arrivare – e gli obiettivi cronometrici, limitati o meno che siano, che si pongono per la gara a venire.
È una cosa normalissima ed è proprio quel giusto sapore di competizione che ti dà la voglia di allenarti e partecipare.
Concordo comunque sul fatto che la vera competizione, quella da cui non si deve uscire sconfitti, è soltanto quella con se stessi.

Anonimo ha detto...

Di controlli antidoping ne vedo pochi in generale, non è tanto il fatto se ne veda nelle gare amatoriali. Quanto alla gente che si accapiglia sui tempi, mi limito a ripetere, senza alcuna vis polemica, ma solo a conferma di quanto finora sostenuto, che la classifica la guardano tutti con un certo interesse, mi sembra.
Delle diatribe Fidal-EPS purtroppo non sono sufficientemente informato per esprimermi.

Un’ultima precisazione, solo per evitare fraintendimenti.
Il Mario che ha “dimenticato” il titolo italiano Uisp di Francesco non è il blog master, ma Mario M.

Mi ha fatto piacere poter tornare sulla questione. Forse non così brevemente come speravo…
Un saluto.
Sat

P.S.: ops, impegnato a scrivere, vedo solo adesso l'intervento di Marius...

Anonimo ha detto...

Ciao Sat,questo post e questi commenti mi danno l'occasione di porti una domanda ''personale''?In che modo riesci a conciliare al meglio la professione di avvocato con un attività comunque di buon/discreto livello?Te lo chiedo perchè ho 19 anni e penso di iscrivermi a giurisprudenza.Allo stesso tempo però nutro una gran passione per la corsa e quindi è mia premura tracciarmi un futuro lavorativo che mi possa consentire comunque di allenarmi in modo sufficientemente assiduo da poter collocarmi ad un discreto livello,diciamo simile al tuo,perchè ritengo di poterci arrivare.Inoltre ti chiedo se questo tipo di attività lavorativa possa essere compatibile anche con la preparazione della Maratona,che richiede tempi di allenamento più lunghi delle gare di mezzofondo prolungato/fondo fino alla mezza,almeno in occasione di certi allenamenti specifici.Questo perchè vorrei anche che l'attività lavorativa non mi precludesse un eventuale tentativo di approccio a tale gara e,qualora ve ne fossero le caratteristiche,magari una specializzazione in tal senso.
Grazie
Daniele

Anonimo ha detto...

Credo che ogni podista abbia la propria “filosofia di corsa”. Sento di condividere pienamente l’opinione di Violante, ovvero “la competizione dovrebbe essere solo con se stessi, e il confronto con gli altri deve essere una opportunità di migliorarsi, non un motivo di rivalità”. Avrei tanti aneddoti da raccontare in questi miei (solo) 7 anni di corsa ma quello che nella fattispecie mi sembra il più significativo credo sia il seguente. Durante una premiazione di un M75 ho chiesto, porgendogli il microfono, all’arzillo atleta la sua età precisa e mi sono visto rispondere testualmente” Giovanò quand currem teneme tutte vent’ann”. Credo che alla fin fine, con tutto il rispetto per l’elite che ogni domenica compete per il podio, la molla che dovrebbe spingere ognuno di noi ad indossare le scarpette ed a fare sacrifici dovrebbe essere quello di star bene fisicamente, come velatamente mi ha fatto capire l’atleta M75 che..... ne avrà viste di cose nella sua vita!!!
Penso inoltre che il solo aspetto agonistico che accetto e faccio mio è proprio quello di sfidare ogni volta il cronometro….mio unico avversario ed è per questo motivo che per me l’unica gara che concepisco come tale è la Maratona, dove non mi interessa se arrivo 400°, 1000° o 10.000° ma quel che mi interessa e finirla dignitosamente con uno sguardo al mio unico “avversario”: l’ orologio.
Pasqualino Onofrillo

Anonimo ha detto...

Ciao Daniele,

la tua domanda mi lusinga. Non so se saprò essere esaustivo o quantomeno soddisfacente, ma qualche suggerimento credo di potertelo dare.

Innanzitutto ti faccio i complimenti per la scelta, perché la figura del giurista è molto affascinante e sempre in costante evoluzione. Ti offre la possibilità di venire a contatto con tante persone, richiede un continuo aggiornamento, ti mette a confronto con altri professionisti che hanno metodologie ed approcci al lavoro differenti e dai quali si può sempre apprendere; inoltre è un’attività variegata, in cui devi saper scrivere, saper parlare in pubblico, esser convincente con le persone e saperti relazionare ai più disparati interlocutori.

Premetto che attualmente faccio sì il legale, ma lavoro presso l’Agenzia delle Entrate, quindi nel pubblico. Di conseguenza la mia situazione è un attimino differente rispetto a quando lavoravo in uno studio professionale, perché gli orari, almeno sulla carta, sono molto più ridotti.
Mi chiedi se le due attività – professionista e podista – siano conciliabili. Naturalmente sì.
Adesso stai per iniziare l’università. L’importante è non perdere tempo fin da subito e pianificare bene il tempo e gli impegni in vista degli esami. Se lo farai, non avrai problemi a seguire le lezioni, a studiare e ad allenarti, ottenendo ottimi risultati in entrambe le attività.
Quando inizierai la carriera professionale può darsi che all’inizio subirai dei cambiamenti, perché ti verrà richiesta una grande disponibilità e tanta, tanta pazienza.
Personalmente, c’è stato un periodo in cui mi sono dovuto un po’ arrabattare con gli orari, sfruttando la pausa pranzo, oppure correndo al mattino presto o ancora uscendo a correre dopo le 21. Può capitare anche questo, non è da escludere, ma non deve essere per forza di cose la regola.
Diciamo che quando sarai un professionista, probabilmente lavorerai in uno studio con altri colleghi ed in qualche modo potrai cercare di concordare gli impegni e ritagliarti uno spazio in giornata per il tuo allenamento.
In fin dei conti, come abbiamo già detto, è sufficiente avere a propria disposizione uno spazio di 60-75 minuti nell’arco di un’intera giornata per fare tutto (15/20’ risc. + 20/30’ di lavoro + 5/10’defa + 15’ doccia) e mantenere un livello di rendimento più che discreto. I fondi lenti si possono fare tranquillamente alla sera, se la giornata lavorativa è stata lunga e impegnativa. Peraltro senza troppo stress, magari partendo piano e aumentando l’andatura a sensazioni.

Quanto alla maratona, io stesso non ho ancora esordito sulla distanza, anche se credo che i tempi siano ormai maturi.
Diciamo che qui il discorso è un po’ diverso perché è necessario correggere un po’ il tiro, almeno in termini quantitativi, in modo da arrivare sufficientemente pronti all’evento. Ma non ti preoccupare, si tratta di allungare di qualche chilometro i fondi medi e i progressivi, mentre per gli eventali lunghi c’è la domenica.
Quindi, anche per la preparazione della gara regina, nulla ti è precluso. Ci sono diverse persone che puoi trovare nelle nostre stracittadine e che hanno corso ad ottimi livelli (intendo vicino alle 2h20’) molte maratone, pur svolgendo lavori fisicamente impegnativi. Parlo del nostro compagno di squadra Luigi D’Alimonte, Paolo Coppa, Giancarlo D’Alessandro. E tanti altri.
La pubblicità dell’Adidas recitava il motto “impossible is nothing”. Forse è vero.

Un saluto.
Fatti vedere in qualche gara.
Ciao.
Sat